martedì 1 febbraio 2011

Il Catalogo

di Enzo Barone
Terza parte

Al secondo anno di lavoro gli venne dato un incarico di prestigio. Doveva recarsi in un paesetto di montagna, impreziosito da un raccolto e suggestivo centro storico di origine medioevale, tra i pochi in zona risparmiato dalle brutture del progresso. In un mesetto o poco più doveva redigere il catalogo degli oggetti d’arte di due chiese e di un piccolo eremo francescano ormai quasi vuoto. Il diversivo rispetto alla solita vita d’ufficio lo stimolava, ma quello che c’era da fare lo eccitava ancora di più. Si mise all’opera con sollecitudine.
“Numero due patene in argento cesellato della fine del XVI sec in buono stato di conservazione…acquasantiera mutila, decorata con grottesche a marmi mischi del XVII sec. inizi XVIII, parzialmente leggibili, necessita di restauro…numero cinque tele molto logore con brani di supporto pittorico a vista in più parti, si presume con soggetti sacri sec XVI…testa di puttino in marmo del sec XVI, ben conservata, di scuola gaginesca..”  
Dava ordine a tutti quegli oggetti, ma era l’ordine voluto dai moderni manuali di catalogazione dell’ufficio. Ogni voce andava compilata secondo rigidi parametri tipologici e formali, la descrizione era vincolata dall’uso di una terminologia tecnica specifica, poi c’era la classificazione alfanumerica delle varie tipologie di oggetti e infine, la cosa più importante, l’indicazione dello stato di conservazione del pezzo, che avrebbe dovuto dare il vero significato a tutta l’opera catalogativa.
Senza averlo consultato gli impiegati comunali di quel paesino le opere da censire gliele avevano portate tutte in una vecchia stalla riadattata a magazzino. Le aveva sotto gli occhi tutto il giorno: le prendeva con amore, le scrutava con attenzione una per una, più volte, le catalogava infine con scrupolo.
Poi ci tornava sopra, magari per aggiungere qualcosa, e si diceva: “Catalogare in fondo è dare forma alle cose. E’ prendere una cosa, un moncone di acquasantiera, un frammento di un affresco, una antica mattonella di maiolica e dare loro una identità, dire cioè cosa sono, a che servono, quale insieme figurativo anticamente componevano, che forma e che colori hanno, a che età appartengono, cosa rappresentano le decorazioni che vi sono impresse. Niente in fondo ha alcun senso prima che qualcuno faccia tutte queste cose, prima che le abbia catalogate. In fondo sei tu, il Catalogatore, che dai senso a ciò che esiste ed esso esiste veramente solo quando gli hai dato una classificazione. E’ un po’così anche per tutto il creato forse. Prima che alberi, fiumi, montagne fossero intese come noi le intendiamo, erano il nulla, il nulla indistinto, senza nome.”
Giorno dopo giorno i suoi ragionamenti lo portarono ad inoltrarsi sempre di più in un terreno inesplorato: “Tutto quello che sto facendo…le schede di catalogo fatte così…mi sto accorgendo, però, che tutta questa potrebbe essere un’operazione arbitraria. Perché ogni oggetto d’arte deve essere a forza incluso all’interno di schemi rigidi, che li identificano, gli danno delle sigle: essi hanno senso solo se cacciati necessariamente in una scheda preordinata, in ragione di parametri fissi come la forma, le decorazioni, la specificità dello stile artistico, il periodo di realizzazione o la loro maggiore o minore integrità ?” Capiva, cominciava a farlo, che questo forse non era il suo Grande Catalogo. La capacità del catalogatore era limitata esclusivamente al conformarsi a questa razionale procedura classificatoria scientifico-informatica e nell’attuarla quindi in modo rigoroso. Certo c’è sempre l’opera di ricognizione dell’opera d’arte, il riconoscimento del suo pregio, ma quella catalogazione, - ahime! - era figlia di logiche impersonali e astratte, che trascendono le scelte ordinatrici dei singoli compilatori.
Giorno dopo giorno guardava tutte quelle cose disposte sui vari tavoli della stalla ancora da classificare, tutti gli altri oggetti messi un po’alla rinfusa sulla paglia e tutto quell’insieme, da lui disposto con un ordine non del tutto ortodosso e in parte blasfemo, poco a poco gli sembrò bellissimo, così com’era.
E un bel momento, senza averlo nemmeno deciso con gesto inconsuetamente rapido e istintivo prese delle schede intonse e si mise a scriverci sopra: “Numero tre slittanti, bianchissimi lastroni di porfido rosso striati di qualche piccola venatura smeraldo, appartenenti al remoto medioevo…una testa, due dita di una mano e tre di un piede, di marmo, bianchissimi, barocchi forse, ma molto ben in armonia col reliquiario d’argento posto accanto, che luccica meravigliosamente, colpito dalla luce delle undici…sedici quadratini di maiolica, ocra, granata, cobalto e verdi che sviluppano, disposti come sono su quel ripiano di vecchio rovere una treccia, o forse un onda di colori e di energia, la quale fluttua dal tavolo e corre verso il cielo azzurro…tavole di faggio tarlate (componevano una vecchia porta senz’altro), nelle cui venature si vede sempre più chiaramente avanzare fiero un cavaliere, con alabarda e un grand’elmo piumato.”
Anche questo è catalogo, si disse!
E’ il catalogo della fantasia, dei sensi che galoppano liberi. Ciò che vedo e ordino può nascere a nuova vita, alla vita che il mio catalogo gli darà.
“Finalmente intendo. Questo è l’obiettivo del Grande Catalogatore: ricreare il mondo secondo l’Ordine misterioso che lo spirito gli detta, l’Ordine segreto dell’universo.”
A fine missione bruciò le vecchie schede e portò via con sé solo quelle di questa nuova fatta.
Tornato in città il padre ebbe un gran da fare per ammorbidire le ire furiose dei dirigenti del Catalogo. Un declassamento dalle consuete mansioni pareva la conseguenza minima. Lo capiva anche Aimo.
A lui però tutto questo sembrava importare poco. Aveva già deciso in cuor suo che quello non era posto per lui. Non gli passava nemmeno per la mente quanto era stato difficile ottenere quel posto e quanto grave sarebbe stato perdere il lavoro, quel lavoro.
Si prese una settimana di ferie, poi disse a Claire senza far tanti drammi, senza giri di parole che se ne andava per qualche giorno nella casa di campagna dei genitori per pensare un pò.
Tornò la domenica sera rinvigorito, del tutto rinfrancato.
“Ho chiuso. Da domani mi metto a fare altro. Quello che m’interessa e mi realizza sul serio.”
Voglio catalogare le cose, tutte le cose, dalle più importanti alle insignificanti, il mondo tutto insomma, secondo un nuovo ordine, il mio ordine, accordarmi alla catalogazione grandiosa e segreta iscritta nell’Ordine cosmico. Ecco io con questa religiosa e nuova opera di catalogazione mi riconosco parte di una verità grandiosa, agente consapevole dell’eterno conflitto tra Kaos e Ordine: un giorno apparirà immane e meritorio il mio tentativo di Catalogatore di accordarmi, di entrare nell’armonia dell’universo ordinato che lotta contro la sua disgregazione.”
 Parlava come un invasato, ma per Claire che lo conosceva forse meglio di quanto Aimo conoscesse sè stesso, non era ancora tempo di chiamare infermieri e camicia di forza.
Sparì di casa che era mattina presto. Non si fece vivo per cinque giorni. E stavolta la donna si preoccupò sul serio. La mattina del sesto la chiamò al telefono: la sua voce era carica di un’eccitazione incontenibile. Le chiese venirlo a trovare perchè vedesse da sè quanto era meravigliosa la sua nuova occupazione e quanto finalmente lo realizzasse quello che faceva adesso.
Lo raggiunse in una mezz’oretta, dove le aveva detto. Era una stradina dell’antico quartiere arabo della città vecchia, che si fletteva tra vetusti palazzi nobiliari e casupole cadenti. Al numero indicato due battenti consunti da decenni si dischiudevano su un vano buio e profondo, forse una specie di garage diroccato. Lui per ora non c’era. Data l’oscurità del vano s’inoltrò con cautela. Alla parete e su delle mensolacce erano accatastate pile enormi di cartoni da imballaggio di elettrodomestici, detersivi, giocattoli, merendine, liquori e bibite, disposti con uno strano ordine, non casuale certo, ma diverso da quello a lei noto. I volti dei personaggi delle reclame, i colori accesi dei cartoni dei fustoni di detersivo, i marchi delle merendine erano legate gradevolmente tra loro da un legame sottile, musicale.
Da un’altra parte c’era una voluminosa collinetta di cenci e robbe vecchie: magliette, calzoni, camicie, canottiere, cappotti, mutande e i mille e mille colori e sfumature si alternavano con sapiente equilibrio come in un quadro di Kandinsky. In fondo al garage mucchietti di bulloni, viti di varie dimensioni e ferraglia distribuita sulla parete a formare strani ghirigori. Istintivamente un pensiero percorse la mente di Claire: fece in pochi istanti un’assurda ipotesi che aveva un certo fascino. Era scioccata e forse ammirata, osservando quell’arte folle, fatta di sorprendente felicità combinatoria, della difficile armonia assemblatrice tra i diversi.
La distolse un gracchiare rauco e sincopato di motore e la vociona familiare.
“Qua, qua amore mio, eccomi” gridava euforico Aimo sporgendosi con metà del corpo dallo sportelletto aperto di una sgangherata ape. Il cassone dietro era pieno fino all’inverosimile di carta, cartoni, ferri, ferraglia, alluminio, vetri colorati, indumenti, giocattoli vecchi e plastiche d’ogni genere.
“Eccomi signora: Aimo, finalmente Sommo Catalogatore; ieri schiavo alla Regione e oggi, robbivecchia, cartonaio e cenciaio professionale, per servirla mia cara!”

2 commenti:

  1. Mi sembra che alla luce di questa lettura la mia attività di cancelliere incaricato di redigere inventari abbia un altro sapore. Fino a ieri recarmi in vecchi capannoni freddissimi e polverosi ad inventariare oggetti che parlano di lavoro ma che nessuno forse comprerà mai mi appariva frustrante. Ieri il proprietario di un mobilificio fallito è scoppiato a piangere dicendo "era tutto quello che avevo era la mia vita, mi consola soltanto che ho sfamato in 40 anni di attività 60 famiglie".Spero soltanto che anche lui, come il nostro protagonista, possa avere un guizzo di vitalità e riaccendere il suo sguardo spento e malinconico. Salvo Barone

    RispondiElimina
  2. Enzo, davvero complimenti per il racconto! Mi è piaciuto tantissimo!!
    Ciao Salvo! Allora sei tu che, magari indirettamente, hai ispirato Enzo?!?

    RispondiElimina

Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie