venerdì 25 febbraio 2011

Lentezza


di Francesca Saieva

picture by Aurora Palillo.
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Mi viene in mente il testo “Lentezza”, quando a un certo punto Piero Pelù canta “su un guscio di noce che è la tua fragilità lo puoi capire fallo senza fretta e prenditi il tempo perché la tua lentezza è l’equilibrio per restare in piedi”. Un gioco temporale quindi per noi, continua Pelù, “animali strani con abiti normali”.
. .Chissà che Pelù non abbia letto Tutta una vita della Jesenská! A vent’anni un libro del genere o si legge d’un fiato o si abbandona alla prima pagina … L’apparire della vita… mentre non accadeva niente e invece accadevano tante cose… (Jesenská). Gli anni sono trascorsi e mi piace ancora; sarà anche per il senso d’attesa di ogni sua parola, dietro la narrazione storica.
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Premetto di nutrire profondo rispetto per l’attesa, così come d’altronde per la ‘sterzata’ (in termini di brusco cambiamento di direzione, reazione ad accadimenti, secondo libera-consapevole scelta) e di ciò che essa comporti, per se stessi e per gli altri.
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Ma la questione credo sia ben altra; voglio dire, spesso sicuri di fare grandi cose, tralasciamo gli ‘spazi bianchi’. Mi chiedo infatti: cosa intercorre in quel lasso di tempo tra una sterzata e un’altra? La sterzata in se stessa possiede infiniti lassi di tempo, così come infiniti sono gli spazi bianchi. A questo punto, la presunta o forse divulgata ‘incomprensibilità’ di Zenone andrebbe applicata. Risultato: la metà della metà all’infinito in questo caso non sarebbe più l’argomentazione di un paradosso, ma inevitabile conseguenza dell’essere presenti; se, in fondo, uno spazio bianco va sempre riempito, e la ‘presenza’ ne sembra proprio il suo riempimento.
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Sostenere la presenza comporta dei rischi, quasi una sorta di ‘accanimento terapeutico’ di stampo esistenzialistico, tradotto in termini di cura nella costante ambiguità di ogni cosa. Heideggerianamente manifesta in ciò-che-è-posto-davanti e il suo lasciar–esser–posto–davanti. Soffermarsi sulla presenza è già presenza, quasi un riempimento ossessivo fattosi destino. È difficile se non quasi impossibile sfuggire al proprio destino, anche perché paradossalmente esso è la precisa conseguenza di ogni nostra scelta. Sembra attestarlo la metafora, utilizzata nel suo libro dalla Jesenská, del bicchiere d’acqua che una volta svuotatosi, si vuole riempire nuovamente. Consapevoli di quanto l’attenzione possa essere ricompensata ma ugualmente castigata (e, aggiungo, nella nostra società), l’importante è intendersi sull’essenza del bicchiere, ovvero la nostra vita. Un involucro per un gioco delle parti, tra l’essente e l’essere, per meglio dire tra ciò che è tangibile in quanto evidente e ciò che è invisibilmente attento; in sintesi esser presente di ciò che è presente.
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Ma il lettore paziente si chiederà: quale rapporto intercorre tra la presenza, l’attenzione e l’attesa? Forse tale rapporto va ricercato e rintracciato nella parola ‘lentezza’, in termini ‘filosofici’dell’indugiare restando. Identità separate, a se stanti, ma costantemente relazionabili nell’approfondimento del quotidiano... queste, secondo legami temporali e intimistici, su tracciati e zone d’ombra, si muovono in un costante andamento lento, dove la pausa e la riflessione reggono la partecipazione-azione.
.Parlare del quasi impalpabile e invisibile è a volte ‘sconveniente’ quanto parlare di sé, tanto da sfiorare la banalità, ma per fortuna la letteratura e l’argomentare filosofico vengono in aiuto nell’universalizzare tali concetti e soggettività. Danno licenza poetica ai nostri più comuni pensieri, spessore a ripetibili azioni, perché divengano nostro vissuto. Artefici del proprio destino, seppur talvolta assenti, distratti e impazienti e inconsapevoli del senso d’altro, dovremmo osservare le onde. Nel respiro del mare, lo scorrere delle ore è un invito a rallentare nel rispetto delle pause e delle sue attese.

1 commento:

  1. Un testo veramente ricco di spunti da condividere, magari con amici intimi che "sanno andare oltre" le apparenze di una vita che può sempre destare stupore.
    Abituati come siamo a vivere d'un fiato, tutto di corsa... consci che attorno a noi ogni cosa si muove con lo stesso ritmo convulso che, quando poi è troppo tardi per porvi rimedio, ti "frega" con la vita che termina.
    Certo, un dato di fatto, nulla di più "normale"... siamo effimeri
    "Animali strani con abiti normali"... cantava Pelù, e che solo il demonio può sapere cosa non farebbero per ottenere l'immortalità!
    Francesca nella sua elegante conoscenza in campo filosofico, getta una sorta di sfida nel chiedere [si] se uno spazio bianco va sempre riempito e se la "presenza" ne rappresenta il suo riempimento...
    Me lo sono, a modo mio, già chiesto molte volte. Forse ancora più specificatamente mi sono chiesta se ogni presenza ha un senso... entrando in tematiche di valutazione del "valore karmico intrinseco" (ogni nostra azione ha un significato destinico). Se si crede che la vita non è limitata ad un solo lato esistenziale, ma bensì nell'esistenza di "vite precedenti" esistono anche vite future.

    Cerco di spiegarmi in modo diretto: una persona che ha commesso atti deplorevoli, evidentemente il suo destino (visto come legge karmica di causa-effetto) non sarà più solo la conseguenza di ogni "sua scelta" poiché su questo piano (della reincarnazione) non ha un potere d'influsso diretto.
    Quindi non si tratta più di una precisa conseguenza di ogni nostra scelta, poiché la memoria karmica necessita di un "tempo" non meglio definito per venire a maturazione.
    Un criminale potrà quindi continuare a perpetrare azioni deplorevoli durante tutta la sua vita... senza che vi sia un'interferenza da parte dell'etica collettiva o giudiziaria o quel che si voglia.
    Sarà poi al momento del suo trapasso fisiologico (morte) che la sorte si giocherà grazie alla legge della "causa-effetto".
    Ma questo è uno di quei punti che mi sono di difficile digestione, purtroppo non sono molto erudita in materia e solo posso fare affidamento a quanto riferito da chi il buddismo lo conosce a fondo. Ho però afferrato il senso e da quasi 25 anni cerco di mettere in pratica...

    La lentezza nel contemplare tanti "spazi bianchi" che possono essere risacca, onde, marosi... potrebbe trasportare nell'animo umano ciò che Francesca non dice...
    e la condivisione nell'Amore rivolto a tutto ciò che ci contorna, potrebbe donare un profondo senso di pienezza ad ogni essere effimero nel suo involucro, ma immortale nella Mente/Anima.
    Grazie carissima Francesca per quest'opportunità... un giorno, ne riparleremo!

    :-)claudine giovannoni
    http://claudine2007.splinder.com

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