lunedì 29 agosto 2011

per me stesso: consigli creativi


by guido monte

innanzitutto sentire l'unità di tutto (anche della conoscenza), poi considerare la fragilità e l'impermanenza di tutto, e confrontarle con il pov dei poveri di spirito, dei più deboli...
dare prevalenza a ciò che è "periferico", dimenticato, considerato di scarto, o di pazzi e minorati, di vecchi e malati; sentire il "mescolarsi" delle cose, anche nelle lingue, anche nei versi.
se un solo Libro è stato scritto, mescolare in una sola composizione versi e detti di autori vari; usare block-notes, fare piccoli disegni (schizzi o bozzetti a colori), prendere appunti informi, magari al volo prima del sonno, scrivere su "foglietti" i propri pensieri stentati; ricordare gli occhi di una bestia, di un cane, di un asino, e l'apocatastasi: sentire allora compassione per tutto.
lungo miti e tradizioni "lontane", leggere e cercare gli archetipi comuni di tutti gli esseri; passeggiare per spiagge autunnali abbandonate, sfogliare foto di vecchi ricordi.
contemplare la creazione primordiale nei paesaggi della terra che ancora la richiamano...

mercoledì 24 agosto 2011

note-ricordo prima del sonno, n.1


by guido monte

come foglie. come foglie guardiamo stelle di fronte alla luna asteres

cisterne vuote. un bosco di cedri, un cieco guarito dalla saliva, "effata", un crocifisso prima neonato in una stalla, poi tra reti di pescatori, infine una bimba rinata alle sue parole: "talitha kumi"

"tutto è vanità. vanitas vanitatum et omnia vanitas" e poi: "nihil sub sole novi".
quando tutto si spegne e crolla, oggetti (li abbandonerai) denaro (sprecato) saperi (senza senso) piaceri (distrazioni momentanee), allora non è più tempo (vi è stato un tempo per ogni cosa) della sempre identica ripetizione insensata di tutto

sanscrito. neppure l’eroe sa come allontanare il dolore, "na hi prapasyami mama pamdyad yac chokam" (baghavad); ecco ciò che non muore, na anyate

in principio. in principio creò il cielo e la terra, e lo spirito volava a pelo d’acqua sulle onde scure. pensavo a questo guardando per la prima volta dall’oblò dell’aereo fumarole e praterie primordiali islandesi, come allora, senza figure umane e nella penombra.
wara hawat toh waboh terra senza forma, sola

miracolo. le antiche scritture millenarie sulle avventure dei fratelli barata, lì ho sentito per la prima volta di un paradiso rifiutato da un eroe mitico, perché non ospitavano il suo cane.
nelle parole invece di yudishsthira ecco le vie dimenticate del miracolo degli uomini: continuiamo a vivere, anche di fronte alla morte, come se fossimo immortali.

a ciascuno il suo giorno. il pater vergilius, non ignarus mali, ci insegna a miseris succurrere, perché sa che vivit sub pectore vulnus e che "ognuno patisce il suo passato", il giorno che ci è stato affidato sotto le stelle nella notte umida, in questa terra tiepida di buio e insensatezza

dalla gola del leone. sergio quinzio sente l’orrore che ormai siamo troppo stanchi pure d’immaginare, sente il tutto che geme e soffre le doglie del parto, sente lo spirito quando intercede misteriosamente e con insistenza, con gemiti inesprimibili.
asciugare le lacrime dal volto, come è scritto

la rana si tuffa… se san francesco prendeva un cucchiaio, o guardava un fiore, erano un cucchiaio o un fiore; se parlava con un uccello o con un lupo, stava semplicemente parlando con loro, guardando con un sorriso cieli e torrenti.
così i piccoli monaci giapponesi, basho, ryokan, se stavano zitti era perché non avevano qualcosa da dire, se udivano lo scoiattolo squittire afferravano il senso di tutto.

in interiore homine. da paolo di tarso a lutero, da platone e socrate a giovanni evangelista, a freud, ad agostino: in interiore homine habitat veritas, pensavi mentre dal giardino della vicina villa milanese arrivava come una cantilena, tolle lege tolle lege, e poi la leggevi in te

domenica 21 agosto 2011

DUE POESIE (di Sandra Collura)


DUE POESIE
di Sandra Collura
(foto by Marta Ciravolo)

RITRATTO DI MIO PADRE

... e mi portasti
in un giardino d' aranci

Prendesti la bellezza fra le dita
eleganti come una fruttiera,
lo sguardo incontro'
la rotonda fragranza
rugosa di succhi
e il verde scuro
delle foglie
si posava sul frutto

"Guarda che bellezza", dicesti
e il tuo cuore si sposo'
col respiro della terra
e sorridesti di soddisfazione.

Riposavi nell'ombra
fra i tronchi neri del giardino.
.......................................................
.......................................................

IL PESCO

Nel già viola del crepuscolo
esplode
nelle pupille perse
nell'intrigo degli incroci lucidi di pioggia,
il pesco.

Mi riveste primavera
come da bambina
il golfino rosa
con le tonde maniche corte
gonfie d'infanzia,
le braccia nude
a sfidare gli ultimi brividi.

Da bambina,
radicata nel rintocco puntuale
delle stagioni
nell'attesa del certo fiorire
ora,
perduta nella rutilante sequenza
del cerchio virtuoso degli obblighi
di un altro giorno
e di tutti i giorni a venire.

Piantato
il pesco erompe
emana una rosea magnificenza,
un firmamento di vite fugaci
già sbocciate che si staccano
si spalma sull'asfalto sporco
che neanche sembra tale
cosparso com'è
d'una miriade di petali tondi.

Li', al semaforo
idolo dell'ordine
dove si contano i secondi
per ripartire spinti dalla cura
grande e gentile
la tua floreale armonia
estranea
ricompone il pulviscolo
di quell'aria guasta

mercoledì 17 agosto 2011

Traccia


di Sandra Collura

Al mattino andavo,
soldato armato d'una borsa
pesante d'ansia

La solitudine
con passi veloci
sull'asfalto sporco
batte gli stessi colpi
del cuore irrequieto

Vuota d'affetti
la mente trincerata
in fuggenti ricordi

Muro a destra, muro a sinistra

Frotte scure di giovani vite
mi accompagnano
in traiettorie parallele
ansiose di mordere e fuggire
trattengono brandelli di pensieri
e brevi emozioni irriflesse
soffocano il respiro
con boccate di fumo bianco

Una parentesi di vita per tutti, quella
da vivere in sogno e dimenticare
per vivere poi veramente
altrove.

Anch'io con loro
desiderando già la fine di quel mattino
pensando alla vera vita
al di là dei muretti.

Scorgo, alla curva della strada
la chioma del ficus,
il pino, la palma
che ancora resiste
al punteruolo rosso.

Vivere, accelerando
per non vivere
ma le statiche chiome verdi
si radicano immobili.
Esse vivono.

A ondate
i suoni occupano tutti gli spazi
trattenere il fiato per non respirare
l'aria umida e calda
come quella di un affollato negozio
a natale

Vedo solo l'asfalto bagnato
graffiato dall'incuria
le nere pozzanghere
su cui si appiccicano le foglie marce

.... ....

Inaspettatamente

Odora il gelsomino bianco,
fresca fanciulla
si sporge al di qua del muro

e una vastità si apre.

sabato 13 agosto 2011

foglietti n.2


by guido monte

per cicerone non esiste altro male che la colpa,
malum nullum esse nisi culpam,
per agire senza lacrime risentite, accettare
da soli il dolore, non sopravvalutare la morte…
se siamo davvero mistero per noi stessi
e ci nascondiamo nelle tenebre, e affondiamo
nel fondo dell’inutilità delle cose.

mentre tutti gli altri, che hanno sangue
nelle vene, pensano d’esser a questo
mondo… qualche cosa
(manzoni)

il cupio dissolvi paolino somiglia alla felix culpa,
riguarda le rechemin viscere-misericordia, sintomi
di profondità in cui non possiamo più mentire,
in a run away world; ma, come insegna roth,
dove si può essere santi ed ubriachi…

per magris, dante ci insegna anche che la nostra patria
è tutto il pianeta, come i pesci del mare, dove ognuno
potrebbe vivere l’esistenza di chiunque

marguerite y.: bruit de la source, vent de mer, herbe,
sommeil
, cose così evidenti da sembrare nascoste,
a noi decidere come entrarci o riceverle,
rallentando le immagini per capirle meglio

esistono prescrizioni della cabala
che ti dicono di cibarti solo del necessario,
come forma di rispetto per chi,
nello stesso momento in cui ti nutri,
non ha il necessario da mangiare

ami gli jurodivie i pazzi di dio
che stonano di fronte al nostro mondo
omologato del nulla, che non cercano
a tutti i costi l’interesse, e vedono
in ogni cosa un talismano segreto

il ricordo lontanissimo del bacio istantaneo
di una sconosciuta
immersa nella nebbia di sempre,
nella folla del nonsenso delle cose,
mi ferma immobile a pensare, mentre
il mondo rotea senza direzione.
gli occhi allora si aprono sulle gocce
di pioggia che scivolano sul vetro,
dopo tanta cecità guardano la sabbia
scivolare sulle onde, impastata
di visioni di cielo, di allucinazioni

gli anavim aspettano
chi può portare alla vita ciò che non è (rm 4,17)
in un mondo dove non esiste più il normale,
è vero, un mondo di cose che non significano
più nulla, di desolazione,
nell’assurda ombra buia della terra (james j.),
costruita su fondamenta
che non si vedono, mentre galleggia
solo ciò che appare inutile

nenie: antichi formulari contro gli spiriti
maligni, dice la scienza, e la moscacieca
come resti di un modo per scegliere
la vittima da scannare sull’altare

paolo: ciò che realizzi nella tua carne,
ciò che lo spirito scruta nelle profondità
e che riporta all’esistenza…
ma a noi restano solo cose amare
e destituite di significato, ciò che sergio
chiamava questo essere nulla, non potere nulla...

progresso. sì, forse è davvero aumentata
la capacità umana di distruggere
e autodistruggersi, si è stabilizzata
l’idea delle persone come massa-merce
di utenti-consumatori-spettatori,
e di spacciare ipocritamente la potenza
militare-economica per l’ideale
spirito-radice dell’occidente

l’idiota è in grado
di pensare-creare
cose che il “normale”
non è lontanamente
capace di concepire

è ancora vero ciò che sosteneva socrate,
che scrittura e libri non fanno più
pensare e ricordare?

quando pamuk parla di padri di famiglia
che portano la spesa a casa, camminando
sotto lampioni di quartieri lontani,
o dei logori e leggendari battelli
del bosforo visitati dai gabbiani,
non parla più di istanbul, ma
del tramonto autunnale del mondo

hakkol havel tutto vanità

lo starec di fedor diceva
di badare alle creature
come fossero bambini
o vecchi ricoverati

certe volte ho paura di guardare
un volto, certe volte desidero parlare
con persone, ma non so di cosa…

e se qualcosa esiste, esiste nel corpo mistico,
ed è presente in chi quel qualcosa assimila a sé

lunedì 8 agosto 2011

contemplazione

di Francesca Saieva

Con la mente pura, di colui che preferisce non vedere,
guardi la vita e il mondo tra cose del cielo e della terra:
metamorfosi che adempiono al mistero,
a ciò che vi è racchiuso. Nel tempo
che unifica nel suo evolvere: il passaggio
alle lacrime di Saturno che scandiscono il tempo
e la storia celeste della mente, nella coscienza
di una Weltschmerz. Le apparenti cose naturali,
nell’impronta dell’Uno, fermano il ricordo
di ciò che è stato, del dolore o inganno,
fallibilità del suo tempo allo sguardo vigile
di “alberi pazienti”, natura spettatrice
di un inesorabile destino… per rispondere
ai misteri della natura, al fluire delle passioni,
alla volontà di agire, tra richiami nostalgici
e impeti dettati dalla speranza, di un tutto
risolvibile nel sogno, nell’estraneità del risveglio
di ciò che definiamo umano, esule dalla terra.

sabato 6 agosto 2011

La città sognata













di Enzo Barone

Una sera qualunque d’estate chiudete gli occhi, con ogni vostra convinzione,
chiudete gli occhi e, respirando forte sotto il porticato l’aria che sa di sale, sognate, sognate oppure immaginate di farlo, se non ne siete più capaci.
Sognate la vostra città o un’altra che solo un po’ vi rassomigli o una sconosciuta e lontanissima.
Lei sa di essere sognata e per di più lei stessa è compresa dentro un sogno, il delirio eterno in cui tutte le cose esistono, prima di essere create.
Camminate nel sogno, avanzate con l’andamento quieto e misurato dei sonnambuli o con l’andatura di chi passeggia senza fretta, oppure sorvolate il suolo a un metro circa da terra o levitate del tutto, traslocate come il fantasma del Louvre od ogni genere di spettri.

mercoledì 3 agosto 2011

dalle profondità di quinzio al saggio-zen laing



di guido monte







se i morti risorgeranno, ormai da troppo tempo l'ultimo papa si sarà già gettato dalla cima di san pietro... come il sangue mestruale imbrattato in un cartoncino che la paziente psichiatrica regalava ogni giorno al dottor laing, per ricordargli quando, tante vite fa, lui era stato lei