lunedì 2 febbraio 2015

Lettera aperta del prof. Massimo Costa al neo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella



Signor Presidente,

in questi giorni riceverà solo complimenti e auguri: alcuni sinceri, altri interessati. Assistiamo già alle celebrazioni un po’ provinciali per il conterraneo “importante” che è diventato Presidente della Repubblica, come se questo di per sé costituisse chissà quale vantaggio per la Sicilia in quanto tale.
Questa lettera è diversa, garbata, rispettosa del ruolo che ricopre, ma diversa: ferma, innanzitutto, e con questa vogliamo ricordarle che oggi, più che ieri, Lei è chiamato ad assolvere un obbligo in più nella Terra che le ha dato i Natali e che è anche la Nostra.


Diciamo subito, per onestà intellettuale, che chi Le scrive è, opinione legittima in uno stato libero, convinto che la Sicilia sia una Nazione a sé e che se fosse uno Stato indipendente oggi non sarebbe così avvilita come l’hanno ridotta circa duecento anni di forzata unione politica con la Penisola. Tale convinzione, tale riscoperta della nostra più vera identità e dei nostri interessi, non è solo di chi le scrive, ma sempre più diffusa oggi in una Sicilia che, forse spinta dal bisogno estremo in cui è stata gettata, sta riscoprendo se stessa, al punto che i tanti “servitori dell’Italia”, con tutto il rispetto, sono per noi “retroguardie culturali”, inutili freni a mano tirati per l’emancipazione della Sicilia.
E comunque, a prescindere dalle convinzioni personali, oggi è di tutta evidenza come i governi europeo e italiano stiano letteralmente strangolando una Sicilia che letteralmente MUORE DI FAME! Dove letteralmente ai nostri giovani è vietato trovare lavoro!
Detto questo, tuttavia, il riconoscimento formale e legittimo della sovranità italiana sulla Sicilia da parte nostra, seppure carpito nel tempo con la forza, l’inganno, il bisogno, la disinformazione sistematica e il collaborazionismo delle classi dirigenti isolane, non può mai venir meno senza cadere in un’eversione che sarebbe solo controproducente. Ed è per questo che oggi le scriviamo.
Noi eravamo e siamo in linea di principio relativamente indifferenti riguardo alla persona che gli italiani si vogliono scegliere come Capo dello Stato. Nulla cambierà per noi, si diceva, ma questa volta, per la prima volta nella storia, un Siciliano è capo dello Stato che ci opprime, che tradisce tutti i patti che sottoscrive con noi, che con i suoi mezzi di informazione ci fa oggetto di una continua campagna di linciaggio e di diffamazione, e che deruba le nostre risorse, le nostre speranze e il nostro futuro.
No, con un Siciliano al Quirinale, non è più lo stesso, e non possiamo tacere.
Passiamo di sopra al fatto che il suo nome sia stato caldeggiato e proposto da chi, da Capo dello Stato prima di Lei, o da Presidente del Consiglio, si è dimostrato indifferente, anzi dannoso, agli interessi della Repubblica, prima ancora che della Sicilia, svendendola ai poteri forti d’Europa e a quelli finanziari globali. Si dice “dimmi con chi vai….” e il fatto che Lei sia il Presidente voluto, ben voluto, da Napolitano, da Renzi, e da tutti i poteri forti depone molto male. Ma, passiamoci sopra.
Passiamo di sopra al fatto che Lei è l’ennesimo Presidente di un’intramontabile prima repubblica, di un’intramontabile democrazia cristiana, che nessuno di noi ha motivo di rimpiangere se non perché ciò che è venuto dopo è stato ancora peggiore.
Passiamo di sopra al fatto che il suo nome non è legato ad alcuna battaglia per la Sicilia, che non ha a memoria d’uomo motivo di ricordarsi di lei, e che invece sia ricordato per una legge elettorale (il Mattarellum) che è riuscita ad unire la limitazione della democrazia alla formula per la sicura ingovernabilità (vogliamo ricordare il famigerato “scorporo” che ridava nel proporzionale i seggi alla coalizione sconfitta nel maggioritario?).
Passiamo di sopra al fatto che, da politico, non abbia mai mostrato comprensione alcuna per le altissime ragioni storiche che impongono alla Sicilia la necessità di un autogoverno: da privato cittadino aveva tutto il diritto di pensarla come voleva.
Ma oggi Lei è il Capo dello Stato. Oggi Lei è un’istituzione e in quanto tale ha dei doveri verso gli italiani tutti, e in particolare, da Siciliano, verso i Siciliani tutti.
Lei è chiamato prima di ogni altra cosa a far rispettare la Costituzione della Repubblica Italiana. Una Costituzione sempre più calpestata, da sotto, di lato e da sopra. Da sotto e di lato per le bordate “autoritarie” che, sotto il pretesto della “governabilità”, riducono gli spazi di partecipazione per i cittadini italiani e per gli interessi privati che svuotano, poco a poco, quella prima parte della Costituzione che, dai rapporti economici a quelli economico-sociali, rappresenta tuttora un monumento del diritto, anche per l’equilibrio mirabile che si è stabilito tra una cornice liberale e contenuti sociali, di ispirazione tanto solidaristico-cristiana quanto socialista democratica.
Ma non dimentichi, soprattutto, che di quella Costituzione è parte integrante e inseparabile lo STATUTO DELLA REGIONE SICILIANA, vilmente aggredito, vilipeso, offeso, disatteso, con danno incalcolabile per questo pezzo di Repubblica italiana, che è anche la nostra Patria, che è anche la Sua.
Le ricordiamo i termini della Questione, perché Lei, raffinato costituzionalista, capisce benissimo cosa vogliamo dire.
I padri costituenti, con legge costituzionale n. 2 del 1948 recepirono INTEGRALMENTE, cioè senza alcuna riserva, lo Statuto della Regione Siciliana che già sotto la monarchia era stato conquistato, al termine di una guerra civile, e accettato da Umberto II. La Repubblica, alla sua nascita, non “istituì” la Regione, ma semplicemente la riconobbe per come già era.
L’Alta Corte della Regione Siciliana, con la sua storica sentenza n. 4, stabilì che nessuna modifica dello Statuto poteva essere disposta per mezzo di leggi ordinarie, ma che il suo ordinamento, ormai pienamente vigente, poteva essere modificato solo per mezzo di leggi di revisione costituzionale.
Lei sa benissimo che così non è stato. La Corte Costituzionale si è macchiata, a partire dal 1956, del crimine gravissimo di avere attribuito alla giurisprudenza,e non alla legge, il compito di modificare lo Statuto, lasciando la Sicilia nella totale incertezza del diritto, e quindi esposta all'arbitrio dello Stato italiano, venendo meno ai più elementari obblighi di lealtà istituzionale tra organi dello Stato.
L’Alta Corte, illegittimamente, è stata soppressa. Il Presidente Gronchi, suo predecessore, ha semplicemente invitato il Parlamento a “rinviare” la nomina dei componenti mancanti, non a seppellirla. Lei, purtroppo, probabilmente estensore dell’ultima sentenza della Corte con la quale è stato soppresso il Commissario dello Stato, e con esso praticamente tutto il titolo III dello Statuto, da giudice costituzionale si è conformato a questo solco di illegittimità. Ma, privata della legalità costituzionale, la Sicilia non avrà mai alcuna legalità. Oggi è lo Stato – per usare una espressione del suo compianto fratello – a non “avere le carte in regola” con la Sicilia. Ora, da Presidente, ha il compito di riprendere le fila di un discorso interrotto ormai da mezzo secolo.
In questo mezzo secolo abbondante non solo è saltata la Corte Costituzionale speciale competente per la Regione, la cui competenza, proprio perché speciale, non confliggeva minimamente con quella della Corte Costituzionale della Repubblica, non più di quanto, certamente, la giurisprudenza europea non faccia oggi, prevalendo sulla medesima e vanificando quindi il supposto principio della assoluta unicità di giurisprudenza costituzionale, peraltro non scritto da alcuna parte se non nella stessa interpretazione della Corte Costituzionale. Ma i giudici – recita la Costituzione – sono costituiti per legge, giammai per sentenza! Altrimenti ogni giudice potrebbe autocostituirsi competente. Questa è una mostruosità giuridica alla quale porre urgentemente riparo.
Ma, come dicevamo, non è solo l'Alta Corte ad essere saltata in questi sessant'anni circa: è saltata con essa, poco a poco, tutta l’Autonomia Siciliana, ma anche le sue finanze, e finanche l’economia e la società siciliana, oggi asservite ad una ignobile dominazione coloniale italiana.
Non abbiamo più finanze autonome, non abbiamo più legislazione autonoma, non abbiamo amministrazione realmente autonoma, anzi siamo al di sotto delle regioni a statuto ordinario. E, quindi, non abbiamo più né perequazione infrastrutturale, né continuità territoriale. La Sicilia oggi è in realtà una regione differenziata “al contrario”, allo sbando, derubata delle sue risorse, soggetta alle peggiori condizioni economiche e fiscali, priva di servizi pubblici degni di un paese civile. E tutto questo ha un responsabile preciso: lo Stato italiano, inadempiente, sleale, patrigno più che padre, vera potenza nemica occupante.
Violato il Patto, violato il debito di fedeltà della Sicilia all'Italia. La Sicilia, annessa illegittimamente nel 1860, da stato sovrano, rinunciò con lo Statuto alla propria indipendenza plurisecolare. Oggi nessuno sogni di poter liquidare così la Questione Siciliana. Di fronte alla protervia dello Stato italiano, la Sicilia avrebbe tutto il diritto di chiedere la piena indipendenza. Non dimentichiamolo!
A Lei, per evitare ogni peggiore frattura, e più che ad un Presidente qualsivoglia, spetta il dovere morale di ristabilire quell'Autonomia confederale che vollero i padri costituenti per la Sicilia, conforme ad una storia plurisecolare di Nazione a sé che ha la Sicilia. All'Italia spetta riparare, per i danni coloniali inferti alla Sicilia, ovvero andarsene.
Noi non possiamo fare finta di niente quando un Siciliano abita al Quirinale e quando, per di più, un altro Siciliano è il suo sostituto naturale.
A questo punto sta a Lei, con gli atti concreti con cui vorrà segnare la Sua presidenza, decidere se essere ricordato come il primo dei benemeriti o il primo dei traditori della Sicilia. Sappiamo che è di tradizione democristiana, e quindi per definizione moderato, c’è chi ha detto “l’ultimo moroteo”. Ma questa stagione drammatica non è più quella delle mezze misure. Si impongono scelte forti. Sappia che gli occhi dei Siciliani sono su di lei.
Per ora buon lavoro.
Massimo Costa*


docente di Economia Aziendale presso la Facoltà di Economia e Commercio dell'Università degli Studi di Palermo

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