di Valentina Sechi
Non c’è pace per il Mali. La situazione nel Paese africano
continua ad essere critica a seguito delle operazioni militari che coinvolgono
il Paese, anche se si apre un barlume di speranza a seguito della notizia che gli uomini del Movimento islamico
dell'Azawad (Mia), nato a seguito di una secessione dal gruppo tuareg salafita
Ansar Eddine, hanno chiesto alla Francia di non attaccare Kidal e Menaka, di
porre fine alle ostilità e di avviare
una trattativa, dicendosi pronti a combattere lo stesso Ansar Eddine intaccando il sistema difensivo degli
integralisti islamici.Le ultime settimane sono state dense di avvenimenti ma procediamo con ordine. Delle vicende relative al Paese mi ero già occupata in precedenza (v. l’articolo Sahel, tragedia dimenticata) , a distanza di un mese la situazione è diventata ancora più incandescente a seguito della decisione del presidente francese Hollande di intervenire in Mali, già destabilizzato dal colpo di Stato del 2012 e dalla rivolta di Tuareg e jihadisti.
L’11 gennaio la
Francia ha annunciato l’avvio dell’operazione Serval, resa
necessaria dal fatto che i fondamentalisti si stavano dirigendo verso Sud, dopo
aver preso il controllo di vaste regioni nel nord del Paese approfittando dei
ritardi ad agire della comunità internazionale,
che attendeva di conoscere la posizione di ONU e Unione Africana, incapace di
gestire la crisi.
In un primo momento si era scelto di effettuare dei raid
aerei e il giorno successivo è partita l’offensiva di terra che potrebbe
arrivare a contare oltre 2500 soldati al fianco dell’esercito maliano, portando
in breve tempo alla conquista di Konna e Douentza. Tuttavia, il presidente
della Commissione dell’UA si sarebbe auspicato un intervento armato organizzato
dalle forze africane se le circostanze lo avessero consentito.
A fronte della decisione francese altri paesi si sono
affrettati a offrire sostegno logistico: gli USA hanno messo a disposizione
aerei da trasporto (escludendo la partecipazione ad una nuova guerra in un paese
islamico, le cui sorti riguardano principalmente l’Europa); la Germania 2 aerei da
trasporto e aiuti finanziari; la
Russia si occuperà del trasporto di soldati e attrezzatura;
il Canada del trasferimento di parte delle forze africane; l’Unione Europea
invierà 400 unità per addestrare e riorganizzare l’esercito maliano.
Per quanto riguarda l’Italia è previsto, in linea con la Risoluzione 2085 del
Consiglio di Sicurezza ONU, l’invio di
24 addestratori militari per 2 mesi estensibili a 3, un contributo di vettori
aerei per il supporto logistico, un contributo al trasporto di personale e
mezzi in Mali per il rifornimento in volo sul Mediterraneo, nonché
eventualmente tra il Mali ed altri Stati dell’ECOWAS. In nessun modo è previsto
un intervento militare diretto. Il Ministro Di Paola ha asserito che sarebbero
utili 2 aerei da trasporto C-130 e un aereo 767 per il rifornimento in volo, ma
il Governo ha precisato che si muoverà con prudenza e senso di responsabilità
per via della situazione politica e istituzionale italiana .
Il 18 gennaio sono giunti contingenti da Niger, Ciad e Togo
e si prevede un dispiegamento totale di 2000 uomini guidati dal Generale
Abdulkadir entro il 26 gennaio in seno alla missione internazionale di sostegno
al Mali (MISMA). Tra i primi risultati la conquista della città aeroportuale di
Sevarè e Niono, grazie all’azione
congiunta con le truppe francesi e i raid aerei che hanno spinto i ribelli a spostarsi verso Kidal, quasi al
confine con l’Algeria.
Il 22 gennaio è stata riconquistata Diabaly, ex base del
gruppo Aqmi che permette di assicurare il fronte nordoccidentale e la frontiera
con la Mauritania ,
impedendo un’avanzata dei ribelli in direzione della capitale; adesso si punta alla città di Timbuctu e alle
strutture che vi aveva fatto costruire Gheddafi.
L’azione militare tuttavia non ha ricevuto soltanto elogi,
ma anche critiche. In particolare, il Presidente egiziano Morsi ritiene che
l’operazione possa rischiare di mettere in pericolo la sicurezza dell’intera
regione saheliana. C’è chi inoltre
sostiene che le ragioni francesi siano di tipo economico e legate alle risorse
del Paese produttore di oro, ferro, cotone, uranio e petrolio e sempre di più i
sostenitori del ritorno alla negoziazione a dispetto del parere della comunità
internazionale. A queste insinuazioni il presidente francese Hollande risponde
che l’intervento è legittimo, in accordo col diritto internazionale e avente
per solo obiettivo il sostegno ad un Paese povero e vittima del
terrorismo, essendo stato preceduto da
una richiesta di Bamako e dall’invito del presidente ivoriano Outtara ad una
maggiore mobilitazione, a cui l’Europa avrebbe potuto rispondere mettendo in
campo 1500 unità pronte ad agire in 15
giorni e una forza di intervento rapida di 60000 uomini dispiegabile in 60
giorni. Quella che è mancata è un’azione unica dell’Europa come entità politica
perché del problema Mali a Bruxelles si parla da almeno 2 anni e proprio per
rimarcare il ruolo della Francia, il Ministro degli Esteri transalpino Fabius
ha affermato che “senza la
Francia non ci sarebbe più il Mali”.
Il 5 febbraio l’Alto rappresentante per la Politica Estera
dell’UE Ashton presiederà una conferenza internazionale sulla crisi in Mali a
cui parteciperanno anche ECOWAS, UA e ONU per fare il punto sulla situazione
dato che non è stato annunciato un calendario per il dispiegamento truppe e
finanziamento della missione che nei primi 12 giorni è costata alla Francia 30
milioni di euro e potrebbe durare a lungo. Sono previsti stanziamenti
per 50 milioni di dollari a sostegno delle forze armate africane e altri 200 milioni di euro in aiuti umanitari.
Il Commissario UE per la gestione delle crisi Georgieva ha presenziato a due
incontri con autorità locali e partner internazionali a Bamako.
La prospettiva futura per un Paese caratterizzato
dall’eredità coloniale, da uno scarso livello di democrazia e fratture su base
etnica e religiosa, crocevia di traffici illegali, attraverso cui si finanziano
i ribelli, è angosciante. Nella complessa rete di relazioni intessuta dalla
politica internazionale non va dimenticato l’aspetto umanitario, tra accuse di
violenze, esecuzioni sommarie e violazioni dei diritti umani e il rischio di
700.000 nuovi profughi nel Sahel, per i quali sarebbe necessaria l’apertura di
corridoi umanitari per la fornitura di aiuti ai civili.
E per riflettere ancora sullo stato delle cose, è stata
convocata per domani una riunione dei Ministri della Difesa dell’ECOWAS.
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