di Giulia Greco
collage by Pippo Zimmardi
collage by Pippo Zimmardi
20 ottobre 2012
Camminavamo in branco come lupi o falchi braccando i ritardatari scintillii di malinconica quiete. Ripetendo e strafogando a larghe braccia la meschinità che c’apparteneva. Il demoniaco impiantato, la bontà bruciata lenta su dita arrugginite e l’odio cresceva, e saliva, e noi camminavamo, camminavamo in branco, per distruggervi. Fiera di mostri, tinte lievi o accecanti in gesti sconnessi, slegati dall’impegno primario della pace dei sensi. Veniamo ad attaccare e così attaccarci all’ultimo impegno ancora: il mio voto all’odio. Meschine parodie di cieche autoaffermazioni, riconoscetemi nel fango coi miei giorni stanchi ed innalzate una statua da far abbattere sull’ultima pietra rimasta dalla devastazione e dalla furia mia.
31 ottobre 2012
Ho paura di restare sola. Nel buio, da sola, vedere il mostro dietro gli occhi. Abbandonata e sola, morbo e serpe velenosa distilla odio e rabbia, e pugni, e grumi, e sangue, e lividi sul cuore.
La mia mano nel buio chiedeva alla vita; e ancora, e soltanto, risposte malmesse e ricordi rappresi. Fuggivo la solitudine come si fugge nel sogno, a tratti sconnessi, desiderando il risveglio, o la morte reale, nel sonno, violenta.
Fuggivo nel vino che acceca gli ardori, e spegne il dolore, la colpa meschina, nella carne incrostata, intrisa d’addii.
Precipitavo,
a stento,
come i dardi infuocati
e caduti
nelle notti d’ottobre.
5 novembre 2012
Scostante sciupando e addentando l’ultimo fuoco, ancora sinuoso e fresco m’attrae, caldo e risuona, m’abbaglia, m’uccide. Affogo il tormento e la voglia, e le ore, per fuggire la vita che deludo ad ogni passo non fatto, ad ogni passo che non posso; putrefatta, rilucendo, illuminata, mi spengo. Mi accendo la notte in mostri ristretti, nascosti alla luce, agli occhi degli altri, ai desideri infiniti, finiti accartocciati come le mie pagine scritte e che odio. Non averti mai, perché vorrei, è il triste sospiro tirato tornando la sera: s’accompagna al dolore.
6 novembre 2012
Tessevo misteriose ed inconsuete trame di foglie,
come me,
sul ramo,
cadendo.
E’ rosso il colore del fumo,
che arde
e svanisce,
nel petto,
straziato,
stracciando le carte,
corte o lunghissime,
eterne,
invecchiando.
Taglio, sottile, l’inadeguatezza al mondo,
al sole offuscato,
e nero,
e feroce,
sui campi bagnati da lacrime,
mie.
E’ un ritmo mellifluo,
stonato,
sbagliato e
bellissimo; è il rumore
dei giorni, che, silenzioso,
decade.
Cado per terra,
mi muovo e mi stanco,
della mia voce che più
non canta,
né tesse gli inganni,
ma si spezza e si spegne
sullo scheletro di un mandorlo,
non più fiorito.
Sfiorivo e cadevo,
come soli si cade,
senza gioia,
né dolore,
e l’eccesso di entrambi.
9 novembre 2012
Mastico e vomito brandelli di storie incrostate tra i denti, sui marciapiedi affollati di figure sottili, reali, concrete; tra loro, vagheggia la mia ombra. Vivo nell’ora, per fuggire la colpa, e assaporo la sconfitta, nel lasciarmi giudicare; ed ancora, forse, per un gesto stupirsi, e del riso, e dello slancio; ma dunque nel sonno l’orrore sovviene, e il solitario tranello: inacidirli per noia. Ignobile calma di giorni furtivi, scuotimi e accendimi insonne come nelle notti d’ottobre, ma per passioni felici; non mi rassegno al fervore focoso soltanto nell’odio, nel tremendo soffrire, ed a tratti fulminei mi avvento su una nuova speranza: “forse che un minuto intero di beatitudine non basti a colmare la vita di un uomo…?” .
Che l’angoscia mi prema e mi sproni al salto mostruoso, rapido e desto, di nuovo nel giorno; speranza d’amore.
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