by guido monte
all’inizio nulla confusione chàos,
una bocca spalancata, che sbadiglia.
dal chàos ecco gèa, madre terra,
poi gli esseri del buio, dell’erebo.
poi urano, il cielo che copre gèa,
che generò cerchi capaci di vedere
e mnemosyne, memoria, ricordo.
un figlio del cielo fu crono, il tempo
dalla falce di diamante, che ferì il padre,
e il seme del cielo germinò
nella spuma del mare.
inghiotte i suoi figli,
tranne uno, nascosto in una grotta
a succhiare il latte della capra amaltea,
il suo pianto è coperto da suono
di scudi.
prometeo (pro prima, meth capire)
crea uomini da fango e acqua,
e dopo il diluvio deucalione e pirra
creano dai sassi, ossa della terra
terra humus e chtòn
ma non possono voltarsi, per non
restare prigionieri del buio.
ne respexeris, non voltarti
sotto il volo d’uccelli che dicono miti
nel bosco sacro pende il vello d’oro,
e il canto dice: dove? dove? dove?
dimentichiamo tutto, insegna claude,
perché non parliamo più con noi stessi,
e sentiamo nostalgia quando invece
il nostro parlar a noi stessi è troppo
e ogni cosa dorme, confusa nel vuoto,
abbandonata, si agita e in attesa di rinascere
si spegne in un sonno senza fine,
un sonno senza risveglio in cui sogni
di parlare con persone care…
terra e cielo s’uniscono
ma noi non parliamo più con noi stessi
per dimenticare il passato.
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