di Valentina Sechi
Se lo sguardo del mondo è costantemente rivolto al fronte caldo del Medio Oriente, più a sud un altro dramma va in scena all’insaputa di molti: la grave crisi che ha travolto il Mali e che rischia di diffondersi negli altri Paesi del Sahel. Attualmente il Paese è diviso in due parti: la zona Nord, sotto il controllo di gruppi islamici radicali (alcuni dei quali legati ad Al Quaeda) come MNLA, Ansar al din, Mujao e AQM in lotta fra loro, e la zona sud, sede del governo di transizione guidato dal presidente ad interim Traorè. Prima di approfondire gli ultimi eventi relativi a quest’area ripercorriamo brevemente le vicissitudini che hanno portato i gruppi armati alla rivolta.
A partire dal mese di gennaio del 2012, i gruppi armati islamici hanno ingaggiato una dura lotta contro le truppe regolari maliane, conquistando un ampio territorio grazie al colpo di Stato che il 22 marzo ha portato alla deposizione del Presidente Touré.
Il Presidente ad interim ha indirizzato un messaggio ai ribelli nel quale ha chiesto l’apertura delle trattative: Ansar al Din e MUJAO erano disposti al dialogo a condizione che la sharia (la legge coranica che nei Paesi islamici è fonte del diritto) venisse applicata in tutto il Paese. Il Presidente del Burkina Faso ha sostenuto dei colloqui sia con rappresentanti dei Tuareg che hanno istituito la repubblica dell’Azwad, sia con i militanti che vorrebbero l’instaurazione di un emirato retto dalla sharia.
Secondo il Presidente nigeriano, se le trattative dovessero fallire un intervento armato per riunificare il Paese sarebbe inevitabile.
I pesi della Comunità Economica degli Stati
dell’Africa Occidentale (ECOWAS) hanno preparato un piano militare che prevede
l’invio di 3.000 uomini, ma si auspica anche il contributo da parte di altri
Stati africani come Ciad e Mauritania, il supporto delle Nazioni Unite e
l’appoggio logistico delle potenze occidentali (USA e Francia in testa). Le
prime operazioni potrebbero consistere in attacchi aerei che spianerebbero la
strada ad una successiva invasione di terra.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite ha approvato la
risoluzione in virtù della quale i Paesi ECOWAS dovranno precisare gli
obiettivi militari entro 45 giorni per avere l’autorizzazione a procedere.
Il resto della Comunità internazionale segue con
apprensione l’intera vicenda: a fine
ottobre, in occasione di un vertice riguardante la sicurezza del Sahel, il
Responsabile degli Affari africani presso il Dipartimento di Stato USA Carson
ha sottolineato che l’intervento armato dovrebbe essere effettuato dai soli
Paesi africani mentre il Ministro degli Esteri francese Fabius ha evidenziato
la gravità della situazione e la minaccia che rappresenta. Il Presidente della
Commissione Europea Barroso invita Il 14 novembre il Consiglio di Pace e Sicurezza dell’UA ha deciso di inviare una missione nel Nord del Mali, coordinandola con l’intervento predisposto dall’ECOWAS, senza abbandonare il dialogo con MNLA e Ansar al Din, mentre MUJAO, ritenuto il gruppo più vicino ad Al Qaeda, non partecipa alle trattative. In occasione di una visita ad alcuni esponenti del governo francese, rappresentanti di MNLA hanno ribadito la contrarietà ad un intervento internazionale e la volontà di combattere in terrorismo in tutte le sue forme con implicito riferimento ai gruppi islamici radicali. Durante un successivo incontro con gli emissari del governo di transizione è stata richiesta la cessazione delle ostilità in cambio della riunificazione del Paese e della rinuncia alla sharia.
Il resto è storia recente: due giorni fa, il
Primo Ministro Diarra è stato arrestato dai miliziani che avevano deposto
Touré. In seguito Diarra e il suo governo hanno rassegnato le dimissioni e si
attendono ulteriori sviluppi. Secondo il capo degli affari politici all’ ONU, è
necessario un approccio che oltre al dialogo tra le due fazioni prepari la
strada alle elezioni politiche. Di simile avviso è il Segretario Generale
dell’ONU Ban Ki-Moon, per il quale l’intervento militare minerebbe ogni
possibilità di una soluzione negoziata,
solo mezzo per assicurare la stabilità a lungo termine.
Se il fronte politico è incandescente, anche
quello dell’emergenza umanitaria non è da meno. Si contano mezzo milione di
civili in fuga, oltre 18 milioni di persone a rischio fame e un milione di
bambini sotto i 5 anni malnutriti. L’assistente del Segretario generale
dell’ONU per i diritti umani Simonovic avverte che la situazione delle donne è
particolarmente preoccupante, il loro
diritto a istruzione, lavoro e servizi è
limitato. Già all’inizio del conflitto si registravano casi di esecuzioni
sommarie, stupri, saccheggi, reclutamento di bambini soldato, ma in seguito
all’egemonia dei gruppi islamici Ansar al din e AQMI, i diritti civili e
politici si scontrano con la rigida applicazione della Sharia. Povertà, condizioni climatiche sfavorevoli
legate all’alta percentuale di desertificazione, carestie, guerre civili, cambi
di governo, chiusura delle scuole sono i problemi più gravi da affrontare. Il
consenso di Consiglio di Sicurezza, UE e
Stati africani all’offensiva militare è un punto di partenza.In occasione del vertice Onu, UE, ECOWAS, UA per discutere di un’offensiva militare internazionale in Mali, grande assente è risultata l’Italia. L’inviato Speciale nel Sahel del Segretario generale dell’Onu Romano Prodi ammette che si tratta di una conseguenza della scarsa importanza data dal nostro Paese alla situazione africana, che si riflette nella mancanza di businessmen e cronisti che se ne occupino.
grazie, valentina, per queste note puntuali su di un dramma dimenticato...
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