di Silvia dello Russo
Das Wesen è nel linguaggio filosofico tedesco tradizionale l’essenza.
La fortuna di ogni uomo è a mio avviso avere grandi maestri. Ebbene, i miei maestri sono stati grandi nel trasferirmi l’idea che ognuno di noi è incessabile custode di un Wesen (esssere) nella sua realizzazione di Wesenheit (essenza). E per dirla correttamente i miei primi maestri sono stati autori classici che mi hanno trasmesso, ancor bambina, un amore immenso per la letteratura e per la lingua. Per magia mi sono lasciata condurre, e le pagine dei miei amati libri si sono aperte fino al mondo reale, mettendo sul mio cammino immensi maestri di vita e di linguaggio.
Il primo coup de foudre linguistico lo ebbi leggendo le pagine di un alchimista delle lingue, A. Schmidt, che nel suo tentativo di cor-rispondere all’appello del linguaggio mi insegnò il continuo gioco etimologico, geometrico intra e interlinguistico, attraverso forzature sintattiche grafiche e fonetiche di miscellanee di lingue diverse, con effetti talmente stranianti ma totalizzanti insieme,tanto da rapirmi definitivamente lasciandomi perdutamente persa nel mondo a me più caro: il linguaggio. Così, come una piccola Alice nel paese delle parol-meraviglie continuo da allora a percorrere i sentieri (Wanderwege, i sentieri) del linguaggio, stupendomi ogni volta che un fiore-parola si dischiude offrendomi la profumata corolla di una meravigliosa e sempre nuova consapevolezza.
Heiddeger, poeta e filosofo a me caro, mi insegnò in età più matura che la lingua è la casa dell’essere, ed ecco che da Alice mi trasformai in Piccolo Principe: iniziai a disegnare i miei linguaggi, chiedendo al mondo degli adulti di indovinare il mio essere..
Das Wesen è dunque l’essenza (essentia) riscoprendo in se il senso verbale della parola , l’infinito sostantivato “l’essere” appunto , ma personalmente tradurrei il verbo wesen come dispiegare la propria essenza , togliendo ogni piega, mettendo in luce ogni aspetto dell’essenza che rimaneva nell’ombra di antiche pieghe.
Die Warheit è nuovamente un termine tedesco che associato a das Wesen indica la verità. L’essenza che svela una verità è allora un dispiegamento, o meglio uno svelamento, di un qualcosa di durevole in eterno che a noi si rivela: la parola, il custode del nostro essere.
Tra Das Gedicht e die Dichtung (termini l’uno neutro e l’altro femminile che indicano la poesia in tedesco) vige la stessa differenza che c’è tra spirito e anima.
L’occultista russa Helena Petrovna Blavatsky alla fine dell’ottocento, nel Glossario Teosofico, definì anima e spirito in questo modo:
“L’anima è l’anello di congiunzione tra lo spirito divino dell’uomo e la sua personalità. Lo Spirito è tutt’uno con l’Assoluto Universale sempre sconosciuto e non va confuso con l’Anima, che è il veicolo per la manifestazione dello Spirito”.
Allo stesso modo è possibile intendere la poesia: luogo di congiunzione ove il linguaggio poetico è un luogo in cui il poeta non parla né della né sulla poesia, bensì si inoltra nel luogo della peculiarità propria della poesia nell’incessante bisogno di cor-rispondere ad essa.
Mi piace pensare alla poesia come luogo di fecondazione del linguaggio, laddove la parola poetica è mitocondro ( la centrale energetica della cellula) del dire. Al poeta il compito di liberarsi delle barriere, l’acrosoma appunto, al fine di poter sciogliere le pareti sacre del mai del tutto esplorabile ed inesauribile dire poetico.
A questa condizione di cor-rispondenza suprema (che per assurdo non può esaustivamente esser descritta a parole, e proprio per questo la ricerca poetica è sempre in divenire, come il movimento dei pianeti nel sistema solare) aspirano da sempre mistici e poeti, in un viaggio di ricerca alchemica della parola verso il dire assoluto. Ecco allora che come la lingua tedesca definisce la coppia Dichtung e Gedicht, potremmo pensare alla mitica coppia imperiale cinese composta da Fu Xi e dalla sorella Nu Kua, al patriarca ebreo Adamo e la sua sposa Sara, a Gesù Cristo e sua madre Maria, al Dio Shiva ed alla sua compagna Shakti, a Manco Càpac e Mama Oclo in Perù, allo yin e allo yang del Taoismo, e ancora potremmo pensare al doppio triangolo cabalistico che forma la stella a sei punte, così come all’unione della squadra e del compasso nell’iconografia massonica, o al Rebis o ermafrodita alchemico, e ancora al matrimonio tra le divinità egizie Nut (madre - cielo) e Geb (padre –terra).
Così il fiore a cui anela ogni poeta è riunire la cor-rispondenza (laddove cor-cordis è radice etimologica di cuore e corda allo stesso tempo) tra il suo animus ela sua anima, nel raggiungimento della completezza e dell’Uno sacro che è insito nella parola; quindi, essendo la parola la casa dell’essere, il poeta cerca poetando la voce della propria essenza.
Silvia Dello Russo
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