venerdì 13 aprile 2012

Bossi il terrone


di Enzo Barone
La sensazione più rilevante che all’osservatore meridionale comunica la tempesta giudiziaria che sta infuriando sul Carroccio in queste ore è, per assurdo, l’assoluta indifferenza per la più totale normalità del misfatto.
Verrebbe da dire: e allora, cosa c’è di nuovo? E proprio qua sta l’originalità, la paradossalità della cosa: nella purtroppo assoluta banalità di un avvenimento, che però stavolta interessa la Lega Nord.
Ma andiamo con ordine.
Gli addebiti, qualora venissero confermati, stringi stringi si prestano ad una lettura estremamente semplice: il nocciolo più curioso dello scandalo per il momento non consiste, a mio parere,  nell’entità di appropriazioni indebite da parte di qualcuno, ancora bene da accertare, ma nel fatto che la Lega Nord ha stornato una certa quota dei fondi a lei trasferiti dallo Stato centrale, sotto forma di rimborso elettorale (la formula con la quale i partiti hanno spudoratamente gabbato il referendum che aboliva il loro finanziamento pubblico), per provvedere ad alcune spese di alcuni eminenti dirigenti, segretario federale in testa.
Se tutto si dimostrerà vero infatti Bossi junior con i denari della Lega, anzi di tutti noi, ci ha pagato le multe dei vigili, le auto, i corsi di lingue all’estero ridicolmente esosi, la benzina dell’auto, persino le paghette per le notti con gli amici e chissà che altro; lady Bossi ci ha tirato su e finanziato una scuola per educare correttamente i giovani padani, la Bosina (altro che scuola di partito, altro che Frattocchie!); il senatur ci si è fatto ristrutturare la villetta d’abitazione; altri ancora ci hanno comprato lauree facili o master da mercatino delle pulci o magari hanno investito intrallazzando all’estero (in Africa poi: più ironia della sorte di questa!) o con gli spiccioli ci hanno saldato il premio per le assicurazioni sulla casa etc.
E però, come si diceva sopra, non ci sarebbe niente di nuovo sotto il sole della politica. E’ il comune, banale, persino umoristico paradigma dell’uso privato, personalistico del denaro pubblico, (quello di Roma ladrona per intenderci), spesso a favore del clan familiare. E per di più, come si diceva, qui quel denaro si usa anche per rispondere alle piccole necessità quotidiane: insomma si apre il registratore di cassa della bottega dello zio distratto, per arraffare come capita, a volte qualche spicciolo, a volte parecchie banconote, anche per le bollette o per i capricci del figlio viziatello e buona notte al secchio.

E allora? Ruberie con i soldi dello Stato? Come al solito in politica. La famiglia poi prima di tutto? Niente di nuovo: tutti tenimme famiglia!
Con l’unica, risibile, insignificante differenza che finora questi misfatti nell’ottica nordista avevano tutti i crismi per essere attribuiti o attribuibili solo a politicanti maneggioni, da operetta, dalla fedina penale discutibile, dall’italiano improbabile e soprattutto tutti provenienti dalle suburre del centro-sud (più del sud che del centro, per la verità).
Lo confesso, non sono particolarmente interessato a quello che emergerà attorno alle prime risultanze dell’inchiesta; non so se arriveranno imputazioni ben più pesanti penalmente (perché, per onore del vero, finora siamo a robetta di poco conto), alla configurazione cioè di reati come concussione o peculato.
Talvolta l’indelebilità del male sta tanto nella meschinità del poco, quanto nel clamore del molto e il tradimento degli ideali dei leghisti in buona fede, o quantomeno la menzogna, non mi paiono cosette trascurabili.
Da un punto di vista prettamente culturale niente invece corrisponde di più ai grotteschi connotati della più classica delle nemesi storiche: il disprezzo per il familismo oppressivo e assolutizzante; il disgusto per tutte le forme di nepotismo o privatismo paramafioso 
nella gestione del potere; il rifiuto aprioristico persino della concezione della famiglia meridionale indulgente ed eccessivamente premurosa verso i suoi membri vengono per ironia della sorte ribaltati addirittura sulla famiglia del più irriducibile profeta di questa subcultura, il Bossi Umberto in persona.

Insomma chi è più terun di lei, caro il mio senatur?




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