Continuiamo il nostro percorso attraverso i
quadri di Nicola Spacca, questa volta in una visione della
"cristallizzazione" del tempo, nell'impossessamento materiale delle
cose. Segue la scheda dell'autore.
(G.M.)
(G.M.)
Il tema si incentra sul comportamento
antropologico innato del “possedere”.
L'arte del possedere è un moto compulsivo, avvolto in
una spirale verticale infinita , finalizzato meramente all'accumulo
di cose. Privi del vaglio selettivo, razionale, costruttivo, gli
oggetti differenziano gli individui in classi a livelli di reddito
differenti e sulla quantità del possesso vi sono individui poveri e
ricchi, ma anche popoli poveri e ricchi, persino Stati poveri e
ricchi e paradossalmente ecco il dualismo di mondo povero e mondo
ricco. Non più guerre religiose, etniche e etiche, ma future guerre
di possessori di cose accumulate contro l'assalto di uomini con poco
accumulo. Si estinguono i nullatenenti, si sbrana il pianeta, non più
conflitti per vantaggi e svantaggi, si aggiunge l'inutilità
nell'estetica della guerra.
In questo nuovo ordinamento non si intravede la
proporzionalità del possesso di oggetti realmente sufficienti,
necessari all'uomo e deficit di oggetti fondamentali, nulla per le
generazioni future.
L'insieme inanimato dei soggetti del quadro,
cristallizzati nel tempo, sono una rappresentazione dell'inutilità,
ricercata appositamente, perchè in base al quantitativo di oggetti
posseduti, si distinguono i soggetti animati, come i rettili che sin
dall'uovo natio e per tutta la durata della loro vita non hanno nulla
e non cercano di avere nulla, ignari della nuova etica
dell'allargamento dell'equatore individuale assumendo geometrie
espansive attraverso il possesso di cose. Ingrassato dalle proprie
cose, l'uomo è migliore dei non possedenti e degli animali, ma non
migliore dei propri oggetti desiderati che un giorno potrà possedere
per essere escatologicamente proiettato verso la perfezione del ricco
ideale. Nello schema del quadro, potere e ricchezza divengono
eticamente l'inutile, da scrivere in lettere minuscole con corpo
tipografico piccolissimo e con inchiostro evanescente.
Il manichino, attore principale, realizzato dall'unione
di tanti legni pregiati. La forma finale suppone uno scarto di
materia preziosa per un oggetto che potrebbe essere realizzato con
qualsiasi materiale comune. Un braccio serra l'inutile meccanismo che
non fa nulla, da cui non entra e non esce nulla, ma è tecnologia
che ha impegnato il pensiero dell'uomo. L'altro braccio invece,
circonda l'isola con un monte dalle cime aguzze. Morfologicamente
l'isola è disabitata e impervia, inutile, ma il manichino possiede
per la confidenza dell'abbraccio anche questo luogo.
La cabina è un inutile riparo, la porta è troppo
grande e non può chiudersi, manca una parete ed il cielo inquietante
è quello di un'inutile mattinata al mare, perchè, non piove, non vi
è un deciso sole illuminante, la giornata è fredda, il mare, non
invitante, consente forse di immergersi solo fino al busto. Il
manichino sul bagnasciuga viene appena investito da un'onda che ha
bagnato mezzo lato della maglietta . Longitudinalmente mezzo segmento
toracico è caldo e asciutto , l'altro è freddo e bagnato. L'inutile
bagno interrompe i colori brillanti della maglietta marinara e
deforma le impronte cromatiche sul manichino.
“Tutto Mio”, adesso il manichino, perfora la sabbia
con un piede e una mano e lo sguardo inanimato non ci comunica il
piacere del ristoro, non comunica nulla. Il manichino è il senso del
dovere, resta fisso, militarmente fedele alla consegna, dove è
stabilito che resti.
Nel quadro, finchè vi è tela, l'inanimato e l'animato
restano immobili in questo drammatico attendere che cristallizza da
ora e per anni la sofferta immobilità della rappresentazione
dell'inutile possedere.
Il dramma ha soluzione con la definitiva distruzione
della tela.
Solo così possono essere liberati gli esseri che non
nascono dalle uova fratturate, ma ancora chiuse, il mare scatena
l'onda sulla spiaggia e riparte così il ciclo dell'acqua, libere
anche le nuvole per cambiare in un verso il paesaggio dal cielo a
strati. Tutto mio non muore, non diviene.
Nicola Spacca
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