Lettere 'insulari', rubrica a cura di Francesca Saieva
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com
Cara Francesca,
ho quasi 70 anni e ti chiedo, se per una donna della mia età, esiste ancora un po' di futuro. Spero tu possa rispondermi, grazie.
Marilena da Piove Di Sacco (PD)
Cara Marilena,
qualche mese fa ho assistito a un convegno organizzato per una università della terza età. L’età media del pubblico partecipante era over 70; un pubblico presente e contento di esserci (ovvero di essere lì in quel preciso momento) seppur non più ‘giovane’.
Io credo che l’interrogativo che mi sottoponi vada al di là del relativamente giovane o anziano; piuttosto penso indichi un malessere generazionale.
Ben lungi dal dare semplici consigli d’intrattenimento mattutino e pomeridiano (palestre, centri culturali e ricreativi) per i ‘non più giovani’, mi soffermo su quel senso di disagio e d’inadeguatezza che mi sembra, permettimi di dire, di cogliere nelle tue parole. Un disagio che non ‘ghettizzerei’ a fasce di età, in quanto il senso d’isolamento (in questo caso non nella sua accezione positiva) è ormai largamente diffuso, nell’accomunare ‘vecchie’ e ‘nuove’ esigenze.
Mi chiedo se la selezione naturale (alla quale di quando in quando mi appello) non abbia fatto ancora una volta le sue vittime. E tra pensioni in via di ‘estinzione’ e alte percentuali ‘disoccupazionali’, chiedersi “che sarà?" (a meno che non ci si trovi con una chitarra tutti intorno a un falò) risulta quasi impensabile, nella misura in cui si fa sempre più ardua e in parte utopica ogni proiezione futura; soprattutto in una società che punta il più delle volte sull’improvvisazione.
Da cosa nasce dunque questo disagio? Da pressapochismo o qualunquismo? In un contingente che ci sta ‘stretto’ ci sentiamo traditi, tutti quanti “umiliati e offesi”, nel fallimento delle nostre aspettative.
Come dire, cara Marilena, mentre gli anni passavano ‘noi’ stavamo alla finestra con il viso incollato sui vetri appannati, e stanchi, per qualcosa che non accadeva ancora…
Proprio in questi giorni leggevo dell’equazione di William James, che regola l’autostima al rapporto tra successi e pretese.
Autostima = Successi / Pretese
Maggiori sono le nostre aspettative e maggiori saranno gli insuccessi/umiliazioni. Non è di certo un incoraggiamento a ‘volare basso’, ma piuttosto a sentirsi gratificati per ciò che si ha, per il patrimonio di esperienze vissute, prescindendo dal conseguimento di successi ‘invasivi’ tutte le sfere esistenziali.
La vita è un dono prezioso, sta a noi renderla ‘futuribile’, spazializzare i suoi ‘non luoghi’ nel quotidiano.
Non sono sicura che questa equazione possa sciogliere il tuo ‘enigma’, ma in parte le vie della psiche, nell’essere percorse, possono aiutarci a reagire, a sfatare pregiudizi e soprattutto a ridare una forma al nostro potenziale equilibrio.
Nella certezza che in questa moltitudine, che in fondo garantisce ogni senso di appartenenza, ci ricorda Wislawa Szymborska “sono quella che sono. Un caso inconcepibile come ogni caso”.
Marilena ti ringrazio, lasciando te e tutti quei lettori giovani e meno giovani ancora in cerca di “un centro di gravità permanente” con pochi versi tratti dalla poesia “Nella moltitudine”, della grande neoscomparsa Szymborska, la “poetessa della quotidianità"
Nella moltitudine
di Wislawa Szymborska (Adelphi 2009, a cura di Pietro Marchesani)
Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
Come ogni caso.
[…]
Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.
[…]
Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.
Se volete condividere pensieri, idee e perplessità, scrivete a francescasaieva@gmail.com
Cara Francesca,
ho quasi 70 anni e ti chiedo, se per una donna della mia età, esiste ancora un po' di futuro. Spero tu possa rispondermi, grazie.
Marilena da Piove Di Sacco (PD)
Cara Marilena,
qualche mese fa ho assistito a un convegno organizzato per una università della terza età. L’età media del pubblico partecipante era over 70; un pubblico presente e contento di esserci (ovvero di essere lì in quel preciso momento) seppur non più ‘giovane’.
Io credo che l’interrogativo che mi sottoponi vada al di là del relativamente giovane o anziano; piuttosto penso indichi un malessere generazionale.
Ben lungi dal dare semplici consigli d’intrattenimento mattutino e pomeridiano (palestre, centri culturali e ricreativi) per i ‘non più giovani’, mi soffermo su quel senso di disagio e d’inadeguatezza che mi sembra, permettimi di dire, di cogliere nelle tue parole. Un disagio che non ‘ghettizzerei’ a fasce di età, in quanto il senso d’isolamento (in questo caso non nella sua accezione positiva) è ormai largamente diffuso, nell’accomunare ‘vecchie’ e ‘nuove’ esigenze.
Mi chiedo se la selezione naturale (alla quale di quando in quando mi appello) non abbia fatto ancora una volta le sue vittime. E tra pensioni in via di ‘estinzione’ e alte percentuali ‘disoccupazionali’, chiedersi “che sarà?" (a meno che non ci si trovi con una chitarra tutti intorno a un falò) risulta quasi impensabile, nella misura in cui si fa sempre più ardua e in parte utopica ogni proiezione futura; soprattutto in una società che punta il più delle volte sull’improvvisazione.
Da cosa nasce dunque questo disagio? Da pressapochismo o qualunquismo? In un contingente che ci sta ‘stretto’ ci sentiamo traditi, tutti quanti “umiliati e offesi”, nel fallimento delle nostre aspettative.
Come dire, cara Marilena, mentre gli anni passavano ‘noi’ stavamo alla finestra con il viso incollato sui vetri appannati, e stanchi, per qualcosa che non accadeva ancora…
Proprio in questi giorni leggevo dell’equazione di William James, che regola l’autostima al rapporto tra successi e pretese.
Autostima = Successi / Pretese
Maggiori sono le nostre aspettative e maggiori saranno gli insuccessi/umiliazioni. Non è di certo un incoraggiamento a ‘volare basso’, ma piuttosto a sentirsi gratificati per ciò che si ha, per il patrimonio di esperienze vissute, prescindendo dal conseguimento di successi ‘invasivi’ tutte le sfere esistenziali.
La vita è un dono prezioso, sta a noi renderla ‘futuribile’, spazializzare i suoi ‘non luoghi’ nel quotidiano.
Non sono sicura che questa equazione possa sciogliere il tuo ‘enigma’, ma in parte le vie della psiche, nell’essere percorse, possono aiutarci a reagire, a sfatare pregiudizi e soprattutto a ridare una forma al nostro potenziale equilibrio.
Nella certezza che in questa moltitudine, che in fondo garantisce ogni senso di appartenenza, ci ricorda Wislawa Szymborska “sono quella che sono. Un caso inconcepibile come ogni caso”.
Marilena ti ringrazio, lasciando te e tutti quei lettori giovani e meno giovani ancora in cerca di “un centro di gravità permanente” con pochi versi tratti dalla poesia “Nella moltitudine”, della grande neoscomparsa Szymborska, la “poetessa della quotidianità"
Nella moltitudine
di Wislawa Szymborska (Adelphi 2009, a cura di Pietro Marchesani)
Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
Come ogni caso.
[…]
Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.
[…]
Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.
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