mercoledì 13 marzo 2013

Il Sudamerica dopo Chavez: nuovi equilibri e nuove perplessità

 
di Valentina Sechi
 

Il 5 marzo 2013, dopo una lunga malattia si è spento il Presidente venezuelano Chavez. La sua scomparsa è destinata a sancire uno spartiacque non solo nella storia del Paese ma anche dell’intero Sudamerica. Prima di passare in rassegna i possibili scenari è bene inquadrare le conseguenze della politica chavista per intuire il futuro leader e la linea che intende adottare.
Il Venezuela è il quarto Paese della regione per popolazione e importanza economica, il dodicesimo a livello mondiale per l’esportazione di petrolio. Dal punto di vista della politica interna, Chavez ha  sviluppato una combinazione unica di populismo, autoritarismo e socialismo che gli ha assicurato l’adorazione delle masse e un ampio seguito internazionale. Sfruttando i proventi derivanti dalla ricchezza petrolifera, ha avviato un programma economico ibrido basato su nazionalizzazioni (come quella dei pozzi petroliferi), economia socialista, controlli su prezzi e scambi.                                                                                                           La  punta di diamante dell’edificio chavista  è rappresentata dalle politiche sociali dette anche missioni: aumento di salari e pensioni, istruzione gratuita, miglioramento della sanità pubblica, fondi per la ricerca, distribuzione di alimenti a prezzi ridotti, aumento di salari e pensioni, creazione di cooperative e di una banca popolare. Ciò ha permesso la legittimazione del regime sia da parte dei poveri che da parte  di militari e borghesia commerciale. Al momento esiste una copertura per tali spese sebbene molti programmi non possano sopravvivere ad un ulteriore calo dei prezzi petroliferi.                                                                                                                                                        La politica estera è dichiaratamente anti-americana, anti-imperialista e pro-Palestina. Chavez ha creato il blocco delle Nazioni sudamericano, rafforzato le relazioni con l’Argentina,  guadagnato il sostegno del Partito dei Lavoratori brasiliano e supportato le FARC (movimento di guerriglia) colombiane. Tra i suoi alleati si ricordano Cina, Iran, Russia, Hezbollah e leader dispotici come Assad.                                                                                                                                                        Uno dei suoi maggiori successi è rappresentato dall’ALBA (Alternativa Bolivariana per America Latina e Caraibi). Si tratta di un progetto economico e politico nato nel 2004 dall’alleanza con Cuba il cui scopo è promuovere l’integrazione economica in contrapposizione ad ALCA (Area di libero commercio delle Americhe) di matrice statunitense.                                                                                                                                                       La scorsa estate il Venezuela è entrato nel MECOSUR, organizzazione economica regionale sudamericana.

I problemi principali che il Paese si trova ad affrontare sono la riduzione della domanda di greggio, contrazione del PIL con conseguente deficit pari al 20% di quest’ultimo, debito estero elevato, investimenti fermi, stagnazione dell’industria petrolifera e produzione di petrolio inferiore alle previsioni OPEC, concentrazione di poteri nell’esecutivo e repressione politica, ipertrofia dell’apparato statale, svalutazione della moneta, inflazione elevata (28% ) controbilanciata da aumenti del salario minimo superiori alla sua crescita, sussidi al consumo alimentare e politica di prezzi ridotti, carenza di generi alimentari, black out elettrici frequenti, fuga di capitali e investitori esteri, tassi di omicidi e criminalità elevati, violazione dei diritti umani e della libertà di stampa, corruzione,  necessità di infrastrutture.

Le nuove elezioni sono previste per il 14 aprile, il Consiglio Elettorale Nazionale del Venezuela ha richiesto una missione osservativa dall’unione delle Nazioni  Sudamericane e ha invitato organizzazioni non governative  elettorali a partecipare al processo elettorale.

 I candidati più probabili sono due: l’attuale Presidente ad interim, indicato dallo stesso Chavez, Maduro e il leader del MUD (Mesa de la Unidad Democratica), partito di opposizione, Capriles.                                                                Le strategie politiche dei due candidati sono molto diverse. Maduro potrebbe avere dalla sua l’onda emotiva legata alla scomparsa del Presidente e la sua benedizione. Uno dei primi problemi che si troverebbe ad affrontare è mantenere l’unità all’interno del PSUV (Partito socialista Unito del Venezuela) composto da due gruppi: una corrente impegnata nella partecipazione popolare con un approccio più conciliante nei confronti del settore privato e un ruolo più manageriale dello Stato e un’altra più radicale caratterizzata da partecipazione popolare e  lotta alla burocrazia con pieno controllo dei cittadini sulle spese di investimento. Vanno inoltre menzionati i colectivos, bande armate la cui cieca lealtà nei confronti del Presidente si è spesso trasformata in violenza contro i suoi avversari  i cui componenti guardano con sospetto Maduro ritenendolo incapace di proseguire la rivoluzione intrapresa dal caudillo.

 Il futuro del Venezuela dipenderà più da ciò che accade all’interno del movimento piuttosto che dalle idee di Maduro. Politicamente s’inserirebbe nel solco tracciato dal suo predecessore perseguendone i valori. Gli scettici si concentrano sulla sua mancanza di carisma e spessore politico.

Il suo avversario Capriles puntando su progresso e unità nazionale, ha promesso di mantenere le missioni e accettato molti assunti base del Chavismo, organizzato consigli comunali e Comuni,  implementato bilanci partecipativi nei comuni che governa.                                                                 Chiunque vinca le prossime elezioni dovrebbe migliorare l’efficienza nella gestione del crimine,  ridurre inflazione e corruzione, aumentare la produzione del greggio, diversificare l’economia tenendo conto della forte svalutazione della moneta.  

A breve potrebbero non verificarsi i cambiamenti auspicati perchè il sistema creato da Chavez è diventato Stato. Poiché nessuna delle figure politiche più eminenti ha il suo potere o il suo carisma, potrebbero sorgere delle guerre intestine che logorerebbero il regime dall’interno. In alternativa, il successore potrebbe agitare lo spettro della vicinanza di nemici esterni, accusando opposizione e nemici politici della situazione del Paese. A una di queste alternative potrebbe seguire o il transito verso la democrazia rappresentativa come in Messico oppure il colpo di Stato militare come in Argentina.

Se il Venezuela di Chavez è stato un Paese ad opporsi al Washington consensus elaborando modelli cooperativi, i Paesi che hanno ricevuto finanziamenti potrebbero avere delle conseguenze serie. L’alternanza di cooperazione e crisi con la patria di Bolivar è terminata con le due crisi diplomatiche che condussero al blocco delle relazioni commerciali. Seguì una riappacificazione di cui prova lampante è il ruolo del Venezuela nella mediazione tra governo colombiano e FARC. Si teme che il nuovo Presidente possa rallentare le trattative oppure che fomenti le FARC o ancora chela situazione degeneri sino a provocare la guerra civile.

Anche l’Argentina di Cristina Kirchner ha beneficiato di aiuti attraverso l’acquisto di bond non collocabili sul mercato, la sostituzione delle importazioni da Colombia e Usa, l’assistenza tecnica dopo la nazionalizzazione della compagnia Ypf, ma si è servita, nello stesso tempo, dell’alleanza con Caracas per bilanciare il rapporto col Brasile.

In tale contesto, destinato a raccogliere l’eredità chavista sembra il Presidente ecuadoregno Correa, pur scevro del carisma e delle risorse che Chaz aveva usato per espandere la sua influenza, in particolare in seno all’ALBA dando coerenza all’Unasur, riprendendo i rapporti con Brasile e Uruguay e cercando il supporto del boliviano Morales che in vista delle elezioni previste per l’anno prossimo si concentrerà sui problemi di politica interna e la spaccatura all’interno della propria coalizione. Castro parrebbe più interessato ai finanziamenti di cui si avvantaggerebbe piuttosto che del rigido antimperialismo.                                                                                                                               Il futuro dell’ALBA appare incerto. Tutto dipenderà dalle decisioni dei suoi membri sebbene nessuno di questi sembri in grado di alimentare la fiamma anticapitalista e dal ruolo svolto dal Messico. La recente conferma di Correa, le imminenti elezioni in Bolivia, il supporto di Cuba e l’alleanza con l’Argentina farebbero ben sperare nonostante la crisi, il deficit di bilancio e l’egemonia cinese.

Potrebbe non esserci posto per una guida venezuelana in Sudamerica. I paesi dell’area guardano piuttosto a Brasile e Messico. L’intera area potrebbe ispirarsi al modello brasiliano che favorisce l’impresa privata e aumenta i fondi per le politiche sociali nonostante divisioni sulle politiche commerciali. Secondo un anonimo diplomatico brasiliano dopo Chavez sarà necessario un riallineamento. Probabilmente la leadership venezuelana si contrarrà a favore di quella brasiliana che si era già avvantaggiata dell’opposizione del Presidente all’influenza americana e della   possibilità di fornire i beni che il Venezuela ha cessato di produrre.

 

Cuba, Ecuador e Bolivia, dopo anni di sovvenzioni da Caracas potrebbero affrontare tempi duri e cercare nuovi alleati. Alcuni Paesi stanno cercando di provvedere autonomamente allontanandosi dal sentiero chavista. Morales, per esempio, ha nazionalizzato compagnie private  e ricevuto il plauso di Wall street per la gestione fiscale. Castro sta ponendo in essere caute riforme per incrementare l’impresa privata.

Il Venezuela di Chavez era riuscito a sottrarsi al giogo americano attraverso un nuovo modello economico e politico tracciando una strada che altri Paesi hanno scelto di seguire. Il problema economico potrebbe però non essere indifferente in un allentamento delle posizioni e un riavvicinamento agli Usa che avrebbero fatto un primo passo in tal senso a partire dalla dichiarazione di Obama secondo cui ha inizio un nuovo periodo per il Paese. Non resta che aspettare. L’appuntamento è per il 14 aprile quando il mondo saprà cosa aspettarsi e quali equilibri si delineeranno. E’ possibile che la morte di Castro acuirà il sorgere di nazionalismi e sinistrismi in America Latina mentre i leader dell’area competeranno per colmare il vuoto di potere lasciato dal Caudillo.

 

Valentina Sechi                                                                                      Palermo, 12 marzo 2013

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