“Un brutto pasticcio“ questo è quanto
affermano i commentatori stranieri quando parlano della Palestina riferendosi
al groviglio di situazioni storico-politiche, di interessi divergenti, di
dispute internazionali etc. Ma come mai si è arrivati ad una tale situazione
intricata? Chi ha ragione e chi ha torto? Come mai non si riesce a venirne
fuori malgrado una serie di iniziative intraprese dall’ONU, dalle grandi
potenze, dalla comunità cristiana, islamica, ebraica?
Cominciamo col dire che i protagonisti principali della regione non sono solo gli ebrei dello
Stato d’Israele e gli arabi della
Palestina, ma hanno un ruolo importante
anche gli arabi cristiani presenti nel territorio, oltre agli ebrei
sparsi in varie parti del mondo, ma
comunque in grado di far sentire la loro influenza, in particolare la comunità
del nord America.
Altri
protagonisti affacciatisi prepotentemente sul palcoscenico sono le varie
organizzazioni palestinesi al cui interno opera
un braccio armato e perciò definite in Occidente estremiste quali A queste organizzazioni, che sono locali, bisogna aggiungere Al-Qaeda, che è una rete mondiale di combattenti sunniti divenuta famosa in particolare per l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001; gli Hezbollah, partito politico sciita libanese con notevoli appoggi in Siria e dotato di proprie milizie armate e di strutture sociali, Jaljalat, gruppo islamico salafita armato, operante nella striscia di Gaza.
Accanto a questi attori principali si sono esibiti nel corso degli anni, con ruoli a volte molto importanti a volte secondari,
Per cercare di capire almeno i principali problemi che incombono sugli abitanti della zona dobbiamo considerare alcuni eventi storici.
I popoli semiti, cioè quelle popolazioni il cui idioma fa parte di un unico ceppo
linguistico e che comprendono principalmente Ebrei, Arabi, Cananeo-Fenici, cominciarono a popolare la Palestina dal 3000 a .C. Gli Ebrei giunsero in questa regione a partire dal 1200 a .C. Queste migrazioni
erano dovute ad un periodo di grande aridità che spingeva molte popolazioni a
cercare nuovi territori. Le popolazioni ebraiche primitive, anche grazie ai
contatti con le popolazioni vicine, raggiunsero un buon tenore di vita,
fondarono insediamenti urbani e svilupparono le pratiche religiose.
Con
il progredire delle istituzioni vengono costituiti due regni ebraici: il Regno di
Israele ed il Regno di Giuda, ma Nel 586
Nel 539 Ciro di Persia conquistò Babilonia e sotto il suo regno tollerante gli Ebrei poterono tornare alle terre da cui si erano dovuti allontanare. Successivamente nel
L’epoca romana inizia nel
che diventa provincia romana.
Gli ebrei avevano sempre mantenuto una forte
identità nazionale: i loro costumi e la loro religione mal si conciliavano con
gli occupanti e ciò portò allo sfociare di varie rivolte che ebbero come
conseguenza la distruzione di Gerusalemme, una prima volta nel 70, ad opera dell’imperatore Tito, ed una
seconda volta nel 135, durante il regno
di Adriano.
Allo scopo di prevenire qualsiasi
sollevazione futura contro i Romani, l’imperatore emanò la disposizione che proibiva agli Ebrei di
risiedere a Gerusalemme. In seguito a questo evento il popolo ebreo si disperse: sarà la grande
la diaspora ebraica.
L’epoca araba della Palestina inizia nel 638.
Le truppe del califfo Omar entrano in Gerusalemme strappando la regione
all’impero bizantino che era succeduto a
quello romano; iniziano forti
immigrazioni di coloni arabi con la conseguenza che la lingua locale, l’aramaico,
scompare sostituita dall’arabo.
Il cambiamento demografico dei popoli della Palestina nel corso dei vari secoli in seguito alle vicende storiche, è stato molto mutevole. Si calcola che a metà del 1800, su 300 mila abitanti 10 mila fossero Ebrei.
Verso la fine di questo secolo però inizia una significativa migrazione ebraica e la nascita del Sionismo, il movimento nazionale ebraico il cui intento era quello del ritorno degli ebrei sparsi nel mondo in Palestina, che a quell’epoca era una provincia ottomana, e la creazione di uno Stato ebraico. Gli ebrei avevano sempre considerato
Nel
1902 durante il sesto congresso ebraico, fu discussa l’offerta britannica di
creare uno Stato ebraico in Uganda. La proposta fu approvata, ma non ebbe un
seguito.
Nel
1917 durante la prima guerra mondiale, mentre l’impero ottomano stava
crollando, Nel 1920
Gli attriti maggiori non erano dovuti tanto all’arrivo di nuovi abitanti, quanto alle controversie sul possesso dei territori. Per il diritto inglese gli agricoltori arabi non avevano mai provveduto a regolarizzare la proprietà dei loro terreni e quindi questi potevano essere acquistati dai coloni ebraici.
La situazione precipitò, tra il 1936 ed il 1939 scontri sempre più violenti portarono ad una guerra civile.
All’inizio
del 1947 la Gran
Bretagna , nell’ambito del suo progetto di decolonizzazione,
rimette il mandato palestinese alle
Nazioni Unite, ma mantiene le rigide limitazioni all’immigrazione. Un caso
clamoroso si verifica nel 1947 quando la nave Exodus con circa 4500 ebrei
tedeschi sopravvissuti ai campi di concentramento, viene respinta e costretta a
ritornare in Europa.
Il
29 novembre 1947 l’assemblea generale delle Nazioni Unite approva la
risoluzione n. 181. Secondo questo atto il territorio britannico della
Palestina doveva essere diviso in due
Stati, uno ebraico ed uno arabo, mentre la zona di Gerusalemme doveva diventare
una zona internazionale sotto il controllo dell’ONU.I territori assegnati all’uno e all’altro Stato erano a “macchia di leopardo” quindi non avevano continuità territoriale il che avrebbe comportato difficoltà nell’amministrazione delle varie aree.
Le reazioni a tale risoluzione furono molto diverse, la maggior parte delle organizzazioni ebraiche l’accettò giudicandola come un’occasione per avere finalmente una patria e rientrare in possesso dei luoghi dove era nato l’ebraismo; la popolazione araba della Palestina e gli Stati arabi rifiutarono la proposta con varie motivazioni. Chi si lamentava della non contiguità territoriale e della opinabilità dell’assegnazione delle varie aree, chi era contrario alla creazione di uno Stato ebraico, chi vagheggiava la creazione di una grande nazione arabo-palestinese e non voleva la presenza di ebrei sul territorio.
Lo stesso giorno gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Libano, Iraq attaccano in forze l’appena costituito Stato d’Israele ed il segretario generale della lega araba annuncia l’inizio di “una guerra di sterminio e di massacro della quale si parlerà come dei massacri dei Mongoli e delle crociate”.
L’offensiva viene prima bloccata dal neonato Stato ebraico che poi passa al contrattacco. La guerra termina con la sconfitta araba, Israele occupa vari territori prima posseduti dai palestinesi e ciò determina una grande fuga creando più di 711 mila profughi fuggiti dagli orrori della guerra o costretti ad abbandonare le loro proprietà. Ad essi sarà impedito il ritorno nelle loro terre e neppure gli Stati arabi confinanti permetteranno ai profughi di entrare nei loro territori.
Contemporaneamente 10 mila ebrei che risiedevano nella zona rimasta araba della Palestina, furono costretti ad abbandonare i loro insediamenti e circa 800 mila Ebrei che vivevano nei Paesi arabi furono indotti a lasciare le loro case; di essi 600 emigrarono in Israele, i restanti si rifugiarono nei principali Paesi occidentali.
L’esito del conflitto colse tutti di sorpresa, mentre gli Stati arabi schierarono mezzi corazzati, aerei ed artiglieria, gli Israeliani, almeno inizialmente, disponevano solo di armi leggere e di personale con addestramento sommario, anche se molto determinato, ma un grave svantaggio per
La guerra si concluse con l’armistizio di Rodi che in pratica avrebbe comportato solo una tregua e si concretizzò con una linea verde tracciata sulla carta geografica della Palestina che secondo i protagonisti non avrebbe dovuto essere considerata in alcun modo un confine di Stato.
Nel 1950 il regno di Transgiordania annette
La guerra dei sei giorni ebbe inizio il 6 giugno 1967. L’Egitto di Nasser nazionalizza il Canale di Suez e viene annunciato il divieto alle navi israeliane di attraversarlo. Israele sostenuta da Gran Bretagna e Francia, che detenevano fino ad allora il controllo del canale, appoggiano Israele nella reazione militare contro l’Egitto. A questo punto Siria e Trasgiordania intervengono a favore dello Stato arabo, mentre l’Iraq, l’Arabia Saudita, il Kuwait e l’Algeria lo appoggiano con truppe ed armi. Il conflitto si risolve in pochi giorni a favore di Israele che occupa tutta
Le conseguenze di questo nuovo conflitto risultarono gravissime. Lo scontro tra Ebrei ed Arabi all’interno del territorio palestinese si trasformò in guerriglia con una militarizzazione del movimento di liberazione arabo ed il ricorso ad attentati violenti ed indiscriminati.
Il 6 ottobre del 1973 Anwar Sadat, successore di Nasser alla presidenza dell’Egitto, tenta nuovamente un’azione di forza, sfruttando l’effetto sorpresa offerto dalla festività ebraica del Yom Kippur. Le armate di Egitto e Siria attaccano Israele ma, dopo i primi successi, gli eserciti arabi sono costretti alla ritirata.
La
politica egiziana negli anni successivi subisce una svolta, Sadat si convince
dell’irrimediabilità della presenza israeliana in Palestina e della necessità
di normalizzare i rapporti con lo stato vicino. Spinto anche da pressioni
statunitensi, avvia una serie di contatti diplomatici che portarono al
riconoscimento dei due Paesi ed al trattato di pace di Washington del 1979. Molte organizzazioni arabe non accolgono favorevolmente tale situazione,
Sadat viene tacciato di tradimento della causa araba ed assassinato
nell’autunno 1981.
La storia più recente è tutta costituita da una
serie di scontri, rivolte, guerre e guerriglie tra Arabi e Israeliani.
Il processo di pace è
reso difficile dal fatto che alla presenza dei
vertici istituzionali di Israele ci sia
il premier in carica Benjamin Netanyahu appartenente al Likud, partito
di destra, fautore del mantenimento dell’occupazione dei territori palestinesi,
contemporaneamente nella striscia di Gaza, è risultata vincitrice nelle
elezioni politiche l’organizzazione Hamas, molto ramificata nella vita sociale
della comunità araba locale, ma sostenitrice di una linea di scontro aperto con
Israele, tale organizzazione è ritenuta responsabile di vari attentati contro
l’esercito e la popolazione civile israeliana.
In caso di un accordo sia il Likud che Hamas
perderebbero il consenso elettorale e l’appoggio di alcuni Stati che li
sostengono, da qui il loro interesse nel
mantenere una situazione di tensione e di scontri. Altre organizzazioni di liberazione della Palestina hanno nel loro statuto la cancellazione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con uno stato islamico-palestinese.
Dall’alta parte uno dei problemi sorti negli ultimi decenni é costituito dalle “colonie”; sono comunità abitate da israeliani, in pratica villaggi, sorti nei territori palestinesi occupati nel corso della guerra dei sei giorni e ritenute illegali dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e da altri organismi internazionali.
Se si ha occasione di andare a Betlemme, balza agli occhi in tutta la sua evidenza quanto il paesaggio biblico millenario sia stato trasformato; i vasti orizzonti che un tempo si vedevano a nord-est sulle alture verdi di ulivi e viti sono ora limitati dall’insediamento ebraico di Har Homa; ci vivono 15 mila coloni circondati da chilometri di filo spinato carico di elettricità. A nord-ovest sorgono le villette a schiera di un’altra colonia, quella di Gilo, abitata da 40 mila israeliani.
Oltre a questo, l’altro grande problema è costituito dalla difficoltà per i palestinesi di muoversi liberamente dovuto alla costruzione da parte di Israele di una “barriera difensiva” che in pratica racchiude tutta
Il
muro è un sistema di barriere fisiche costruito da Israele in Cisgiordania a
partire dalla primavera del 2002 ed è attualmente lungo 730 km . I palestinesi denunciano quest’opera
come un attentato ai diritti umani dovuto alla mancanza di libertà di movimento
ed al conseguente isolamento di alcuni villaggi. Esso inoltre viene visto come
un tentativo di annessione di parte dei territori palestinesi occupati da
Israele poiché il suo tracciato in certi punti ingloba una porzione del
territorio occupato.
Israele
ribatte che la costruzione del muro ha consentito di salvare molte vite umane,
dato il netto decremento degli attentati avvenuti dopo la sua costruzione ed
inoltre ha consentito alla sua popolazione una vita più serena.
Che
fare allora per risolvere la situazione? L’errore sarebbe, a mio parere, quello
di affidare ai negoziatori israeliani e
palestinesi la ricerca della via della pace: ci sono troppi interessi in gioco
e dietro le quinte sono troppi gli Stati coinvolti.
Certamente
la Palestina
dovrebbe essere divisa in due Stati. I confini dei due Stati dovrebbero essere
decisi dall’ONU, tramite un comitato di
saggi competenti ed indipendenti.
La
popolazione avrebbe il diritto di scegliere a quale Stato appartenere o dove
rimanere, con la possibilità di spostarsi liberamente ed inoltre sarebbe
indennizzata per i beni che dovesse lasciare (case, terreni, greggi, etc.). Le colonie ebraiche così come sono state concepite, dovrebbero essere trasformate in villaggi aperti
a tutti.
La zona di Gerusalemme comprendendo anche Betlemme, diventerebbe così una zona internazionale amministrata dall’ONU e ciascuno dei due Stati dovrebbe scegliersi una capitale diversa.
Tutte le organizzazioni paramilitari dovrebbero sciogliersi, consegnare le armi e rinunciare a qualsiasi forma di violenza. I membri di tali organizzazioni che non volessero sottostare a questi patti dovrebbero essere espulsi dal territorio e l’ONU dovrebbe garantire tutto questo, anche intervenendo con la forza.
Questa è una soluzione troppo semplice per un problema così complesso? Può darsi, ma i problemi si risolvono se c’è la volontà di risolverli, non se sono semplici.
Un interessantissimo e didascalico saggio. Complimenti
RispondiEliminanzo Barone