riflessioni by Giulia Greco
E’ un’infinita distanza quella che mi separa tra ciò che penso, ogni istante, e i quadretti che tento di abbozzare con frasi e parole. Probabilmente neanche in questa sorta di meta-discorso riesco davvero ad esprimere l’inquieta e disperata non-corrispondenza tra me e la carta. Per non parlare della freddezza agghiacciante di questa pagina “virtuale” che mi appresto a macchiare di letterine intermittenti e punti e virgola. Provo un sincero disagio, al quale segue una rabbia insoddisfatta e priva di direttive che possano in qualche modo essere costruttive. Il dislivello è più che altro tale da creare due – se non più- dimensioni assolutamente isolate e distinte.
Da un lato, la molteplice varietà amorfa che mi circonda, che mi è impossibile da afferrare in concetti chiari ed allo stesso tempo espressivi. D’altro canto, i mondi che creo sulle pagine dei miei quaderni, sono un caos luminoso che vive di una sua vita propria, oscura e splendente, ma senza appigli o corrispondenze alla realtà.
Da un lato, la molteplice varietà amorfa che mi circonda, che mi è impossibile da afferrare in concetti chiari ed allo stesso tempo espressivi. D’altro canto, i mondi che creo sulle pagine dei miei quaderni, sono un caos luminoso che vive di una sua vita propria, oscura e splendente, ma senza appigli o corrispondenze alla realtà.
Non capisco e non riesco ad accettare, forse per la mia febbrile ed irrequieta inconcludenza giovanile, che vi siano davvero cose che non possono dirsi, che rimangano al di fuori di una prospettiva di linguaggio ordinato o, meglio, ordinario. Ancora poi mi è poco chiaro, se l’impossibilità nasca da un’ effettiva necessità di selezione di fatti; mi spiego meglio: nella mia vita quotidiana vedo succedersi eventi che a me appaiono quali densi di infinite possibili elucubrazioni “poetiche”; penso ai giorni berlinesi, alle prime esperienze lavorative, alle persone incontrate di continuo tra una stazione della S-bahn e l’altra, ai paesaggi spettrali e suggestivi della notte sul fiume e i ponti antichi e moderni creare contrasti sul cielo grigio dell’estate tedesca. Ma questo turbine di impressioni e sguardi che veloci trapassano da un oggetto all’altro, non sono affatto fedeli descrizioni né assumono una continuità tale che, nel loro spontaneo susseguirsi, possa avere una benché minima apparenza di letterarietà. Qual è dunque la regola, il metodo di selezione, o forse di esposizione? Me lo chiedo e me lo richiedo, e non trovo risposta. Spesso anche, mi convinco di vivere una vita del tutto fuori dall’ordinario – o forse e quello che ognuno, nel proprio intimo è davvero costretto a credere- e penso a quanto poetico apparirebbe un testo che semplicemente riproducesse quei momenti di per sé, senza che si ponga l’esigenza di trasportarli in una dimensione fantastica, poiché spontaneamente suggestivi. Eppure, mi sfuggono, non riesco a fermarli, si accavallano istanti preziosi che, proprio per l’intrinseco valore che ognuno di questi possiede, mi è impossibile astrarre, fermare, immobilizzare su carta. Nell’epoca dell’immagine, penso che in qualche modo vorrei avere una telecamera a seguirmi, a catturare quegli istanti irriproducibili e fissarli per l’eternità. Come riprodurre una delle miriadi di conversazioni che ogni giorno abbiamo, e che già ognuna indipendentemente dall’altra, potrebbe essere un trattato ben strutturato e comprensivo di ogni riflessione volta a giustificarne il tema portante. O quelle avventure impreviste che capitano a ladri di vita quali noi siamo, quelle storie di droga che si vedono nei film, e che sono ben più profonde e interessanti negli inesplorati cantucci della nostra mente.
Chi scrive romanzi, inventa davvero di sana pianta? E se no, non fa altro che riproporre esperienze proprie, mondi visti, momenti vissuti? Immagino che la soluzione sia a metà strada tra questi due estremi; ma come sempre, non accetto compromessi. Corro sempre da un eccesso all’altro senza soste o pause in salutari zone franche. Non c’è limite alla mia superbia, come non c’è fine al mio tormento per l’incapacità di produrre, determinarmi, risolvermi in una figura concreta che uccida il fantasma vago che mi precede ad ogni passo.
Quanto somiglia il tuo al tormento di qualunque altro scrittore, quanto delle tue riflessioni ritrovo nel mio io giovane ed anche in quello di adesso.
RispondiEliminaVedo in te una profondità speculativa, metaletteraria preziosa. La grandezza consiste nel cercare e cercare e cercare senza mai avere pace. questo fanno i grandi.
C'è poi una frase davvero interessante: "quanto poetico apparirebbe un testo che semplicemente riproducesse quei momenti di per sé, senza che si ponga l’esigenza di trasportarli in una dimensione fantastica, poiché spontaneamente suggestivi." In questo ti può sovvenire la pittura moderna che questo problema l'ha affrontato e gli ha dato delle risposte anche stimolanti, dall'impressionismo in poi.
Sarebbe bello dialogare ancora di poetica letteraria, perché alcune tue idee le trovo molto prossime alle mie.
Enzo Barone