lunedì 10 febbraio 2025

La riscoperta del senso religioso

 

                                     Foto scattata a Milano, Palalido 27/01/1990

di Rosario Ales

"Non smetteremo mai di esplorare e la fine di tutte le nostre esplorazioni sarà arrivare al punto di partenza e conoscere quel luogo per la prima volta."

(da "Quattro quartetti" Thomas Stearns Eliot )

 La prospettiva da cui intendo comprendere il tema sul senso religioso, non sarà sul piano di un'indagine culturale, nè tanto meno sul piano della dottrina religiosa, racconterò della mia esperienza personale sul senso religioso, collegata al mio sentimento di finitezza della vita. 

Esperienza religiosa, maturata già negli anni giovanili con la consapevolezza dei limiti nell' appartenenza ad una comunità religiosa ed al contempo il rischio di crisi nel verificare le fragilità, le mancanze personali e comunitarie nell’essere fedeli al messaggio evangelico ed alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, pur tuttavia rappresentando per me la comunità cristiana un luogo di fraternità, gioia, umanità, relazione e gratuità, vicinanza al prossimo.

Negli anni del liceo classico (1974 - 1979) quando partecipavo alle attività di Comunione e Liberazione (CL ) di cui i giovani studenti costituivano la cosiddetta Gioventù studentesca (G.S.), un testo del fondatore del predetto movimento ecclesiale, Luigi Giussani dal titolo "Il Senso religioso"  nella prima edizione Jaca Book del 1968, ha suscitato in me un interesse appassionato che nelle  << scuole di comunità >> di quegli anni, era integrato dalla accurata documentazione di frasi, aforismi, discorsi, poesie con un' accentuata tensione religiosa di scrittori credenti e non, come C. Pavese, A. de Saint-Exupery, Leopardi, Montale, Pascoli e anche autori di varia formazione culturale, come Par Lagerkvist, Edgar Lee Master, T.S.Eliot, Kafka, Dostoevskij, C.S. Lewis, solo per citare alcuni autori più risonanti alla mia sensibilità spirituale.

Apprezzavo in modo particolare di Don Giussani la fascinazione per Giacomo Leopardi, i cui versi sentivo vibrare nella mia interiorità, per quella che il poeta chiamava “la sublimità del sentire” interpretata dallo stesso Giussani in senso religioso come tensione creativa tra l’incanto che nutre l’immaginazione nella contemplazione dell'immensità dell'Infinito e l’effimera condizione umana e miseria del mondo.

Sublimità del sentire indicata come “la densità di emozione, di struggimento e di timore enigmatico, causata dalla sproporzione tra l’uomo e la realtà;” sublimità del sentire che Giussani nella lettura della poetica di Leopardi assume alla luce della Rivelazione cristiana “quel che il cristianesimo chiama Verbo, cioè come Dio, Dio come espressione, Verbo appunto. La Bellezza con la B maiuscolo, la Giustizia con la G maiuscolo, la Bontà con la B maiuscolo, è Dio.” (L.Giussani, Le mie letture, p.29 ed.1996).  Il libro "Il senso religioso" di Giussani (ed. 1968) è così articolato: al tema “Conoscenza e Mistero” segue la “Rivelazione” incentrata su Abramo e Gesù, conclude con i temi dedicati alla Chiesa come presenza di Cristo e come opera di redenzione, esplicitando la sua concezione teologica della storia.

Per senso religioso, oggi intendo una relazione viva con l’Assoluto e con l'umanità che diventa esperienza, legame con una dimensione transpersonale (nell’accezione della psicologia umanistica) che si fa storia nel realizzare nel qui e ora un'intenzionalità spirituale e al contempo concreta, sentita nelle decisioni eticamente rilevanti.

A questa formazione extrascolastica nella comunità di Comunione e Liberazione, nel triennio del Liceo ebbi la fortuna di avere come professore di Storia e Filosofia, Franco Salvo, che per me è stato un maestro nella sfera dell'etica pubblica e privata, con il quale mi trovavo ad interloquire anche fuori dagli orari di lezione. Per chi non lo ha conosciuto, Franco Salvo è stato un uomo che ha praticato la mitezza della ragione, un maestro di laicità e per maestro intendo colui che sa andare oltre la professionalità dell’insegnamento specifico, capace di affrontare i problemi infondendo una visione della vita basata su valori etici. 


Per la laicità nell’insegnamento, il professore intendeva “[…] un metodo di studio che educhi a pensare criticamente, nel rispetto di tutte le convinzioni: solo nel confronto dialettico i vari orizzonti culturali possono svelare i propri limiti e giustificare la propria validità” (dal testo F. Salvo - I Diritti di Libertà – Ed.Palumbo p.199 ). Essere laici non significa contrapporsi ai credenti e neppure professarsi atei o agnostici. Laicità è un habitus mentale, la capacità di differenziare gli ambiti di ciò che è oggetto della ragione, oggetto di fede, oggetto della politica.

Ci insegnava, quando ancora eravamo ragazzi, il gusto per il ragionamento, la capacità di distinguere, il mettere in discussione le nostre certezze, argomentare senza essere condizionati da alcuna fede o ideologia. Laicità si coniugava ad uno stile educativo che poneva la centralità del dialogo nel rapporto educativo, come ebbe modo di affermare nel suo libro di educazione civica: "Nel dialogo ragionato maturano le certezze, si verificano le convinzioni, si abbandonano i pregiudizi, si scopre il limite di ogni intolleranza civile e culturale". ( op. cit. ) .

Nel triennio il professore Salvo oltre che insegnare con passione e pacatezza le materie di Storia e Filosofia previste dai programmi scolastici, soprattutto nell'insegnamento della Storia si confrontava con intelligenza critica con gli avvenimenti storici sotto diversi profili: culturale, civile, politico e religioso, pur aderendo al materialismo storico e al marxismo come visione della storia, era aperto al dialogo e al confronto dialettico con altre visioni del mondo.

Il professore Salvo non si professava ateo, della sua religiosità manteneva la massima riservatezza, ma enfatizzava attraverso l’insegnamento della filosofia alcune considerazioni sulla religione, proposte da filosofi credenti e non. Sul versante storico apprezzava la dottrina sociale della Chiesa, esplicitata nelle Encicliche sociali dei Pontefici, nella prospettiva della promozione umana dei lavoratori e dei popoli sottosviluppati, ma si professava anticlericale, stimolato principalmente dall’esigenza costruttiva del laicato cattolico di “instaurare una polis a misura dell’etica evangelica,…non subordinata alla logica spietata degli interessi privati del profitto” ( op. cit. p.107).

Sul tema del senso religioso, il filosofo medioevale apprezzato di più dal compianto professore, era Sant’ Agostino per la ricerca interiore della verità, capace di superare il dubbio iperbolico scettico, scopritore dell’interiorità nella quale abita la verità, espressa in modo laconico dallo stesso Agostino con l’affermazione latina: In interiore homine habitat veritas”, scintilla di umanità presente in ogni uomo.


Rimanendo nel tema, altro autore dell’Illuminismo francese che il professore Salvo citava spesso, era Lessing nella incisiva espressione : “se Dio tenesse chiusa nella sua destra tutta la verità e nella sinistra l’impulso sempre vivo alla verità, la ricerca, e mi dicesse scegli! Io gli cadrei con umiltà alla sinistra, e direi: Padre, la pura verità è riservata a te solo!”.

Il focus dell’attenzione in Lessing è spostato sull’uomo nel suo inestinguibile impulso alla ricerca del vero.

Da ciò ne consegue che le rivelazioni di Dio sono da considerarsi non fini in se stesse, bensì puri mezzi pedagogici per educare l’umanità fino a quando non giunga il tempo di una moralità adulta e autonoma in cui il bene verrà compiuto solo per se stesso e non in vista dei premi promessi in seguito alla sua esecuzione o dei castighi minacciati. La questione religiosa, ci ricordava il caro professore, veniva spiegata da Lessing con la parabola dei tre anelli, composta nell' opera Nathan il saggio (1779), ambientata a Gerusalemme durante la terza crociata, che mette in scena il dialogo tra un saggio mercante ebreo Nathan, il sultano di Gerusalemme e un cavaliere templare; si parla di tre anelli che simboleggiano le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islamismo.

 Uno degli anelli è quello autentico, originale; gli altri due sono imitazioni perfette – dice la parabola – indistinguibili da quello vero. Non è dunque possibile sapere quale sia la verità, che si può intravvedere soltanto di riflesso, nell’umanità di chi lo porta al dito; chi si dimostra più umano, più capace di amore e comprensione verso gli altri, più aperto dei tre è colui che verosimilmente ha al dito l’anello vero.  Ma l’impossibilità di conoscere la verità non nega 1a sua esistenza. Essa, dice Lessing, appartiene solo a Dio, mentre il compito dell’uomo è quello di ricercarla, di avvicinarvisi il più possibile. Questa lettura della religione non turbava la mia fede e il senso della ricerca spirituale, a mio avviso ben espressa nella formulazione di S. Paolo nella Lettera agli Ebrei «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» e sempre lo stesso san Paolo che indica il limite alla nostra visione di Dio, noi ora vediamo «per speculum, in aenigmate», come di riflesso, in forma enigmatica (1 Cor. 13, 12).

Ricordo durante la lezione sul pensiero positivistico di Herbert Spencer, secondo il quale l'essenza di ogni religione consiste nell' individuare un senso al mondo e nell’identificare nel senso del mistero il limite alla conoscenza scientifica, il prof. Salvo poneva a noi alunni l' interrogativo su quale fosse la differenza tra l'ignoto e il mistero, fornendo una spiegazione appropriata: l'ignoto è il non conosciuto: nel processo conoscitivo l' apprendimento procede dall' ignoto al conosciuto, al noto; il mistero è la ricerca di senso della realtà non ancora conosciuta, ciò che va oltre la conoscenza.  Ma il filosofo che più di tutti consideravo una sfida alla mia dichiarata fede religiosa fu Ludwig Feuerbach, del quale al 3° anno di liceo il professore mi consigliò la lettura del libro “L’Essenza del Cristianesimo” (preso in prestito dalla biblioteca scolastica). In esso Feuerbach considera Dio come la personificazione immaginaria dell’essenza della specie umana, l’uomo proietta in un ente esterno, Dio, le proprie qualità e caratteristiche migliori e i propri desideri: non è quindi Dio ad aver creato l’uomo ma è l’uomo che crea Dio, il quale è appunto la personificazione dell’essenza migliore dell’uomo. Feuerbach utilizza il termine "alienazione" per indicare che l’uomo proietta fuori di sé le sue migliori caratteristiche e crea dunque un ente a sua immagine a cui conferisce autorità ed a cui si sottomette.

Più che un' edificante esercizio di confutazione il pensiero ateo di Feuerbach provocò in me un vivo interesse, non già verso la teologia, ma verso la filosofia della religione e sul piano storico l’attualità della dottrina sociale della Chiesa  nel fronteggiare i  problemi sociali e politici del mondo contemporaneo.

Oggi ritengo che il senso religioso, riconducibile all'esperienza religiosa, si esprima nelle diverse credenze e nelle manifestazioni del Divino nella storia. In senso laico indica un orizzonte di senso ricercato nell'intimità della propria coscienza.

Fermo restando che il senso religioso è custodito, trasmesso e sviluppato dall' umanità, non soltanto in una dimensione di tradizione religiosa, ma anche di volontà pratica nel realizzare nella storia i valori ideali individuali e collettivi di giustizia, amore, pace, bellezza e amore.

Riannodando i fili della mia memoria, dopo il liceo mi iscrissi nella facoltà di Filosofia che mi diede l'opportunità di approfondire il senso religioso nell' uso del linguaggio comune e filosofico: il senso religioso più che come nozione antropologica trovava per me concretezza nell' etica, nella pratica della volontà. Sul piano della riflessione filosofica nel XX secolo ha suscitato per me interesse e condivisione il pensiero religioso di Ludwig Wittgenstein e l’ermeneutica religiosa di Paul Ricouer a cominciare dalla prima opera di quest' ultimo “Finitudine e colpa”; inoltre, ho molto apprezzato anche il pensiero religioso di due filosofe del Novecento, maturato in modo peculiare nel corso delle loro vicissitudini esistenziali, Edith Stein e Simone Weil, illuminanti nell’ esprimere con le loro intuizioni la concretezza incarnata del senso religioso della vita.  Sul piano delle scelte pratiche, dopo i 20 anni non ho più aderito alla comunità religiosa di CL per tre motivi precisi che sintetizzo: non condividevo alcuni aspetti metodologici dell’esperienza religiosa della comunità proposta da Don Giussani su cui non mi soffermo, il secondo motivo riguardava la dimensione culturale nell'intendere la laicità e il modo di interpretare la secolarizzazione del cristianesimo, il terzo motivo l'impegno politico fattuale di CL, che da movimento si istituzionalizzava nell'adesione alla corrente andreottina della D.C. e da allora le vicissitudini nel tenere insieme opere di volontariato, potere politico, gestione amministrativa della "res pubblica" e comunità ecclesiale.

Sul piano religioso mi sentivo vicino al metodo della lectio divina spiegata dal Cardinale Carlo Maria Martini a cui va il merito anche di aver istituito La Cattedra dei non credenti, occasione per dialogare con le ragioni dei non credenti, mostrando la responsabilità che ha il credente di rendere conto della ragionevolezza della fede, esperienza che matura nell’interiorità dell’ uomo nel suo percorso di autocoscienza,  “l’assenso reale risultato di un itinerario di crescita che passa (come insiste Newman) attraverso varie prove” ( C.M.Martini - La radicalità della fede,1991 ed.Piemme, p.12 ). 

Sul piano della storia della Chiesa ho seguito la dottrina sociale della Chiesa e il magistero di Papa Giovanni Paolo II, in particolare quanto espresso nel documento pontificio del 27/04/1997 "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato" in cui il santo padre riconosce le colpe della Chiesa cattolica, soggetto unico nella storia, per un verso intesa dalla "comunità" dei credenti, come comunione di santi che formano il corpo mistico di Gesù Cristo risorto, per altro verso come riflesso sociale del peccato dei singoli, non escludendo i mali sociali come accumulo dei peccati personali tra i componenti del Popolo di Dio, sia nella vita religiosa, che nel laicato.

Negli anni a seguire una citazione di Don Giussani (Il rischio educativo, 1977 ed. Jaca Book, p.17) su C. G. Jung mi è sempre risuonata come un mantra per comprendere meglio il rapporto tra psicologia e religione, cito testualmente “la realtà non è mai veramente affermata, se non è affermata l’esistenza del suo significato”, che nel lavoro psicoanalitico corrisponde all’esortazione dello stesso Jung: “Rendi cosciente l’inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”.

In Jung ho apprezzato molto il conflitto interpretativo sul problema religioso con il teologo ebreo Martin Buber, il quale in Eclissi di Dio richiama Jung sui limiti della scienza psicologica nel comprendere il fenomeno religioso; di contro il fondatore della psicologia analitica in Psicologia e religione, evidenzia il limite della psicoanalisi di non varcare il confine della conoscenza empirica «il mio unico mezzo di conoscere è l'esperienza» (op. cit., p. 463) e inverte l’onere della prova asserendo che non è più la scienza a dover dimostrare di non aver oltrepassato tale limite, ma è la religione a dover giustificare il perché dell'oltrepassamento. Jung, del resto, aveva già dichiarato che questo andar oltre «concerne la teologia, la rivelazione e la fede» (op. cit., p. 464).

Jung nel già citato testo di fronte alle tragiche esperienze «dai fatti diabolici del nostro tempo: i sei milioni di ebrei trucidati, le innumerevoli tribolazioni inferte dallo schiavismo sovietico e l'invenzione della bomba atomica, tanto per fare alcuni esempi del lato tenebroso» (op.cit., p. 463), incessante ritorna la domanda presente nel risvolto di copertina della Risposta a Giobbe: «Che ne dice un Dio benevolo e onnipotente? Ecco l'interrogazione disperata, mille volte ripetuta».

Altri aspetti rilevanti della polemica con Buber riguardano a mio avviso l’interpretazione dell’esperienza religiosa alla luce dello sguardo di colui che l’osserva mediante tre dimensioni della psiche che riguardano il reale, l’immaginario e il simbolico.

Queste dimensioni della psiche nel rapporto significante con il sacro, trovano secondo me, spiegazioni interpretative convincenti nella psicologia transpersonale sia di Abraham Maslow ("Verso una psicologia dell'essere" ed. Astrolabio, 1978) che del fondatore della Psicosintesi, Roberto Assagioli ("Lo sviluppo transpersonale" ed. Astrolabio, 1988), libro che raccoglie gli scritti dello psichiatra fiorentino R. Assagioli, compresi tra il 1921 e il 1973, e tutti dedicati a indagare le vie e le dinamiche che caratterizzano la dimensione transpersonale nell'uomo.

Come pure mi sembrano rilevanti per comprendere l’atto di fede alla luce del linguaggio dell'inconscio i contributi di V. Frankl ("Dio nell'inconscio" ed. Morcelliana, 2014) e della psicoanalisi lacaniana, in particolare nelle opere di Françoise Dolto ("Psicanalisi del vangelo" ed. Rizzoli, 2000 e "La fede alla luce della psicoanalisi. La vita del desiderio. Dialoghi con Gérard Sévérin" ed. et al. collana Lacaniana, 2013 ) e di Massimo Recalcati  ( La notte del GetsemaniEinaudi, 2020 – “ Il grido di GiobbeEinaudi, 2022 – “La Legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisiEinaudi, 2024 ).

Con linguaggio psicologico limpido e chiaro, questi psichiatri e psicanalisti descrivono il processo di risveglio e lo sviluppo della coscienza spirituale e gli effetti che esso produce nella vita interna ed esterna dell'uomo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 


2 commenti:

  1. Molto interessante e coinvolgente la narrazione del tuo percorso di evoluzione del senso religioso, dove la spiritualità non è intesa come trascendenza e astrazione, bensì come una dimensione che cambia la vita nella concretezza e nella pratica interiore.
    È toccante constatare che la guida orientante di questa visione sia stato il grande Prof. Salvo, il quale è stato un riferimento fondamentale per tutti coloro che hanno avuto l'onore di beneficiare dei suoi insegnamenti, a riprova della responsabilità che la scuola deve avere per le scelte di vita dei giovani.
    Focale è il magistero di Papa Giovanni Paolo II. Ritengo che anche Papa Francesco sia un testimone coerente di una religiosità coi piedi per terra, saldamente fedele al proprio tempo: l'unico modo per servire Dio e rispondere responsabilmente alla storia.

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    1. Ti ringrazio di cuore del Tuo autorevole commento, avendo ricevuto pure tu l' insegnamento educativo del prof. Salvo e di tanti professori che in diversa misura hanno influenzato la nostra formazione culturale e umana.
      Anche la concretezza della testimonianza di Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco sono esempio dell' azione dello Spirito Santo nella storia, grazie.

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