sabato 2 febbraio 2013

La giusta distanza


Jason Pollock Convergence
di Francesco Scrima  
“Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi
inutilmente. Io, mostro da niente”
(Sandro Penna)

   Mio adorato bene,

è la prima volta che scrivo una lettera che non spedirò mai e che nessuno leggerà. Ma sarà comunque la nostra lettera. La mia unica lettera per te.
   Tu non mi conosci. Io sì, ti conosco, da quella volta in cui sei apparso, bello come un dio, fra le chiuse di legno d’una finestra, e il tuo sguardo si è perso lontano, nei bagliori d’un orizzonte che non potevo vedere, perché era al di sopra di me – al di sopra di tutto.
   Sembravi Ippolito, il cacciatore vergine, che insegue l’onda impetuosa con l’impeto dei vent’anni e non sa quale destino la crudele Afrodite prepari per lui e non conosce altro amore che la forza della sua giovinezza.

   E’ per questo che mi piace chiamarti così, Ippolito, ignaro del tuo vero nome e di ogni cosa che riguardi la tua vita.
   Eppure, mi pare di sapere tutto di te.
   Ti vedo, già alle prime ore del mattino, agitarti d’una fretta senza ansia, proprio lì, nella tua stanza, all’ultimo piano del palazzo di fronte a me; e poi, dopo una breve sosta alla finestra – quella sosta, quella che risplende magnifica nel mio cuore -, precipitarti giù lungo le scale e fino al portone, dove scambi qualche parola col portiere, ignobilmente distratto da chissà quale stupido pensiero, mentre i miei occhi si nutrono delle tue labbra semichiuse, carnose, appena più rosee delle guance.
   Ti osservo a lungo, e ogni frazione di secondo è lungo quanto una vita.
   Hai movimenti composti, di giovane vestale; muovi braccia e gambe seguendo il ritmo del mio cuore, e nessun gesto è privo di grazia, e di malizia, e ridondante di messaggi ai più segreti. Non a me, non a chi saprebbe renderti felice.
   Sei felice, mio Ippolito?
   Cosa scrutano solenni i tuoi occhi nell’umido liquore del mattino?
   Cosa provi dentro, sì proprio dentro le viscere, quando accendi la prima sigaretta – sempre in quel preciso momento, sempre a quell’angolo povero di strada – e poi ti guardi attorno indeciso se andare o se restare?
   Perché non guardi mai verso l’alto? Ci sono io, lassù, serenamente disperato.
   L’ultima tirata è anche l’ultima immagine del tuo bel viso mattutino. Quindi, deciso adesso, mi volti le spalle, e via, verso un tuo lontanissimo amore. E ti perdo così, ogni giorno, fino al momento in cui il tramonto ti riporterà, inconsapevole, da me.
   Che puoi saperne, tu, leggiadro Ippolito, delle nebbie che avvolgono certi cuori? delle fitte di piacere e di dolore che straziano i corpi e le anime perdute degli innocenti che una sorte – rea per la gente da poco, per me munifica – ha condannato a non poter amare se non di nascosto?
   Da quale distanza mi è permesso guardarti? è proprio questa la giusta distanza? E potrò mai parlare con te come una fanciulla innamorata? e toccarti, baciarti sulla bocca?
   Ti vergogneresti per me, lo so bene.
   Ma io ti amo lo stesso. E t’immagino puro nella tua violenta bellezza, e vergine come una creatura dei boschi, e riluttante ad ogni amore.
   Ti prego, non cadere nelle braccia della tua matrigna, caro Ippolito, e di nessun’altra donna… Loro non possono capirti, capire la pienezza della tua giovane mente, la magia che m’incanta del tuo corpo perfetto, desiderato – e di quel luogo che mi esplode nel cervello.
   Le donne non potranno mai amarti quanto ti ama il mio dolore, il mio sguardo straziato di gioia, quanto le pupille che accarezzano il luogo dove non sei, finché non sarai di nuovo dentro di loro. Finché non sarai loro.
   Fino a quando non sarai, per qualche breve attimo, mio. Mio per poco e per sempre.

   Addio, mio unico bene, Ippolito. Addio.

15 commenti:

  1. Bel racconto, delicato e prezioso come sempre.

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  2. Esiste una giusta "distanza" per l'amore, caro Francesco?
    Quando penso di rendere un'immagine alla parola "amore" penso a corpi in stretto contatto, a pensieri che si fondono, a piena condivisione di emozioni e sentimenti.
    Una qualunque distanza, in amore, per me diventa lontananza. Come può quindi essercene una "giusta"? E ancora, è amore quello che descrivi, così immancabilmente unilaterale?
    Forse, però, nel mondo reale e senza distinzione di genere, l'amore che vuole rimanere puro può esistere solo con la "giusta" distanza.

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  3. "La giusta distanza" è quella che separa ciò che siamo da ciò che vorremmo essere, ciò che abbiamo da ciò che vorremmo avere. Acquisirla è quasi come un "prodigio/ che schiude la divina Indifferenza...".
    Francesco

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  4. Nel momento in cui si afferra l’oggetto d’amore, esso svanisce; svanisce l’incanto di quell’attimo d’eternità in cui il desiderio affiora nello scorgere il suo Ippolito dalla finestra. L’amore che si nasconde, come ogni cosa profonda , è il primo sguardo d’amore; quando si guarda l’amato e lui non sa di essere guardato e desiderato , c’è una purezza infinita in questo sguardo non corrisposto, una potenzialità infinita che la vicinanza, l’afferrare l’oggetto d’amore annulla irreparabilmente.
    La quotidiana vicinanza , tanto bramata come compimento e coronamento dell’amore, l'essere finalmente “sotto lo stesso tetto”, rompe l’incanto della lontananza , svanisce il mistero. Meno ci si conosce più ci si ama.
    Trovo il racconto molto bello perchè nella sua brevità apre una profondità insondabile
    Sandra

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  5. mi accorgo adesso (su indicazione di enzo) di essermi di nuovo involontariamente "sovrapposto" al racconto di francesco, editando, poche ore dopo, i versi di daniela. mi scuso con lui, le prossime volte starò più attento :-) ciao

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  6. Pensavo che questo spazio servisse ai lettori per commentare quello che viene pubblicato. E comunque, si parva licet, le scuse pubbliche si addicono ad un politico o ad un grande letterato. Ed io - per fortuna - non sono nè l'uno nè l'altro.
    Francesco Scrima

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  7. Il tuo breve ma intensissimo racconto mi ha emozionato come sempre,complimenti Francesco.
    Un saluto Loredana

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  8. Che ne sa Ippolito?
    Lui così fiero,così coraggioso,lui che va incontro al suo destino,lui che non sa cosa si nasconde dietro l'angolo.
    Che ne sa Ippolito?
    Lui che non conosce l'amore,lui che non sa cosa significa avere l'anima straziata e il cuore distrutto.
    Cosa ne sa Ippolito di cosa significa rimanere? Lui è come il vento,lui non sosta mai,lui decide sempre di andar via perché in cerca di altro,in cerca di tutto ciò che non trova.Ippolito non alza mai lo sguardo.
    Cosa ne sa Ippolito? lui cosa può sapere degli sguardi affamati di colui che sta dietro ad una finestra ?Che ne sa Ippolito di chi aspetta il tramonto?
    Ippolito,tu non sai,è questo il problema!
    Non sai. non sai dei tuo occhi-sabbie mobili da cui non si può uscire.
    Non sai,caro Ippolito,della tua grazia,della tua bellezza dolorosa,e come questa riesca ad abitare certi cuori.Non senti Ippolito,gli sguardi che nascono con i tuoi respiri e i baci morire sulla tua pelle.Non sai,coraggioso cacciatore,di colui che desidera che le tue mani gli accarezzino l'anima con la forza e la dolcezza del tuo essere.Non sai delle tue labbra disegnate dalla passione e così bramose d'amore.Non sai dell'immensità che ti vive dentro ed esplode fuori ,non sai di colui che desidera morire nella stretta delle tue braccia.Ippolito, la tua assenza rimbomba nella testa.Ippolito,non potrai mai sapere di far parte di un noi.Non potrai mai sapere che chi ti ammira da lontano, ti ama.Ti ama nonostante tutto.Non potrai sapere,caro Ippolito,di chi ti perde ogni giorno senza mai perderti veramente.Non sai.Non saprai che colui che ti ama da lontano,non può farlo in nessun altro modo se non così:con la giusta distanza, perché è amore,amore vero,troppo grande,"al di sopra di tutto". Per poco,per un attimo, per sempre.

    Giulia

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  9. Tu non sai, cara Giulia, quanto sei vicina alle soglie dell'infinito; non sai quanta bellezza può nascondersi nell'emozione d'un attimo; non sai cosa si prova a leggersi nelle parole di qualcuno che è come te per elezione. E non sai che non tutte le farfalle vivono un solo giorno: alcune di loro volano per sempre.
    Francesco

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  10. Straordinario l'espediente di Ippolito indice di grande sensibilità intellettuale. il dolce Ippolito rappresenta quell'amore ancora acerbo, non pronto a percepire le struggenti tensioni di un amore maturo, di un amore che si è già perso tra i grovigli misteriosi e seduttivi dell'animo umano. Ippolito,fanciullo o fanciulla non importa perché nel racconto è un angelo che si fa ammirare splendente della sua purezza, e ciò che ognuno di noi è stato e non sarà più. La giusta distanza non è dettata da canoni spazio temporali ma dalla consapevolezza di ciò che si era quando ancora Eros non aveva lanciato il suo dardo infuocato. Un racconto di una dolcezza e di una sensualità che solo il mito può spiegare e raccontarci. Un racconto,questo di Scrima, soave e profondo,come sempre capace di entrare a piedi nudi dentro l'anima.
    Almachilde

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    1. Bisogna distanziarsi dalle cose per averne contezza e possederle per sempre. Il mio sguardo è una torcia incendiaria e, insieme, una piaga dell'anima che aspetta il balsamo divino. Non importa che Ippolito sappia. Importa che sia lì, ogni volta, alla giusta distanza.
      Francesco

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  11. Ancora una volta emozioni espresse in parole che rivelano, come sempre, una sensibilità elegante fuori dal comune.Bravo
    Silvia

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  12. Sei riuscito con sorprendente abilità a penetrare nelle pieghe dell'animo umano e a descrivere la bellezza dell'amore assoluto che, proprio perché tale, deve mantenere la giusta distanza a prescindere dalla sua natura. Autentiche la sensibilità e la delicatezza con cui sai descrivere i sentimenti.
    Sinceri complimenti!

    Rosalba

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    1. Grazie per le bellissime parole. Con affetto,
      Francesco

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