domenica 27 gennaio 2013

Moralia 1

Daubigny Chiaro di luna
di Enzo Barone

Tante volte nelle nostre giornate capita che ci fermiamo a fare il punto della situazione, a considerare ciò che ci ha dato la vita fino a quel momento, a commisurare quello che abbiamo con quello che avremmo voluto avere.
Soprattutto pensando alle persone che ci stanno più vicine.
Squarciato di tanto in tanto il velo di illusione che tutto addolcisce e copre, ci accorgiamo allora brutalmente che la nostra compagna/o, moglie/o, padre, madre, fratello, amico non sono come sognavamo che fossero, come avrebbero dovuto essere.

Spesso pensiamo che li avremmo voluti più nobili, più grandi nell’animo, più colorati nello spirito, intenti a dire, qualche volta, frasi lapidarie e pregne di significato, a sognare i nostri stessi sogni, a respirare le nostre stesse meravigliose utopie.
Insomma avremmo voluto che la loro vita ogni tanto fosse rischiarata da una tremula aura di vera poesia, tanto da sollevare il nostro cuore dalle meschinità di tanti momenti usuali.
Invece i giorni e le ore, la quotidiana vicinanza di queste persone a noi care elaborano senza fine, quasi sempre, prosa e prosa, piatta e comune, corriva talvolta per di più.
Vorremmo ogni tanto Petrarca e non Fenoglio, Ungaretti e non Zola.
Vorremmo.

Intanto queste persone, preparano il caffè la mattina, rifanno i letti, si consumano dietro ai nostri malanni, si alzano la notte a consolare i figli, pagano le bollette, insomma brigano e si affannano, imprecano e faticano, lavorano insomma dannatamente nell’ombra per fare andare avanti, come meglio si può, la loro e talvolta, soprattutto, la nostra esistenza.
Di noi almeno che udiamo malinconici la melodia della poesia delusa.
Lavoro e lavoro in luogo di poesia.
E’ più importante la nostra meravigliosa poesia o la loro quotidiana prosa?
Un giusto equilibrio sarebbe l’ideale, naturalmente.
Ma se proprio vogliamo squarciare il velo fino in fondo brutalmente, sono pur tuttavia il lavoro e la prosaicità quotidiana che ne consegue, che consentono di vivere alla poesia, ai poeti e a tutti coloro che un giorno potrebbero esserlo e mai viceversa.
Senza la prosa quotidiana non esisterebbe la poesia, la poeticità di chi ci vive accanto e la nostra.
Anche solo per contrasto.
E’ la cosa più ovvia del mondo da dire, ma anche la più profonda e cioè, detta in altri termini, la vita di ogni giorno è molto più importante, più misteriosamente e inconsapevolmente poetica dei poeti e della poesia stessa.
Anche di quella che i nostri cari spererebbero di sentire da noi nei loro confronti, di tanto in tanto, nella loro struggentissima, prosaica solitudine. 

6 commenti:

  1. la tua è la sfida tra otium e negotium... io penso che cmq i due stati trovino conciliazione nella condizione umana in se stessa, di fragile precarietà, di fatale incoerenza, nel senso che da poeti o da "pragmatici" non possiamo comunque vivere "giustamente" il nostro esser uomini: non siamo nulla, non possiamo nulla, siamo da sempre schiacciati da una fatale "ingiustizia" di fondo, che fa parte intrinsecamente di noi. forse solo un senso di compassione reciproca può salvarci, e di compassione per noi stessi...

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    1. Grazie dell'attenzione...però forse l'obiettivo del pezzo era diverso da quello che hai colto tu.
      Cambiando discorso, ti avevo scritto la settimana scorsa: non mi hai risposto?

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  2. se vivessimo da soli, finiremmo forse per odiare in ugual modo la parte più "prosaica" di noi stessi. Per poi rivalutarla, e riscattarla, un giorno, proprio come facciamo con le persone che vivono con noi...

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  3. Un interessante punto di vista anche se forse i ruoli di tanto in tanto possono invertirsi. Spero comunque che, alla voce fratello, chi ti scrive non sia poi tanto diverso da come avresti voluto che fosse. Almeno spero !
    Salvo Barone

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    1. Naturalmente, naturalmente i ruoli sono sempre scambievoli. Alla voce "fratello" corrisponde una persona che è molto migliore di come avrei voluto che fosse.
      Ciao

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  4. Caro Enzo, come vedi ci sono anch'io. Credo che la poesia sia sempre più grande della vita. Ma non c'entra la letteratura (a proposito: per me Fenoglio è immenso...), c'entra la nostra vita, quello che siamo, nella nostra infinita miseria. In qualche modo, può essere poesia anche andare a fare la spesa... Con affetto, Francesco

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