di Francesca Saieva
Che il 2011 non si sia fatto mancare nulla (catastrofi nucleari, calamità naturali e non) è indiscutibile. Ma ancor più evidente mi sembra (come dice una celebre canzone) che “l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. E giorno dopo giorno, le testate giornalistiche lo confermano; piazza Tahir continua a ‘bruciare’ nonostante l’era post-Mubarak; non di certo più pacifiche le notizie di questo mese dal fronte siriano, dove continuano le manifestazioni contro Bashar Al Assad. Che dire poi del carico di bambini sbarcati, in questi giorni, con un gommone a Otranto, e di Samb e Diop, senegalesi assassinati a Firenze (culla della civiltà e cultura) da un ‘killer’ razzista, o per mano (secondo i più reticenti) di un pazzo omicida?
Né più tranquilli sono in Israele: la vittoria degli islamisti in Egitto preoccupa non poco il ministro israeliano, Ehud Barak che teme per le sorti del trattato di pace israelo-egiziano.
Senza omettere, ovviamente, i rovesci di fortuna di ‘governi illuminati’, ma non troppo, nelle alterne vicende di politica interna e, così pure, l’ira delle piazze, impegnata a gestire e fronteggiare recenti ‘manovre di guerra’.
Fare il punto della situazione è certo difficile, ma doveroso come quando proviamo a tirare le somme dal nostro vissuto. Ogni anno ha, infatti, il suo bilancio e i suoi traguardi (trasfigurati all’arrivo, o semplicemente ‘altri’ perché dimenticati già in partenza).
E in questi ultimi giorni dell’anno, ovunque tira la stessa aria, perché in fondo ci chiediamo tutti la stessa cosa. Che fine ha fatto la primavera araba? E la primavera delle piazze, perché tarda a raccogliere i suoi frutti? Saranno tutti frutti amari?
Insomma l’anno che sta finendo ci lascia un po’ confusi e amareggiati, forse perché (poco accorti alla mitica ‘invenzione’ disneyana e allo speranzoso Fievel che da tempo ci aveva avvertiti) non è poi così vero che “non ci sono gatti in America – e soprattutto che “ci regalano il formaggio”.
Certo è, però, che siamo abituati agli ‘imprevisti della diretta’. Già lo scorso anno, infatti, l’intellettuale attivista Liu Xiaobo (firmatario e creatore del manifesto per la democrazia in Cina) insignito al premio Nobel per la pace, non ha potuto presenziare alla cerimonia perché in carcere, dove si trova tutt’ora. E le consequenziali contraddizioni, non preventivate da propositi e iniziative insospettabili, imperversano. Alcuni giorni addietro, infatti, dei dimostranti, davanti la sede dell’Onu di Pechino, sono stati arrestati. I fermi, c’informa la stampa, sono partiti subito dopo gli appelli lanciati da premi Nobel per la pace e vari organizzazioni internazionali per i diritti umani, schieratisi contro il governo cinese per il rilascio di alcuni dissidenti, tra cui l’attivista Liu Xiaobo.
Che la lotta per i diritti umani rientri tra i “reati d’opinione”?
Eppure il bilancio di Ban Ki-Moon è carico di speranze. Secondo il leader dell’Onu ( il suo appello in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani), la richiesta di giustizia, uguaglianza e dignità è giunta, in particolare quest’anno, da ogni dove.
Lottare per i diritti umani significa concretizzare il diritto in sé (il nostro e quello degli altri), quale partecipazione attiva alla vita; compito di ogni uomo è far sì che questo diritto venga difeso, per evitare che rimanga una parola vuota in un vecchio documento. È quindi ai diritti umani e alla responsabilità per i crimini contro l’umanità che punta Ban Ki-Moon, consapevole, però, che nel mondo continuano a perpetuarsi inaccettabili forme di repressione e violenza; e “soffocare il dibattito pubblico ed eventuali critiche bloccando l’accesso a internet e ai social media” è una di queste.
La parola ‘libera’ non sparge sangue, piuttosto imprime le sue idee come linee taglienti, affilate come spade. È l’unica arma da ‘combattimento’ che merita di essere usata.
E se tu, caro lettore, nella cernita del prendere e lasciare di fine anno, stai ancora indugiando, fai pure, ma affrettati perché un nuovo brindisi ti attende. Il 2012 è l’anno che verrà e che non sia soltanto questa la novità.
P.S. Cari lettori, vi dò appuntamento con la mia rubrica "lettere insulari" alla prossima settimana. Buon 2012!
Francesca Saieva
Che il 2011 non si sia fatto mancare nulla (catastrofi nucleari, calamità naturali e non) è indiscutibile. Ma ancor più evidente mi sembra (come dice una celebre canzone) che “l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. E giorno dopo giorno, le testate giornalistiche lo confermano; piazza Tahir continua a ‘bruciare’ nonostante l’era post-Mubarak; non di certo più pacifiche le notizie di questo mese dal fronte siriano, dove continuano le manifestazioni contro Bashar Al Assad. Che dire poi del carico di bambini sbarcati, in questi giorni, con un gommone a Otranto, e di Samb e Diop, senegalesi assassinati a Firenze (culla della civiltà e cultura) da un ‘killer’ razzista, o per mano (secondo i più reticenti) di un pazzo omicida?
Né più tranquilli sono in Israele: la vittoria degli islamisti in Egitto preoccupa non poco il ministro israeliano, Ehud Barak che teme per le sorti del trattato di pace israelo-egiziano.
Senza omettere, ovviamente, i rovesci di fortuna di ‘governi illuminati’, ma non troppo, nelle alterne vicende di politica interna e, così pure, l’ira delle piazze, impegnata a gestire e fronteggiare recenti ‘manovre di guerra’.
Fare il punto della situazione è certo difficile, ma doveroso come quando proviamo a tirare le somme dal nostro vissuto. Ogni anno ha, infatti, il suo bilancio e i suoi traguardi (trasfigurati all’arrivo, o semplicemente ‘altri’ perché dimenticati già in partenza).
E in questi ultimi giorni dell’anno, ovunque tira la stessa aria, perché in fondo ci chiediamo tutti la stessa cosa. Che fine ha fatto la primavera araba? E la primavera delle piazze, perché tarda a raccogliere i suoi frutti? Saranno tutti frutti amari?
Insomma l’anno che sta finendo ci lascia un po’ confusi e amareggiati, forse perché (poco accorti alla mitica ‘invenzione’ disneyana e allo speranzoso Fievel che da tempo ci aveva avvertiti) non è poi così vero che “non ci sono gatti in America – e soprattutto che “ci regalano il formaggio”.
Certo è, però, che siamo abituati agli ‘imprevisti della diretta’. Già lo scorso anno, infatti, l’intellettuale attivista Liu Xiaobo (firmatario e creatore del manifesto per la democrazia in Cina) insignito al premio Nobel per la pace, non ha potuto presenziare alla cerimonia perché in carcere, dove si trova tutt’ora. E le consequenziali contraddizioni, non preventivate da propositi e iniziative insospettabili, imperversano. Alcuni giorni addietro, infatti, dei dimostranti, davanti la sede dell’Onu di Pechino, sono stati arrestati. I fermi, c’informa la stampa, sono partiti subito dopo gli appelli lanciati da premi Nobel per la pace e vari organizzazioni internazionali per i diritti umani, schieratisi contro il governo cinese per il rilascio di alcuni dissidenti, tra cui l’attivista Liu Xiaobo.
Che la lotta per i diritti umani rientri tra i “reati d’opinione”?
Eppure il bilancio di Ban Ki-Moon è carico di speranze. Secondo il leader dell’Onu ( il suo appello in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani), la richiesta di giustizia, uguaglianza e dignità è giunta, in particolare quest’anno, da ogni dove.
Lottare per i diritti umani significa concretizzare il diritto in sé (il nostro e quello degli altri), quale partecipazione attiva alla vita; compito di ogni uomo è far sì che questo diritto venga difeso, per evitare che rimanga una parola vuota in un vecchio documento. È quindi ai diritti umani e alla responsabilità per i crimini contro l’umanità che punta Ban Ki-Moon, consapevole, però, che nel mondo continuano a perpetuarsi inaccettabili forme di repressione e violenza; e “soffocare il dibattito pubblico ed eventuali critiche bloccando l’accesso a internet e ai social media” è una di queste.
La parola ‘libera’ non sparge sangue, piuttosto imprime le sue idee come linee taglienti, affilate come spade. È l’unica arma da ‘combattimento’ che merita di essere usata.
E se tu, caro lettore, nella cernita del prendere e lasciare di fine anno, stai ancora indugiando, fai pure, ma affrettati perché un nuovo brindisi ti attende. Il 2012 è l’anno che verrà e che non sia soltanto questa la novità.
P.S. Cari lettori, vi dò appuntamento con la mia rubrica "lettere insulari" alla prossima settimana. Buon 2012!
Francesca Saieva
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