Lettere 'insulari', rubrica a cura di Francesca Saieva
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com
Cara Francesca Saieva,
studio da autodidatta e seguo da vari mesi il vostro blog (che mi ha incuriosito per il titolo), anche se solo ogni tanto, e sono contento che inizi anche questa comunicazione con una redattrice in una rubrica fatta per questo. Volevo chiederti questo: come vivete nel vostro sito questo "silenzio assordante" della cultura nel web, nei media, nella società? Sembra che non conti più nulla, anzi sia da noi addirittura vista con sospetto dal potere, come qualcosa di inutile e malato... percepisci anche tu questo disagio?
Saluti, Ettore Paoli (caltanissetta)
Caro Ettore,
sì, condivido il tuo disagio per ciò che definisci "silenzio assordante della cultura", ma permettimi di aggiungervi il mio ascoltare il frastuono assordante di una cultura malata piuttosto che assente, il più delle volte strumentalizzata dalla sua latente demagogia. È dunque l'uso della cultura che a volte genera il mio 'disagio', la cultura che monopolizza, che dà orientamenti costrittivi, che obbliga al silenzio e all'indifferenza, che così mostrandosi (camaleontica) si annulla a tal punto da rendersi invisibile.
Siamo tutti soggetti culturali, viaggiamo nei luoghi che abitiamo, ma anch'io mi chiedo fino a che punto pensiamo e riflettiamo sui nostri e altrui 'bagagli'. Perché d'altronde cos'è la cultura se non scambio di bagagli, incontro d'identità? Voglio dire che il nostro bagaglio culturale e personale è il nostro underground, ma come ogni sotterraneo ha botole e passaggi segreti che si aprono su nuovi cammini, nuove vie; forse, purtroppo, il nostro pensiero non sempre è flessibile e aperto a nuovi orizzonti e alla riflessione culturale in sé.
La cultura ha un'accezione antropologica, nonché sociale e politica, dunque ammetterne la sua inesistenza significherebbe negare la presenza di soggetti culturali. Ma gli uomini sono tutti esseri naturali e culturali, quasi che sin dalla nascita indossino una precisa identità culturale. Il punto è proprio questo, la cultura s'indossa come un cappotto, un cappellino che adorna bene il nostro viso o, essendo qualcosa di più viscerale, va pensata e 'praticata'?
La cultura fa la storia del mondo, non esiste, infatti, storia senza la viva partecipazione dei soggetti culturali, ecco perché grandi sono le responsabilità dei media e del web e così pure della scrittura. Ma io non amo le generalizzazioni e penso che vi sia una cultura mediatica, anche se in minima parte, comunque attenta a combattere l''analfabetismo' dei nostri giorni, che mortifica il pensiero complesso, apolide, privo cioè di cittadinanza.
Forse una più diffusa cultura del libro (priva di sentimentalismo nostalgico) potrebbe renderci partecipi di quell'universale culturale che assottiglia le differenze. Perché ci ricorda Bradbury in "Fahrenheit 451", i libri rendono uguali. E come ho già scritto e detto, da qualche parte, nei libri c'è la storia del mondo, nella parola la forza di poterlo migliorare. È questo il nostro 'auspicio culturale'.
Voglio perciò pensare che la cultura si mescoli ai tempi e ai ritmi di un reale contingente, particolare. Perché come uomini 'in situazione', viviamo momentanei e precari equilibri. Là dove la cultura si faccia strumento per interpretare le 'esperienze', affidandosi al potere della parola, compirà la sua 'palingenesi', perenne rinascita nel 'disincanto'.
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com
Cara Francesca Saieva,
studio da autodidatta e seguo da vari mesi il vostro blog (che mi ha incuriosito per il titolo), anche se solo ogni tanto, e sono contento che inizi anche questa comunicazione con una redattrice in una rubrica fatta per questo. Volevo chiederti questo: come vivete nel vostro sito questo "silenzio assordante" della cultura nel web, nei media, nella società? Sembra che non conti più nulla, anzi sia da noi addirittura vista con sospetto dal potere, come qualcosa di inutile e malato... percepisci anche tu questo disagio?
Saluti, Ettore Paoli (caltanissetta)
Caro Ettore,
sì, condivido il tuo disagio per ciò che definisci "silenzio assordante della cultura", ma permettimi di aggiungervi il mio ascoltare il frastuono assordante di una cultura malata piuttosto che assente, il più delle volte strumentalizzata dalla sua latente demagogia. È dunque l'uso della cultura che a volte genera il mio 'disagio', la cultura che monopolizza, che dà orientamenti costrittivi, che obbliga al silenzio e all'indifferenza, che così mostrandosi (camaleontica) si annulla a tal punto da rendersi invisibile.
Siamo tutti soggetti culturali, viaggiamo nei luoghi che abitiamo, ma anch'io mi chiedo fino a che punto pensiamo e riflettiamo sui nostri e altrui 'bagagli'. Perché d'altronde cos'è la cultura se non scambio di bagagli, incontro d'identità? Voglio dire che il nostro bagaglio culturale e personale è il nostro underground, ma come ogni sotterraneo ha botole e passaggi segreti che si aprono su nuovi cammini, nuove vie; forse, purtroppo, il nostro pensiero non sempre è flessibile e aperto a nuovi orizzonti e alla riflessione culturale in sé.
La cultura ha un'accezione antropologica, nonché sociale e politica, dunque ammetterne la sua inesistenza significherebbe negare la presenza di soggetti culturali. Ma gli uomini sono tutti esseri naturali e culturali, quasi che sin dalla nascita indossino una precisa identità culturale. Il punto è proprio questo, la cultura s'indossa come un cappotto, un cappellino che adorna bene il nostro viso o, essendo qualcosa di più viscerale, va pensata e 'praticata'?
La cultura fa la storia del mondo, non esiste, infatti, storia senza la viva partecipazione dei soggetti culturali, ecco perché grandi sono le responsabilità dei media e del web e così pure della scrittura. Ma io non amo le generalizzazioni e penso che vi sia una cultura mediatica, anche se in minima parte, comunque attenta a combattere l''analfabetismo' dei nostri giorni, che mortifica il pensiero complesso, apolide, privo cioè di cittadinanza.
Forse una più diffusa cultura del libro (priva di sentimentalismo nostalgico) potrebbe renderci partecipi di quell'universale culturale che assottiglia le differenze. Perché ci ricorda Bradbury in "Fahrenheit 451", i libri rendono uguali. E come ho già scritto e detto, da qualche parte, nei libri c'è la storia del mondo, nella parola la forza di poterlo migliorare. È questo il nostro 'auspicio culturale'.
Voglio perciò pensare che la cultura si mescoli ai tempi e ai ritmi di un reale contingente, particolare. Perché come uomini 'in situazione', viviamo momentanei e precari equilibri. Là dove la cultura si faccia strumento per interpretare le 'esperienze', affidandosi al potere della parola, compirà la sua 'palingenesi', perenne rinascita nel 'disincanto'.
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