by guido monte
l’unica cosa possibile da cercare è ciò che è abbandonato, calpestato, rifiutato, messo da parte e dimenticato; anche linguisticamente cercare parole lontane o trascurate, parole straniere di popoli e tempi che oggi non contano più nulla.
io parlo di fatti della mia vita, di solito di visioni da paesaggi e di occhi di cani, o parlo delle lacrimae rerum del mondo, quando ne leggo nei dispacci del giornale o del web, raccontando soprattutto i casi di tenerezza calpestata, siano di pazzi-minorati-barboni-vecchi-malati, o semplicemente di un dimenticato.
cerco anche brevi parole archetipe, suoni antichi e lontani che mi riportino in terre e in tempi passati, li cerco per incrociarli con parole quotidiane… e questo viaggio si esplica (finché l’orrore ancora non ci travolge del tutto) nel silenzio-incanto di parole-cose.
oppure mescolo le cose, parlo di immagini di fatti della vita mia e altrui incrociandoli con suoni lontani, e li accosto a schizzi colorati, di solito di macchie di pennarelli, macchie quadrate o arrotondate… desidero confrontare questi mondi con le sensibilità di persone vicinissime o lontanissime, per confortarle senza accarezzare troppo la mia vanità.
sento il desiderio di raccogliere questi appunti informi, per condividerli con chi è vicino.
quello che per montale era il pericolo del “cocktail multilinguistico delle parole messe nello shaker e poi rimescolate”, è per me l’unica possibilità di espressione: prendo qualche parola, qualche frase, da qualsiasi lingua, e cerco di rivestirla di un senso mio, quello che cercavo in quel momento… tutto è stato detto, ma qualche frammento possiamo però ancora “riscoprirlo” e renderlo vivo per la nostra vita.
siamo esseri deboli, fragili, bisognosi di cure; vorremmo toglier valore alla vita, per riuscire a togliere valore alla morte. leggiamo i versetti sacri con estraneità, ma non ci resta altro da fare che aggrapparci alle radici del passato, nel tentativo di capire noi stessi. in realtà molti di noi non vivono davvero, piuttosto dormono nella confusione, in attesa della fine; dormono nelle nostre grandi città-obitorio, per nulla diversi dai miliardi di ratti che ne popolano i sotterranei, città fucine della super-tossicità che cerchiamo di seminare anche nelle campagne, sotto forma di sepolti detriti radioattivi.
l’unica cosa possibile da cercare è ciò che è abbandonato, calpestato, rifiutato, messo da parte e dimenticato; anche linguisticamente cercare parole lontane o trascurate, parole straniere di popoli e tempi che oggi non contano più nulla.
io parlo di fatti della mia vita, di solito di visioni da paesaggi e di occhi di cani, o parlo delle lacrimae rerum del mondo, quando ne leggo nei dispacci del giornale o del web, raccontando soprattutto i casi di tenerezza calpestata, siano di pazzi-minorati-barboni-vecchi-malati, o semplicemente di un dimenticato.
cerco anche brevi parole archetipe, suoni antichi e lontani che mi riportino in terre e in tempi passati, li cerco per incrociarli con parole quotidiane… e questo viaggio si esplica (finché l’orrore ancora non ci travolge del tutto) nel silenzio-incanto di parole-cose.
oppure mescolo le cose, parlo di immagini di fatti della vita mia e altrui incrociandoli con suoni lontani, e li accosto a schizzi colorati, di solito di macchie di pennarelli, macchie quadrate o arrotondate… desidero confrontare questi mondi con le sensibilità di persone vicinissime o lontanissime, per confortarle senza accarezzare troppo la mia vanità.
sento il desiderio di raccogliere questi appunti informi, per condividerli con chi è vicino.
quello che per montale era il pericolo del “cocktail multilinguistico delle parole messe nello shaker e poi rimescolate”, è per me l’unica possibilità di espressione: prendo qualche parola, qualche frase, da qualsiasi lingua, e cerco di rivestirla di un senso mio, quello che cercavo in quel momento… tutto è stato detto, ma qualche frammento possiamo però ancora “riscoprirlo” e renderlo vivo per la nostra vita.
siamo esseri deboli, fragili, bisognosi di cure; vorremmo toglier valore alla vita, per riuscire a togliere valore alla morte. leggiamo i versetti sacri con estraneità, ma non ci resta altro da fare che aggrapparci alle radici del passato, nel tentativo di capire noi stessi. in realtà molti di noi non vivono davvero, piuttosto dormono nella confusione, in attesa della fine; dormono nelle nostre grandi città-obitorio, per nulla diversi dai miliardi di ratti che ne popolano i sotterranei, città fucine della super-tossicità che cerchiamo di seminare anche nelle campagne, sotto forma di sepolti detriti radioattivi.
Nessun commento:
Posta un commento
Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie