L’incontro con la guida
Il gruppo del Lyskamm comprende il Lyskamm Occidentale e quello Orientale ed è una montagna nota agli alpinisti o aspiranti tali per via di alcune sue pareti piuttosto ripide, ma soprattutto per le sue creste lunghe e affilate che dividono l’Italia dalla Svizzera. Da tali creste, dicono, si potranno ammirare panorami spettacolari, ma poichè il percorso si snoda ben oltre i quattromila metri, queste possono essere ghiacciate ed allora, anche con ramponi e piccozza, il cammino può diventare piuttosto pericoloso.
Quando si
è al volante, si ha molto tempo per pensare; mi chiedo se la
guida sarà brava e paziente, se ce la farò
ad arrivare in vetta, penso alla
figura che farei se l’ascensione dovesse andar male visto che di questo
ne ho parlato a parenti ed amici, alcuni dei quali hanno già fatto con successo
questa esperienza. E poi come sarà il tempo, le previsioni per oggi e domani
non sono bellissime ed inoltre più si sale e più le condizioni
atmosferiche diventano variabili.
Avrò poi messo tutto quanto dovevo nello zaino: guanti, berretto di lana, un asciugamano, ricambi vari di vestiario… , fortunatamente, questa volta, non mi sono dimenticato dello spazzolino da denti !
Dopo tre ore, come preventivato, arrivo a Gressoney la Trinité, la strada poi prosegue fino a Stafal, dove ci sono gli impianti di risalita che portano al colle Bettaforca. La zona è illuminata da un pallido sole.
Posteggio nel grande parcheggio, ci sono molte macchine ma anche vari posti liberi e con mia grande sorpresa vedo che le biglietterie sono chiuse per la pausa pranzo. E’ l’8 di luglio, in piena stagione estiva e mi stupisco che non facciano l’orario continuato. Davanti agli impianti di risalita non c’è proprio nessuno, guardo l’orario è l’una e trentatré, speriamo che la guida arrivi presto.
Poco dopo ecco due persone in inequivocabile abbigliamento alpinistico, ci salutiamo: sono Alberto, la guida, ed Andrea, un suo amico, che farà l’ascensione insieme a noi.
Chiedo ad
Alberto di controllare il mio equipaggiamento così ci dirigiamo verso la mia
macchina parcheggiata poco più in là, un rapido controllo all’imbragatura,
ai ramponi, alla picozza,
qualche consiglio sul vestiario e poi
attendiamo l’apertura della biglietteria.
La
seggiovia è un impianto di risalita che è
stato per lungo tempo utilizzato
solo in inverno durante la stagione sciistica, poi finalmente si è deciso di sfruttare le grandi
possibilità che tale impianto poteva offrire
anche durante la stagione estiva. Gli
escursionisti e gli alpinisti che desiderano fare una passeggiata in
alta montagna o che vogliono salire sulle vette del Monte Rosa possono così
evitare la faticosa salita a piedi del
vallone della Forca ed arrivare comodamente al colle Bettaforca a quota 2729 metri , da lì inizia
il cammino che sale ulteriormente per superare un dislivello di 900 metri e che conduce al rifugio Quintino Sella.
Il
cammino verso il rifugio e la sera al rifugio
All’arrivo c’è una bella aria fresca. la
giornata è diventata un pò nuvolosa e
iniziamo il cammino su una pietraia del tutto priva di vegetazione seguendo gli
ometti di pietre impilate che compaiono qua e là, e i segnavia, che però non
sono sempre ben visibili.
Proseguiamo il cammino, fermandoci ogni tanto
per scattare fotografie. Il paesaggio è piuttosto monotono: pietre su pietre di
ogni dimensione, il sentiero è piccolo, ma il calpestio delle molte persone
passate prima di noi lo ha reso ben evidente, più in basso si scorgono alcuni
laghetti alpini con l’acqua di un azzurro intenso. A volte si incontrano nevai
anche estesi ma con neve farinosa e quindi con poca consistenza, sembrano in
procinto di liquefarsi, l’estate ha lasciato il suo segno.
La
giornata si fa sempre più nebbiosa c’è anche un po’ di vento, poi ecco la prima
pioggerella. Ci dobbiamo fermare per cambiare l’abbigliamento: indossiamo la
giacca a vento, il cappuccio, tiriamo fuori il coprizaino e proseguiamo. Più avanti la pioggia aumenta
di intensità e tutto l’ambiente diventa di un grigio uniforme, camminiamo più
piano perché bisogna stare attenti, con la roccia bagnata infatti è molto più
facile scivolare.
I pendii
ai lati del sentiero si fanno più ripidi e le rocce più grandi. Dopo un ultimo
tratto, ecco apparire la
grossa corda bianca che ci porta
sul sentiero che procede in cresta e che ci accompagnerà praticamente fino al
rifugio, ancora nascosto dietro le rocce.
Il
percorso alterna alla salita piccole
discese e la corda in certi tratti è fissata alla parete ed in altri
costituisce quasi una ringhiera. Anche se a volte non sembra indispensabile
perché ci si potrebbe aggrappare alla
roccia, la corda dà comunque una
sensazione di sicurezza. In alcuni punti
le pareti intorno sono piuttosto ripide, c’è un po’ di foschia e, anche se ora è cessata la pioggia, gli
ammassi di roccia sono umidi e disposti
in modo irregolare.
Continuando si attraversa una passerella con
la base ed anche i parapetti di legno, in pratica è un ponte che unisce due creste e permette di
evitare di salire e scendere un noioso fossato.
Finalmente dopo poco più di tre ore, il rifugio Quintino Sella è davanti a
noi, lo vedo con molto piacere anche
perché oltre alla stanchezza, sento una
fastidiosa umidità.
Tutto
intorno si presentano le innumerevoli
cime alte ed innevate che appaiono e scompaiono alla nostra vista, la
visibilità non è molto buona, grandi
nuvole avvolgono per un certo tempo le vette, poi le lasciano intravedere per
pochi secondi ed infine le coprono nuovamente.
Il
rifugio si trova sul versante italiano
del massiccio del Monte Rosa a 3585 metri di altezza e la sua presenza segna
il confine tra l’estensione delle rocce e l’inizio dei ghiacciai e più
precisamente è posto alla base del
ghiacciaio Felik, che attraverseremo domani.
Entriamo
nel rifugio e come in tutti i rifugi,
l’ingresso porta ad uno stanzone che ha una panca
nel mezzo e, alle pareti, grandi scaffali per depositare scarponi, sacche,
picozze… e dove troviamo le pantofole, all’interno del rifugio infatti non è consentito tenere gli scarponi.
Vedendoci
bagnati, il gestore del rifugio ci indica di
mettere i nostri vestiti sopra la
stufa su cui è stato appeso un grande appendiabiti. Aprendo lo zaino, mi accorgo che anche la giacca ed i pantaloni
della tuta sono tutt’altro che asciutti e
cortesemente mi viene imprestata una bella tuta bianca. C’è parecchio
vestiario appeso sulla stufa, ma questa sembra comunque funzionare a pieno
regime e noi confidiamo che per il
giorno dopo tutto sia asciutto.Andrea ed io saliamo al piano di sopra per prendere possesso della nostra camera, mentre Alberto, dormirà nella camera riservata alle guide. La nostra è una stanza non molto grande contenente otto brande, quattro sopra e quattro sotto, per nostra fortuna occupate per ora solo da due persone che sono sdraiate in basso. Con mio grande sollievo, noi possiamo prendere possesso della parte alta, sopra mi sembra di respirare meglio. Se non viene più nessuno, avremo tutto lo spazio per disporre comodamente le varie cose sulla branda libera a fianco della nostra.
Dopo aver posato lo zaino e i bastoncini, scendiamo nella sala da pranzo; io mi preoccupo di chiamare mia moglie come le avevo promesso ( “appena arrivi al rifugio fatti sentire !”). I telefonini di solito in montagna “non prendono”, provo per scrupolo uscendo fuori dal rifugio ma non c’è campo, devo utilizzare il telefono del posto.
Usciamo
quindi per dare un’occhiata intorno al
rifugio, il tempo è migliorato, non piove più sembra arrivare un po’ di sereno anche se a tratti nuvoloni
bianchi coprono tutto. A sud vediamo la
valle di Gressoney che oramai è quasi tutta in ombra e sembra molto lontana.
Alberto ci indica le creste dei due Lyskamm, la loro sagoma è nera e le loro
pendici sono sommerse da metri di neve e ghiaccio.
Comincia
a fare freddo, entriamo. Alberto ed Andrea si fermano a bere una birra e
a fare quattro chiacchiere con il gestore del rifugio. La nostra guida lo
conosce molto bene visto tutte le volte
che è venuto da queste parti ! Io
invece non vedo l’ora di sistemare le mie cose con calma e di sdraiarmi qualche
minuto sulla branda... devo svuotare lo zaino, dividere ciò che mi serve subito
da quello che utilizzerò domani mattina, quello che dovrò portare, da quanto
potrò lasciare in rifugio e recuperare al ritorno. L’operazione è importante e deve essere fatta la sera prima
perché la mattina del giorno dopo la sveglia suonerà molto presto ed i tempi,
almeno per me, sono sempre strettissimi e dimenticare qualcosa tipo i guanti
o il berretto sarebbe un grosso guaio.
Arrivato
a questo punto ogni volta regolarmente mi accorgo di aver dimenticato qualcosa, in questo caso il
frontalino. Ricordo che in varie
occasioni precedenti si era partiti con il buio ed inoltre se ci si sveglia di
notte e si vuole andare in bagno è consuetudine non accendere
la luce, ma usare la propria
pila. Tra l’altro i gabinetti sono fuori dal rifugio, ci sarà un po’ di
illuminazione?Mentre ceniamo parliamo un po’ di noi, delle nostre famiglie, delle nostre esperienze di montagna, Alberto che di cognome fa Silvestri (per questo che viene chiamato Silver), ci dà gli ultimi consigli: come procedere con il passo anche un po’ lento ma costante, come tenere la corda, che deve essere tesa per far capire a quello davanti come si sta procedendo, come impugnare la picozza…
Poco dopo
le undici arriva in camera Andrea con la pila accesa, cerca di fare piano, ma
lo sento benissimo visto che sono bello sveglio, ma non dico nulla, non ho voglia di parlare. Noto
che dal finestrino della nostra stanza filtra parecchia luce, non ci sarà
bisogno della pila per andare in bagno.
Il
mattino dopo, l’ascensione
Al
mattino alle quattro, all’ora stabilita,
suona la sveglia di Andrea, naturalmente mi verrebbe voglia di stare ancora un po’ a letto ma la giornata è troppo importante e mi alzo
subito, non c’è molto tempo e le cose da fare sono tante. Mi vesto, mi lavo il
viso, sistemo le mie cose e scendo a far colazione, i miei compagni sono già
seduti al tavolo ed hanno appena preso le brocche di tè, caffè e latte, mi riempio la scodella di caffè con poco latte, meglio non correre
rischi in queste circostanze…
Ci
prepariamo per l’ascensione. Sono le cinque. Dopo aver messo
l’imbragatura, usciamo dal rifugio;
l’aria è fredda ma sopportabile, il buio lascia a poco a poco spazio alla luce. Ci mettiamo i
ramponi, sistemiamo nella misura giusta i bastoncini, Alberto srotola la corda e ci leghiamo subito, visto che il
ghiacciaio arriva fino al rifugio, si procede in cordata. Iniziamo l’ascensione
al Lyskamm Occidentale.
Siamo
immersi in un ambiente eccezionale. Il nostro cammino procede tra montagne di
neve e ghiaccio a cavallo tra l’Italia e la Svizzera e la cima a cui arriveremo
è una guglia quasi a fianco del suo compagno il Lyskamm Orientale leggermente
più alto.
Le
difficoltà della salita dipendono notevolmente dalle condizioni della neve. Ci
saranno alcuni tratti in cui
percorreremo creste molto affilate con
la possibile presenza di ghiaccio, in altri tratti invece la pendenza sarà notevole fino a raggiungere i
40-45° , poi finalmente si arriverà alla cresta finale che è in lieve salita.
La prima
parte del cammino non presenta particolari difficoltà la pendenza è
scarsa, il tracciato è abbastanza
lineare, la neve è solida, si cammina bene.
Procedendo la luce aumenta di intensità, è quasi giorno, un rosa sfumato
che poi tende sempre più al rosso colora l’orizzonte ed i raggi del Sole illuminano prima piccoli zone innevate più in alto, poi si estendono sempre
più, a poco a poco si allargano scendendo verso di noi. Siamo
ancora in ombra ma, tra poco saremo illuminati dal Sole.
Procediamo in modo costante; cerco di tenere
il passo dei miei due compagni che,
essendo più giovani, hanno più energie; ogni tanto ci fermiamo per
qualche foto, la giornata è troppo bella per non essere immortalata!Troviamo la prima cresta, mettiamo via i bastoncini e prendiamo le picozze. La cresta è inizialmente abbastanza affilata, ma c’è parecchia neve solida ed i ramponi tengono bene il sentiero, poi la pendenza si fa via via meno pronunciata ed il tratto si conclude con un rilievo, è la punta Felik. Poco dopo la via si biforca: a destra si va al Lyskamm, a sinistra al Castore che è un altro bel 4000, però di minor impegno.
Il sentiero innevato, dapprima piuttosto largo, diventa ben presto estremamente affilato affrontando nel contempo alcuni piccoli saliscendi e poi si restringe sempre di più. In certi tratti ci si sposta sul versante nord procedendo paralleli alle cornici quando la notevole pendenza e la loro esiguità sconsigliano il passaggio sul filo di cresta.
La
difficoltà di questa ascensione può variare notevolmente non solo per le
condizioni atmosferiche, ma anche in
funzione dell’innevamento. Se la neve è scarsa possono affiorare le rocce,
lo strato ghiacciato può essere appena velato da una lieve
spruzzatina di neve, con la presenza di molti passaggi ghiacciati, la salita può diventare veramente
pericolosa.
Una volta
superato un altro tratto di cresta e
ormai in prossimità dell’ultimo
versante, si affronta una rampa
nevosa che, innalzandosi di poco, immette sul pendio terminale.
Guardando
verso il basso, la notevole pendenza dei
due versanti è impressionante, può
arrivare anche a 55°!
Si percorre la
cresta finale facendo ben attenzione a mantenere la necessaria distanza
dalle cornici ben coperte di neve e si
raggiunge infine la vetta!
Sono
passate da poco le otto e mezza e siamo arriviamo
a 4481 metri
di altezza, possiamo stringerci la mano,
rilassarci e fare le fotografie di rito, in quel momento la luminosità è
buona e per fortuna non c’è vento.
Il
panorama circostante è come prevedibile grandioso e lo sguardo si perde tra
centinaia di monti tra cui decine di 4000. Più in basso a nord si estende una grande lingua di ghiaccio che corre per
chilometri nella grande vallata svizzera sottostante, a sud si intravedono le
valli di Gressoney e di Ayas. Incontriamo altre persone che raggiungono la cima. Una coppia di tedeschi si ferma poco distante da noi, scambiamo qualche parole in inglese e ci dicono che proseguiranno la traversata facendo anche l’altro Lyskamm fino al rifugio Gnifetti, do un’occhiata a quel percorso, una impervia striscia di rocce scure dividono i due monti, non invidio proprio quei ragazzi ! Ma auguriamo loro in bocca al lupo.
Lassù in cima non ci fermiamo molto, la discesa sul ghiacciaio fino al rifugio e poi ancora il sentiero fino all’arrivo degli impianti, è un percorso lungo ed il tempo può cambiare; mangiamo qualcosa e poi via, si ritorna.
Scendiamo
rifacendo la stessa strada fatta nel salire, si inverte però l’ordine
con cui eravamo posizionati: in cordata
scendo per primo, segue poi Andrea ed infine la guida,
che ha il compito di fare sicurezza nel
caso uno di noi due scivoli.
Nella
discesa dobbiamo anche usare tecniche
diverse, per i pendii più ripidi si scende con la faccia rivolta verso la
montagna, mentre nei tratti con minor pendenza scendiamo “faccia a valle”, puntando bene i talloni in modo di fare molta
presa sulla neve. Bisogna poi stare attenti ad alcune zone in cui ci può essere ghiaccio vivo perché in
questo caso neanche i ramponi
consentono una tenuta sicura.
Superate
le creste e le parti più ripide e persi qualche centinaio di metri di
quota, si attraversa l’area
relativamente più pianeggiante che ci riunisce
alla quasi sempre battutissima
traccia lasciata dagli escursionisti proveniente dal Castore. Alberto ci
avverte che data l’ora, è quasi
mezzogiorno, la neve comincia a
sciogliersi e la zona può essere
piuttosto crepacciata, conviene quindi
procedere stando ad un’adeguata distanza uno dall’altro.
Ci
dirigiamo ora direttamente alla base del ghiacciaio, ancora
un tratto relativamente breve e piuttosto pianeggiante e poi ecco il rifugio.
Appena
arrivati ci complimentiamo, facciamo le ultime fotografie e poi finalmente
possiamo slegarci e togliere l’imbragatura. Il tanto temuto Lyskamm è stato
conquistato !
Grazie per averci fatto sognare con il Tuo bellissimo racconto. Lillina ed Antonio - Palermo
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