sabato 5 gennaio 2013

Calma apparente nella Libia del dopo Gheddafi

di Valentina Sechi
A oltre un anno dall’inizio della Primavera araba la Libia è ancora lontana dalla stabilità politica, il Paese è nelle mani di un governo debole, incapace di controllarlo e che deve affrontare molteplici problemi. Prima di analizzarli, ripercorriamo brevemente gli eventi che hanno portato alla fine della dittatura ultra quarantennale del Colonnello.

Dal febbraio 2011, la Libia è stata teatro di sollevazioni popolari che sono degenerate in guerra civile tra le forze lealiste al Rais e rivoltosi riuniti nel CNT (Consiglio Nazionale di transizione) che chiedevano  lavoro, rinnovamento politico e libertà d’informazione.  Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è subito attivato per proteggere i civili, istituendo una zona d’interdizione al volo e autorizzando poi l’intervento militare internazionale culminato nell’operazione Odissea all’Alba che ha permesso il rovesciamento del regime, mentre le circostanze in cui sarebbe avvenuta la morte di Gheddafi restano avvolte dal mistero.
Con la proclamazione ufficiale della liberazione totale della terra di Libia, il 23 ottobre 2011, è stato avviato il processo di transizione verso la democrazia e il potere è passato nelle mani del CNT.
Il primo problema che con cui il governo provvisorio si è dovuto confrontare è la frammentazione del Paese:  scontri ad opera delle milizie armate ancora presenti nel Paese, perlopiù ex combattenti , rivoltosi e sostenitori del Rais, che controllano aree nevralgiche, richiesta di autonomia della Cirenaica, culla della rivolta popolare, divisioni sociali, culturali, economiche, presenza di forze politiche islamiche radicali, ruolo di secondo piano della società civile.
 Un altro elemento da considerare è la mancanza di un’identità nazionale alla luce della struttura tribale del Paese e della cultura islamica. Il nuovo governo si fonda su un compromesso tra identità islamica e governo democratico accettato dai salafiti. Tuttavia, si registra un vuoto istituzionale dovuto alla mancanza di dibattito pubblico sulle istituzioni, alla scarsa esperienza dei membri del CNT e si invoca una riforma legislativa per eliminare i vecchi schemi mentali che rendono i Libici diffidenti verso le autorità. Secondo il Presidente del CSGE Jean, “Ci sono 200 milizie che hanno vinto la guerra civile, ma non cedono le armi, perché non si fidano del nuovo corso politico”. Per  il leader del movimento per l’autonomia della Libia Occidentale Al-Rahel si è assistito ad un collasso dell’autorità centrale, a seguito del quale la Libia rischia di diventare una nuova Somalia.                                                                                                                                                Un fatto che può dare la misura della debolezza del CNT  riguarda le ostilità fra i gruppi Tabu e Zawiya, scoppiate nel febbraio 2012, dopo che un contrabbandiere Zawiya aveva ucciso 6 guardie Tabu, ritenendo che volessero dichiarare la creazione di un proprio Stato, e conclusesi con un bilancio di 50 morti davanti alle quali il CNT si è dichiarato impotente.
Il conflitto tra Est ed Ovest sta inoltre alimentando un movimento che chiede il ritorno al sistema federale esistente sotto la monarchia che prevedeva 3 Stati: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, ciascuno con capitale, corti e forze di polizia proprie. Secondo un portavoce del TNC la decentralizzazione sarebbe la scelta migliore, perché darebbe autonomia a città e distretti preservando allo stesso tempo un governo centrale forte da proteggere anche da una possibile deriva secessionista della Cirenaica, che leader tribali e politici della Libia orientale vorrebbero trasformare in regione federale.
 Il 7 luglio 2012, si sono tenute le prime elezioni libere dal 1965 per scegliere i membri del Congresso Nazionale (CNG), l’assemblea legislativa incaricata di nominare un governo ad interim. L’affluenza  è stata di oltre il 60% degli aventi diritto per assegnare 200 seggi, di cui 120 assegnati con sistema  maggioritario uninominale a candidati indipendenti  e 80 con  sistema proporzionale. Con riferimento a quest’ultimi, il partito che ha registrato più voti è la National Forces Alliance (NFA), coalizione moderata guidata dall’ex Ministro Jibril, con il 48,14% delle preferenze seguita dal partito islamico Justice and Construction .
 Il 3 agosto 2011, il TNC ha dichiarato la Libia una democrazia in cui l’Islam è religione di Stato, viene garantito lo Stato di diritto, l’indipendenza del potere giudiziario, il rispetto dei diritti umani e civili, il cui obiettivo è la creazione di una democrazia presidenziale, caratterizzata da un’Assemblea Nazionale eletta e una Costituzione legittimata democraticamente.
Cinque giorni più tardi, il CNG, presieduto da Magariaf, ha assunto formalmente il potere. La scelta di tale data non è casuale: lo stesso giorno dell’anno precedente l’esercito di liberazione aveva attaccato Tripoli. Secondo la BBC si è trattato della prima transizione di potere pacifica nella storia moderna della Libia.
Il mese seguente un altro evento scuote il Paese: l’11 settembre, un attacco al consolato americano di Bengasi ha provocato la morte di 4 funzionari fra cui l’ambasciatore Stevens. In risposta, gli USA hanno inviato 2 cacciatorpedinieri militari presso le coste libiche come misura preventiva;  tale scelta potrebbe aumentare l’astio nei confronti della potenza statunitense,  provocato dal sostegno ad Israele e dalla volontà di trasformare il Paese in una democrazia occidentale. L’assalto non è condiviso né da vasti settori dell’opinione pubblica né dal governo che considerano gli USA determinanti nel crollo del regime e comprendono l’importanza dell’Occidente per l’economia.
In Ottobre, il Premier Abushagur ha presentato un gabinetto composto da 29 nomi, molti dei quali di membri del CNT, che non è piaciuto al Parlamento. Il Primo Ministro ha in seguito presentato una seconda lista, composta da soltanto dieci nomi che non ha ricevuto la fiducia dell’Assemblea.  Abushagur è stato quindi costretto alle dimissioni e al suo posto è stato nominato Zeidan che, poco dopo la sua elezione ha affermato: “La sicurezza sarà la mia priorità, perché tutti i problemi che la Libia soffre derivano dalla sicurezza. Il governo sarà un governo di emergenza per risolvere le crisi che il paese sta attraversando”.
Nei mesi seguenti si sono registrati nuovi disordini, specie nei pressi della roccaforte del Rais Bani Walid, ad opera della tribù Warfalla mentre, al secondo tentativo, il Primo Ministro ha ottenuto la fiducia del GNC, dopo un’interruzione causata dall’irruzione di alcuni manifestanti nella sede del Parlamento. Il nuovo governo è composto da ministri legati ai due partiti più votati, mentre i ministeri di esteri, finanze, difesa, giustizia e interni sono stati affidati a candidati indipendenti.
Entro breve tempo il popolo libico sarà nuovamente chiamato al voto per scegliere i sessanta membri dell’Assemblea costituente, che dovrà redigere la carta fondamentale da sottoporre all’approvazione del GNC e in seguito a referendum. In caso di esito positivo di quest’ultimo, entro trenta giorni dalla ratifica della Costituzione, il Congresso emanerà una nuova legge elettorale ed entro centottanta giorni si svolgeranno le elezioni per la nuova assemblea legislativa.
I passi che la Libia deve compiere risultano quindi la creazione di forze di polizia che riescano a mantenere l’ordine e neutralizzino le milizie, la formazione di una classe dirigente efficiente, l’unificazione, il disarmo dei civili, la Costituzione.
Attualmente il Paese, diviso e fragile, è in balia delle milizie: finchè i leader eletti democraticamente non riusciranno rappresentare le aspirazioni della maggioranza pacifica, gli estremisti islamici troveranno un loro spazio. Il cammino intrapreso è lungo e difficile ma gli straordinari risultati raggiunti fanno ben sperare per il futuro.

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