di Raimondo Augello
Qualche giorno addietro abbiamo presentato su questo blog il video del brano musicale “Ninco Nanco” di Eugenio Bennato, prendendo spunto dall’incontro con l’autore tenutosi presso la libreria Feltrinelli lo scorso 31 gennaio. Abbiamo anche raccontato come in tale occasione il cantautore napoletano abbia pure presentato un brano di rara intensità emotiva, “Il sorriso di Michela”, in cui rievoca la figura di Michelina De Cesare, fiera e bella “brigantessa”, metafora del coraggio femminile spinto sino al sacrificio estremo perseguito in difesa dei propri ideali.
Era nata presso il comune di Mignano, in Terra di lavoro, corrispondente all’attuale provincia di Caserta, nel 1841. Aveva 20 anni Michela, quando l’esercito piemontese invase il Sud, e per lei la scelta di seguire l’uomo amato, Francesco Guerra (un ex sottufficiale del disciolto esercito delle Due Sicilie divenuto uno dei capi della guerriglia), cui si sarebbe successivamente unita in matrimonio segreto, fu una scelta istintiva, di quelle che si fanno a vent’anni, come altrettanto istintiva fu la scelta di imbracciare le armi contro chi aveva invaso la sua terra. Per sette anni ella condivise la sorte del suo uomo e della banda che imperversò tenendo in scacco l’esercito regolare, fino alla notte tra il 30 e il 31 agosto del 1868, quando Michelina e Francesco, insieme ad alcuni compagni di lotta, furono sorpresi nei pressi di una masseria in conseguenza della delazione di una spia: Francesco Guerra morì sul colpo, Michelina rimase ferita. Catturata, fu inutilmente torturata dai Piemontesi affinché rivelasse informazioni sulla guerriglia; morta a causa delle sevizie, il suo corpo denudato fu esposto l’indomani nella piazza di Mignano insieme a quello del suo uomo e di alcuni compagni, macabro monito per le popolazioni del luogo.
La figura di Michela De Cesare ha nel tempo ispirato oltre che musicisti anche poeti e scrittori, naturalmente estranei ai circuiti commerciali e alla retorica ufficiale. La ragione di un tale interesse va ricercata nella levatura “tragica” del personaggio, la cui drammatica vicenda ha in sé elementi di suggestione tali da evocare gli archetipi femminili incarnati da certe eroine del teatro greco. Una vicenda in cui amore e morte, ferocia e tenerezza si mescolano in una sintesi torbida ma dotata di una viva umanità. Un personaggio che ha qualcosa di paradigmatico della psicologia dell’universo femminile, così diverso e alternativo rispetto a quello maschile, in cui la forza feroce di una rivolta istintiva e appassionata, quasi fosse una novella Medea, è trascrizione in atto che si incarna nella storia di un modello psicologico femminile in cui tale feroce istinto di rivolta, di cui solo le donne sono capaci con simile intensità e determinazione, è risposta inevitabile laddove sia toccato il mondo degli affetti di cui esse sono ataviche custodi: il proprio uomo, i propri figli (così in Ecuba), la propria terra (quella terra metafora della donna stessa, la Magna Mater, simbolo di fertilità, venerata dalle arcaiche popolazioni mediterranee). Michela ha davvero in sé qualcosa della ferocia di Ecuba e di Medea (con la quale condivide anche la sorte di avere abbandonato tutto per l’uomo amato, particolare che rende ancora più esacerbata la sua condizione), e pare far rivivere per certi aspetti l’archetipo di Antigone, fanciulla indifesa mandata a morte perché aveva osato sfidare le leggi inique imposte dal potere, rivendicando l’esistenza di leggi non scritte la cui difesa va perseguita anche sino a costo dell’estremo sacrificio. Un personaggio interessante, comunque la si pensi, Michelina De Cesare, che non meritava il colpevole oblio a cui la storia imposta dai vincitori l’ha relegata. Merito dunque a chi, come Eugenio Bennato, mette la propria arte al servizio dei vinti della storia, di chi non ha voce per raccontare la propria vicenda, e ci restituisce il ricordo di una bellezza “chiusa in una fotografia che ci parla di una donna che ha il sorriso di una dea”, “un sorriso che combatte la retorica infinita”.
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