venerdì 25 gennaio 2013

Mali, Afghanistan d'Africa?


di Valentina Sechi
Non c’è pace per il Mali. La situazione nel Paese africano continua ad essere critica a seguito delle operazioni militari che coinvolgono il Paese, anche se si apre un barlume di speranza a seguito della notizia che  gli uomini del Movimento islamico dell'Azawad (Mia), nato a seguito di una secessione dal gruppo tuareg salafita Ansar Eddine, hanno chiesto alla Francia di non attaccare Kidal e Menaka, di porre fine alle ostilità  e di avviare una trattativa, dicendosi pronti a combattere lo stesso Ansar Eddine  intaccando il sistema difensivo degli integralisti islamici.

Le ultime settimane sono state dense di avvenimenti ma procediamo con ordine. Delle vicende relative al Paese mi ero già occupata in precedenza (v. l’articolo Sahel, tragedia dimenticata) , a distanza di un mese la situazione è diventata ancora più incandescente a seguito della decisione del presidente francese Hollande di intervenire in Mali, già destabilizzato dal colpo di Stato del 2012 e dalla rivolta di Tuareg e jihadisti.

L’11 gennaio la Francia ha annunciato l’avvio dell’operazione Serval, resa necessaria dal fatto che i fondamentalisti si stavano dirigendo verso Sud, dopo aver preso il controllo di vaste regioni nel nord del Paese approfittando dei ritardi ad  agire della comunità internazionale, che attendeva di conoscere la posizione di ONU e Unione Africana, incapace di gestire la crisi.

In un primo momento si era scelto di effettuare dei raid aerei e il giorno successivo è partita l’offensiva di terra che potrebbe arrivare a contare oltre 2500 soldati al fianco dell’esercito maliano, portando in breve tempo alla conquista di Konna e Douentza. Tuttavia, il presidente della Commissione dell’UA si sarebbe auspicato un intervento armato organizzato dalle forze africane se le circostanze lo avessero consentito.

A fronte della decisione francese altri paesi si sono affrettati a offrire sostegno logistico: gli USA hanno messo a disposizione aerei da trasporto (escludendo la partecipazione ad una nuova guerra in un paese islamico, le cui sorti riguardano principalmente l’Europa); la Germania 2 aerei da trasporto e aiuti finanziari; la Russia si occuperà del trasporto di soldati e attrezzatura; il Canada del trasferimento di parte delle forze africane; l’Unione Europea invierà 400 unità per addestrare e riorganizzare l’esercito maliano.

Per quanto riguarda l’Italia è previsto,  in linea con la Risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza ONU, l’invio  di 24 addestratori militari per 2 mesi estensibili a 3, un contributo di vettori aerei per il supporto logistico, un contributo al trasporto di personale e mezzi in Mali per il rifornimento in volo sul Mediterraneo, nonché eventualmente tra il Mali ed altri Stati dell’ECOWAS. In nessun modo è previsto un intervento militare diretto. Il Ministro Di Paola ha asserito che sarebbero utili 2 aerei da trasporto C-130 e un aereo 767 per il rifornimento in volo, ma il Governo ha precisato che si muoverà con prudenza e senso di responsabilità per via della situazione politica e istituzionale italiana .

 

 

 

 

Il 18 gennaio sono giunti contingenti da Niger, Ciad e Togo e si prevede un dispiegamento totale di 2000 uomini guidati dal Generale Abdulkadir entro il 26 gennaio in seno alla missione internazionale di sostegno al Mali (MISMA). Tra i primi risultati la conquista della città aeroportuale di Sevarè e Niono,  grazie all’azione congiunta con le truppe francesi e i raid aerei che hanno spinto  i ribelli a spostarsi verso Kidal, quasi al confine con l’Algeria.

Il 22 gennaio è stata riconquistata Diabaly, ex base del gruppo Aqmi che permette di assicurare il fronte nordoccidentale e la frontiera con la Mauritania, impedendo un’avanzata dei ribelli in direzione della capitale;  adesso si punta alla città di Timbuctu e alle strutture che vi aveva fatto costruire Gheddafi.

L’azione militare tuttavia non ha ricevuto soltanto elogi, ma anche critiche. In particolare, il Presidente egiziano Morsi ritiene che l’operazione possa rischiare di mettere in pericolo la sicurezza dell’intera regione saheliana.  C’è chi inoltre sostiene che le ragioni francesi siano di tipo economico e legate alle risorse del Paese produttore di oro, ferro, cotone, uranio e petrolio e sempre di più i sostenitori del ritorno alla negoziazione a dispetto del parere della comunità internazionale. A queste insinuazioni il presidente francese Hollande risponde che l’intervento è legittimo, in accordo col diritto internazionale e avente per solo obiettivo il sostegno ad un Paese povero e vittima del terrorismo,  essendo stato preceduto da una richiesta di Bamako e dall’invito del presidente ivoriano Outtara ad una maggiore mobilitazione, a cui l’Europa avrebbe potuto rispondere mettendo in campo  1500 unità pronte ad agire in 15 giorni e una forza di intervento rapida di 60000 uomini dispiegabile in 60 giorni. Quella che è mancata è un’azione unica dell’Europa come entità politica perché del problema Mali a Bruxelles si parla da almeno 2 anni e proprio per rimarcare il ruolo della Francia, il Ministro degli Esteri transalpino Fabius ha affermato che “senza la Francia non ci sarebbe più il Mali”.

Il 5 febbraio l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’UE Ashton presiederà una conferenza internazionale sulla crisi in Mali a cui parteciperanno anche ECOWAS, UA e ONU per fare il punto sulla situazione dato che non è stato annunciato un calendario per il dispiegamento truppe e finanziamento della missione che nei primi 12 giorni è costata alla Francia 30 milioni di euro e potrebbe durare a lungo.                                                                                                                           Sono previsti stanziamenti per 50 milioni di dollari a sostegno delle forze armate africane e  altri 200 milioni di euro in aiuti umanitari. Il Commissario UE per la gestione delle crisi Georgieva ha presenziato a due incontri con autorità locali e partner internazionali a Bamako.

La prospettiva futura per un Paese caratterizzato dall’eredità coloniale, da uno scarso livello di democrazia e fratture su base etnica e religiosa, crocevia di traffici illegali, attraverso cui si finanziano i ribelli, è angosciante. Nella complessa rete di relazioni intessuta dalla politica internazionale non va dimenticato l’aspetto umanitario, tra accuse di violenze, esecuzioni sommarie e violazioni dei diritti umani e il rischio di 700.000 nuovi profughi nel Sahel, per i quali sarebbe necessaria l’apertura di corridoi umanitari per la fornitura di aiuti ai civili.   

E per riflettere ancora sullo stato delle cose, è stata convocata per domani una riunione dei Ministri della Difesa dell’ECOWAS.

25 gennaio 2013

 


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