lunedì 23 gennaio 2012

Lettere insulari a Francesca Saieva - Lettera poetica

Risposta alla lettera aperta di Guido Monte, del 19 gennaio 2012 (http://palingenesicom.blogspot.com/2012/01/una-lettera-poetica-aperta-francesca.html)

“lettere insulari”, rubrica a cura di Francesca Saieva
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com

Caro Guido,
sto leggendo e rileggendo i tuoi versi, in attesa di creare una sorta di linea associativa tra parole e pensieri. Sarà l’abitudine, considerati gli anni di collaborazione al tuo multilinguismo cosmopolita, nel tentativo (non si sa se mai raggiunto) di sottolineare la possibilità di cogliere il nesso tra ciò che è poetico in poesia e ciò che può definirsi prosa poetica. Perché credo che, se i rimandi associativo-contenutistici al tuo testo siano molteplici, in questo caso si possa evidenziare la necessità-esigenza poetica del tema di cui tu scrivi: l’illusione.
Secondo dinamiche d’inadeguatezza al reale, le illusioni ci parlano, imponendo ‘visibilità impalpabili’ e l’ascolto di dolorose e angoscianti implicazioni a un senso ‘forte’ della vita.
Così se l’illusione mostra i suoi derivati, a pancia, in questa mia riflessione, un’idea ha il sopravvento; puntuale e martellante sembra dire: sono io che reggo il filo del discorso, quale principio nella storia dell’eterno mutare. Sono il principio di autoconservazione.
Perché, per ogni evoluzione e così pure per il suo contrario è richiesto un antidoto nel perenne ‘gioco’ spietato della selezione. E l’umanità, giorno dopo giorno, trascina il suo peso in un mondo che si racconta da sé, vivendo gli orrori del suo tempo.
Forse difficile accettare il connubio illusione-autoconservazione. Quasi come dichiarare la resa dell’umano nello sconforto di ogni mancata progettualità. Ma è l’illusione che combatte l’indifferenza, che coglie il contraddittorio di quell’anima bella (trasfigurata in anima-bolla?) la cui ragione e il suo sentimento oltrepassano ogni soglia, da cui tutto, in fondo e sempre, sembra unirsi e separarsi.
Tra delicate bolle sospese, dunque, ci auto-conserviamo dibattendoci tra misteriose dinamiche interiori-esteriori (io-mondo) sicuri di proiezioni future, mentre alla porta bussa il solito ospite: l'antidiluviano lupo gramsciano che dilata le narici all’acre odore del sangue. Perché per ogni ‘oggi’ la modernità trionfante soddisfa l’istinto dell’animalità trogloditica.
Guido, ringraziandoti per gli spunti forniti a questa mia nuova riflessione, aggiungo due brevi commenti associativi (già editi) ma in linea anche con il tuo testo, convinta che nella ‘trappola’ dell’umano la poesia prenda sempre e comunque piena voce.


commento:
Ho udito il vento e ne ho ascoltato la voce; ormai tra nubi i soffi spingono pensieri lungo lo spiraglio di un bianco dirupo roccioso. E lì la vertigine, attimo dopo attimo, planando sulla superficie d'acqua, come specchio turba la veglia del mio sonno. Da lontano mi osserva "la dea del non-essere... annoda le trecce" (F.Pessoa); il volo è ormai ingabbiato. Un piccolo aeroplano dall'ala spezzata "negli ombrosi sentieri del mio sogno" (F.Pessoa), del mio Tempo. Ignota la via e la sua fuga... Ascoltami, l'atterraggio è ancora lontano... e io vedo soltanto un "giardino verticale" per i miei desideri.

Missili "guardiani della pace" pronti ad uccidere (T.Chapman) esseri mortali indifesi, coinvolti nella violenza (M.K.Gandhi). Contraddizioni incuranti di un principio responsabilità (Jonas)...ma "la vita vive della vita" (Gandhi) e io guardo roccia e non acqua e la strada sabbiosa (Eliot) … ancora una voce... ahimsa... Se qui ci fosse acqua ci fermeremmo a bere (Eliot), perchè soltanto "quando i ciechi si toglieranno i paraocchi e i muti diranno la verità" (Chapman), io – sarò – là dove non sono (A.Rimbaud).
F.S.

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