sabato 8 dicembre 2012

ESPERIMENTO PSICOLOGICO

di Giulia Greco
collage by Pippo Zimmardi

Sono terrorizzata all’idea di acquietarmi in un sogno meschino. Mi destabilizza e mi opprime la consapevolezza che un giorno avrò realizzato un che di inamovibile e saldo. Ho ambizioni vaghe ed indistinte che m’affollano gli occhi, che s’accendono e si spengono con la stessa rapidità con cui il sole sorge e poi muore. Voglio viaggiare, ed amare, e cadere ancora e poi illudermi, e sperare, e deludere me e gli altri, per poi ricominciare. Il giorno in cui avrò detto “ è per sempre”, che la morte m’accolga con grida festose. I miei occhi non possono riposare su un fiore soltanto, ma hanno città e genti e mondi interi ancora d’abbracciare. Né il grande amore, né letto nuziale, né “casa”: il mio destino è la grandezza dispersa, la grandiosità afflitta: un tormento rumoroso. La mia sorte è quella del poeta che scrive sulla vita, e che non vive. Sarò sempre poeta solitario dell’avvenire tenebroso, né figli né precario impiego fisso, ma forse mille altri e mille ancora. Voglio succhiare la linfa mostruosa dei giorni, finché ho attimi incerti per cui dire “domani”. Voglio guardarmi indietro per chiudere e riaprire il cassetto del “non più” con un sorriso mai stanco. Voglio morire nell’attimo più grande, nello slancio più azzardato, nel momento di beatitudine che forse è concesso ad ognuno, una volta soltanto.

 ***

Ho fallito. I miei sospiri sono pesanti e stanchi e grigi, come il fumo che mi attornia, lento. Muoio come tutti, col fegato corroso ed il sangue fra i denti. Mi è rimasto attorno il deserto che ho scelto; le pareti spoglie, il sole nero, le stanze silenziose. Desideravo la solitudine creatrice, presuntuosa nel mio slancio mi credevo nullità luminosa, m’immaginavo splendente tra le strade, tra i vicoli bui di gente in tormento. Restano solo le carte stracciate, la pelle macchiata, il corpo deforme, cadente, malato. E sola io muoio, per non vedere l’alba di questo giorno nuovo, nel suo incedere lento, s’accende sui tetti, c’illude di nuovo, ma più non inganna. Il gioco si è rotto, i cocci raccolgo, mi chiudo in silenzio. E muoio.

15 novembre 2012  (mattino) 
Un’illusione interdetta, smorzata sul nascere, inutilmente abbellita di parole pompose; ancora rumori, un ultimo rantolo, un grido sommesso, poi dormo. Cosa pretendo di essere? Forma senza oggetto, non mi vedono, non mi guardano; rimango nuda sul balcone, aspetto il rosso del semaforo per ricucirmi addosso la maschera invecchiata. Torno in salone ad elargir sorrisi. Sarò sempre ombra incompresa e fuligginosa, non mi afferrerete, bruciando, al buio, senza sguardi, il rossore e l’imbarazzo disciolti, come cera.
Brucia.
La mia carne.
Viva.
Forse t’amo? Forse, senza te, son solo pioggia, acqua neve che si scioglie non appena l’erba sfiora? Forse che non saprò mai scegliere, né amarti, ma soltanto deluderti, ancora, ed incolparmi. Forse è per questo che sfumo via, imbiancate cime e foglie d’autunno accoglietemi in un luogo più puro, che non tende a qualcosa che non sa, e che ancor più tende,  più s’inabissa. Riposa allora in calme apparenti di giorni bianchi e maestosi.  

18 novembre 2012 
Suppongo che dovrei essere felice. Eppure il momento è passato; raccolgo i cocci della notte stupenda, e in fuga, si è conclusa: tra le dita un fiore. Sei bella, e rumorosa, come i pensieri miei che bruciano, di libere associazioni e necessarie connessioni, ed un amore complesso, ed impreciso, e sfumato. Fumavo all’ombra di dolci sapori attutiti nell’attenta dispersione in fiumi d’azzurre incompatibilità. Il corpo gioisce e sorride dell’assurda e ancor viva passione; uno specchio deformato ci invita all’unione mistica. Misterioso il tuo sguardo, non lo è per me: colgo frammenti di una condivisione cieca, negli occhi, un tumulto dolce, duttile, sfuggente, ci assembla come tasselli complementari di un mosaico incompiuto, inconsueto.
Dove trovarti, se non nel sonno austero che ci avvolge conturbante? Dove amarti, se non nella quieta accettazione di una contraddittoria stonata unione? Dove trovare il coraggio di un’esistenza appesa, senza fini definiti, e defunte, e mostruose ed imprevedibili trame di un sogno interrotto. 

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