di Giulia Greco
3 ottobre 2012
Fumo una sigaretta. La sirena stonata intona il mio canto notturno. Pensavo alle tue mani. Due mani si intrecciano in un solo tremore. M’entusiasma l’alba inconsistente di vapori. Il fumo ondeggia lento verso le stelle. La sigaretta si spegne, ma la strada si accende di luci incendiarie. I miei occhi cercano i tuoi per trovare riposo. La necessità mi preme incalzante col suo tamburellare lento. Le corde spezzate inneggiano un requiem per i miei sogni più arditi. Ardente è il battito delle mie ore. T’aspetto. Non dormo. Aspetto. La notte è fonda, i segnali spasmodici di lampioni spenti in un vicolo buio. Il buio sui miei occhi. Costellazioni di parole sbagliate, il suo sgattaiolare in sotterfugi di senso. Ho perso il senso del mio slancio. Cado.
4 ottobre 2012
La luna tonda si attorciglia alle stelle. Le tue mani calde sulle mie. E’ buio, e i petali si chiudono. Si schiudono parole a mezz’aria; la maschera sgretolata mi nasconde gli occhi. La mia mano danza, incerta e feroce e si avvolge. La tua, orgogliosa, risponde, adorato veleno di notte senza sonno. Il mio letto è freddo, le luci si spengono. E’ notte e la mia mano cerca la tua.
5 ottobre 2012
Terza notte bianca; naufrago tra cenere e colori spenti. Non credo più alle stelle ingenue e civettuole, mi aggrappo ad un taglio nel mare grigio in tempesta. Tempestavi di silenzi i miei colloqui interiori. Le mie ossa si spezzano, la campana risuona. L’ora è scoccata, la fine s’appressa. Un’altra stella cadente dispersa nel buio. La sigaretta si è spenta. Nera è la via.
6 ottobre 2012
Mattino. Il sole, accecante splendore, brucia, selvaggio, le accurate curve dolci del mio vaniloquio corrotto. Contraddizioni incolmabili sfilacciate in danze tra rancore e pietà. Il giorno maschera le lacrime rinchiuse nella notte. S’apre quest’ultimo istante con un rombo sottile. Mi ritrovo a inventare momenti mai stati sulle dita mie, sole. Ti cerco, di nuovo. Misera e ingannevole la luce dell’oggi e la distanza infinita di un domani sereno. Non è più il tempo dell’oro sui capelli, ma del nero sugli occhi. Frantumati pezzi di un mattino che odio, m’uccide e mi svuota in immagini false. Perforate le orecchie, mi ritiro in silenzio. Cerco la notte per ascoltare il rumore sordo delle catene, cantilenanti fruscii di un’anima in pena.
Fantastico, sembra il Notturno di d'Annunzio!
RispondiEliminaAnita
Bello e raro esempio di prosa lirica. A me ricorda Campana.
RispondiEliminaBentornata Giulia e a presto
Enzo Barone