lunedì 21 novembre 2011

lettere 'insulari' a...

Lettere 'insulari', rubrica a cura di Francesca Saieva
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com

Lanciare una rubrica in un blog è sempre una sfida, soprattutto quando si tratta di qualcosa inerente la scrittura. Ciò che vi chiedo è infatti se avete mai pensato a una lettera come a uno 'spazio ritrovato'. Una casa dalle pareti bianche, prima di diventare pagine di vita.
Di certo Emily Dickinson l'avrà fatto, non avrebbe scritto questi versi "c'è una solitudine dello spazio, una del mare, una della morte, ma queste compagnia saranno".
Pensandoci bene i nostri cassetti 'segreti' e le pagine dei libri sono piene di lettere, ritratti d'immagine in "quel più profondo punto quell'isolamento polare di un'anima". Direte anche: ma lei era una solitaria e aveva tanto di quel tempo! - io veramente non ne sarei così sicura, soprattutto affidandomi alla relatività di ogni vita temporale.

Nello scrivere una lettera, avrete notato, che spesso poco importa il destinatario, immaginario o reale che sia, ciò che conta è l'atto della scrittura in sé, nella piena consapevolezza della propria insularità... (forse anche di questo, e ammetto con un pizzico d'ironia, qui ne abbiamo di esperienza!).
Scrivere della vita, significa riflettere su di essa, interrogarsi dopo avere osservato ciò che giorno dopo giorno sembra portarci alla deriva. L'indifferenza, i costumi della società, i suoi apparati culturali, i gusti e disgusti dell'individualità collettiva. Scrivere di noi, dello spazio che occupiamo nel mondo o che ci sembra ci sia negato.
Una lettera è un momento aurorale, niente di più congeniale a un blog palingenetico, per singolarità di un unico mare. Siamo tutti degli uomini-isola, ma in fondo "ogni isola ha fili sottili che viaggiano... verso tutte le altre isole" (Bill Holm).
Confessioni, viaggi intorno alla propria camera, i dolori dell'innamoramento, lettere di forzati, di guerra, lettere di pace, costituiscono il nostro patrimonio culturale-letterario, per non pensare poi come le lettere abbiano ispirato la musica ‘cantautoriale’, penso a Lettera di Guccini perchè "come - vedete - tutto è consueto in questo ingorgo di vita e morte" e ancora tra i tanti a Vecchioni, "una lettera a un'ipotesi di donna", una lettera d'amore più per la vita, per la libertà sognata e da conquistare, come per chi scriveva in un tempo ormai lontano una Lettera da Marsala.
E che ne dite di Van Gogh e dei suoi schizzi su lettere? Tutti intenti, dunque, a dare un'immagine alle parole, quasi come "quel personaggio di Borges, che dipinge paesaggi e si accorge - scrive Magris - di avere dipinto il proprio volto".
Scrivere lettere è un po' come riscoprire un posto segreto, lo scrigno fa di noi dei geografi dell'anima, noi viaggiatori solitari del nostro tempo mediatico; frenetiche sagome al ritmo di "wiFi", incapaci o forse troppo stanchi per 'ricucire la propria ombra'.
Una rubrica, dunque, per affrontare insieme dubbi, perplessità, riflessioni su questioni di carattere etico-esistenziale dai risvolti socio-culturali. Una corrispondenza epistolare per un incontro di culture e idee, perchè i naufragi e le tragedie quotidiane imperversano sul nostro comune destino, costruiscono muri e scudi, ultime zattere a cui appigliarsi. Ma forse una distesa dell'abbandono, così come quando "c'è di mezzo il mare", è sempre possibile, la lentezza di quell'attimo 'eterno' che è la vita mentre attende ai suoi passaggi a livello, alle sue strade polverose e ferrate, come dentro a un dipinto di Hopper.
Una lettera è quello 'strano posto' dove transitare è già un venirsi incontro. Spero ci siano tanti momenti aurorali alla ricerca dello 'spazio ritrovato'. "Chiamatemi isola - quindi - e io vi risponderò".

3 commenti:

  1. Un’idea allettante… una proposta seducente… Più che uomi-isola, carissima Francesca, preferisco la definizione di uomini-naufraghi.
    Non voglio con ciò sminuire o elogiare, né banalizzare o ridicolizzare l’essenza dell’umano… forse con grande amarezza mi sono accorta che non tutti possiamo essere in sintonia, in armonia celestiale o infernale che sia, sul vero significato di “vivere”.
    Vivere quale risultato incondizionato e, comunque, categoricamente imposto, poiché non ci è stato dato modo di scegliere. Ho un po’ la mente contorta dai troppi pensieri che a volte mi portano a sviluppare una sorta di misantropia quando mi guardo attorno con gli occhi del cuore!
    Non vi è più il lieve e candido sorriso di genuina condivisione, non trovi la “mano tesa” che, senza nulla chiedere o pretendere, ti aiuta a traghettarti oltre il baratro del dolore dell’anima.
    Persino quelli che consideravi amici, forse da giudizio un po’ troppo affrettato, te li ritrovi oltre la barricata a combattere fianco a fianco col nemico: l’ipocrisia e l’incongruenza. Sant’Iddio non mi permetto di fare la morale a nessuno, sia ciò da monito! Però col passar inesorabile degli anni, purtroppo ho dovuto imparare a mie spese. E sono stata spettatrice di tanti altri che hanno vissuto con lo stesso “denominatore comune”. Non me ne pento. Lezione di Vita ed è proprio per questa ragione che sono “tornata” (mio malgrado, dicevo poc’anzi) in quest’involucro effimero: per imparare.
    Lezioni di vita, insomma, e per chi cerca di portare ai propri alunni “il sapere” magari anche il “saper essere” (o ciò che si crede possa essere definito tale) ecco che il trovarsi -soli- a monologare con Menti assenti o distanziate dal proprio concetto di realtà (soggettiva, OK) diventa un esercizio di grande pazienza e tolleranza.
    Nel buddismo si definisce la pazienza una delle più nobili e grandi virtù, quanto la compassionevolezza (Mitgefühl – in tedesco molto distaccato da Mitleid).
    Lettere, o diari, o racconti… insomma tutto ciò che serve per esteriorizzare.
    Si scrive per trasportare fuori, c’è chi lo fa in modo eccelso, ricercato, impeccabile… e chi (la sottoscritta) con pasticci illetterati e così arzigogolati che ti tocca rileggere un paio di volte per comprendere! 
    Perfettamente in sintonia, sempre soggettiva, orbene l’interpunzione non è mai stato il mio punto forte. Ma anche se il tempo è pochissimo, anche se molti di noi “prosatori” rubano ogni respiro alla Notte Insonne, ecco che le nostre lettere fanno da catalizzatore e ci aiutano ad individuare quel filo trasparente teso sopra il baratro del silenzio.

    Un abbraccio Claudine
    http://claudine2007.splinder.com

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  2. sono anch'io affascinato dall'idea di quello che claudine chiama "quel filo trasparente teso sopra il baratro del silenzio", ma, scusandomi della predica, sono altresì convinto che in questo tentativo comunicativo tu debba anche, francesca, cercare di ispirarti alla dostoevskiana convinzione che "tutti siamo colpevoli di tutto", e quindi sentir innanzitutto in te le colpe e le incongruenze che imputiamo di solito agli "altri" o al mondo: solo così imho è possibile sperare di mantenere una mente "disponibile" per accogliere i "fili" che gli altri possono rivolgerti nella comunicazione... almeno come punto di partenza!
    :-) ennio

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  3. Carissimi,
    le polarità di anime viaggianti si muovono tutte e sempre sullo stesso "filo", tra acrobatici esercizi mentali nell'attesa di risposte. Nel baratro la colpa? Tra fragore e silenzio così pure la sua 'redenzione' del qualunque "caino", il qualunque collettivo di quel "tutto in un unico istante".
    Fili rossi, dunque, quei fili di seta da adornare con parole, nel posssibile incontro della differenza, quasi ad abitarne la distanza e i suoi 'spazi bianchi'.
    :-) francesca

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