di Raimondo Augello
Senti
che puzza, scappano anche i cani
Sono
arrivati i Napoletani
O
colerosi, terremotati,
che
col sapone non vi siete mai lavati
Napoli
merda, Napoli colera
Sei
la vergogna dell’Italia intera
Napoletano,
lavora duro
Che
a Maradona devi dare pure il culo
Così
cantava allegramente la curva più accesa del tifo milanista a San Siro nella
tiepida serata dello scorso 22 settembre. E lo faceva prima, durante e dopo
l’incontro di calcio Milan-Napoli,
rivolgendo il coro all’indirizzo della tifoseria partenopea
massicciamente presente allo stadio.
Il fatto non è sfuggito all’osservatorio della giustizia sportiva, che facendo proprie le ultime disposizioni UEFA in materia di razzismo, impone a ciascuna federazione nazionale di intervenire con pesanti sanzioni nei casi in cui si verifichino violazioni. Dunque, detto e fatto: applicando tali princìpi, la Lega Calcio decide di sanzionare il comportamento della tifoseria milanista, formalmente accusata di “discriminazione territoriale” (qualcosa di molto affine alla “discriminazione razziale” di cui parla la normativa Uefa) con la chiusura della curva Sud in occasione della partita contro la Sampdoria in programma a San Siro sabato 28 settembre. Cosa succede allo stadio in quella circostanza, ad opera di una tifoseria inviperita per l’inattesa sanzione, lasciamo che ce lo raccontino alcuni stralci tratti dal Corriere della Sera:
Il fatto non è sfuggito all’osservatorio della giustizia sportiva, che facendo proprie le ultime disposizioni UEFA in materia di razzismo, impone a ciascuna federazione nazionale di intervenire con pesanti sanzioni nei casi in cui si verifichino violazioni. Dunque, detto e fatto: applicando tali princìpi, la Lega Calcio decide di sanzionare il comportamento della tifoseria milanista, formalmente accusata di “discriminazione territoriale” (qualcosa di molto affine alla “discriminazione razziale” di cui parla la normativa Uefa) con la chiusura della curva Sud in occasione della partita contro la Sampdoria in programma a San Siro sabato 28 settembre. Cosa succede allo stadio in quella circostanza, ad opera di una tifoseria inviperita per l’inattesa sanzione, lasciamo che ce lo raccontino alcuni stralci tratti dal Corriere della Sera:
Protesta dei tifosi rossoneri: San Siro ora
rischia la chiusura. Bandiere, fumogeni, bombe carta e cori contro i tifosi del
Napoli, incluso quello sul Vesuvio che deve "bruciarli tutti" e uno
striscione con scritto 'La chiusura del settore non cancella l'odore: Napoli
merda'
MILANO – “La chiusura della Curva del Milan
non ha messo fine ai cori anti-napoletani. Sei giorni dopo l'episodio incriminato
nella partita con il Napoli, se ne sono sentiti fuori e dentro da San Siro,
prima e durante la sfida contro la Sampdoria. E ora fa temere una punizione più
grave, una gara a porte chiuse, quel 'Noi non siamo napoletani' scandito a
inizio partita due volte dai tifosi del primo anello blu, il settore sotto
quello occupato di consueto dalla Curva Sud, deserta per decisione del giudice
sportivo. Praticamente da ogni lato dello stadio sono arrivati invece i fischi
all'annuncio dello speaker che ricordava il divieto di ogni forma di
discriminazione razziale, religiosa e territoriale”. E ancora:
CORI E STRISCIONI OFFENSIVI –“ Prima del fischio iniziale
dell'arbitro, fuori da San Siro circa trecento tifosi della Curva Sud hanno
protestato contro la decisione del giudice sportivo con bandiere, fumogeni,
bombe carta, l'intero repertorio di cori da ultrà contro i napoletani, incluso
quello sul Vesuvio che deve "bruciarli tutti", e uno striscione con
scritto: 'La chiusura del settore non cancella l'odore: Napoli merda'.
Controllati dalle forze dell'ordine, gli ultrà (a cui i Milan Club hanno
dimostrato solidarietà non esponendo i propri striscioni sugli spalti) hanno
manifestato per circa un'ora e mezza, fino all'inizio della partita)”. A ciò si aggiunga che le pareti esterne dello stadio sono state
tappezzate con volantini recanti il coretto di cui sopra; volantini di cui agli
ingressi è stato anche fatto gentile omaggio agli spettatori.
Ma evidentemente per gli ultras milanisti tutto
ciò non era sufficiente a sfogare il proprio livore. Domenica scorsa, in
occasione della partita Juventus-Milan disputata a Torino, dalla curva che ospitava
i tifosi meneghini si sono tornati a sentire i soliti cori anti-napoletani: una
vera fissazione, evidentemente, se neppure in una trasferta delicata come
quella i tifosi del Milan riuscivano a distogliere la mente da Napoli e dai
Napoletani per concentrare la propria attenzione su quella sfida! A questo
punto la giustizia sportiva non ha potuto fare a meno di intervenire più
pesantemente decretando stavolta la disputa a porte chiuse della prossima
partita interna del Milan, in programma con l’Udinese il prossimo 20 ottobre.
E’ qui che avviene l’imponderabile: dopo l’annunciato ricorso della società
rossonera per bocca dell’amministratore delegato Galliani, c’è stata una levata
di scudi contro il provvedimento da parte di quasi tutte le tifoserie ultras e
da parte di parecchi presidenti di società, timorosi di possibili ricatti ad
opera delle frange più accese delle proprie tifoserie: una sorta di accordo
trasversale in nome della licenza di offesa alla dignità umana che ha portato
ad alleanze fino a qualche giorno fa impensabili, come alla solidarietà
manifestata ai milanisti dai nemici storici dell’Inter (verrebbe da dire “da
pulpito viene la predica”, visto che anche la curva interista è stata chiusa
poche settimane fa in conseguenza degli ululati razzisti precedentemente
rivolti ai giocatori di colore della Juventus).
Chiunque parla di “goliardia”, di “innocenti sfottò”,
adducendo a giustificazione altre amenità di questo tenore.
Direi che va fatto un po’ di ordine. E’ chiaro
che in tutta la vicenda grava il condizionamento di una buona dose di italica
ipocrisia. Da parte della stessa Lega Calcio, innanzitutto, che finalmente,
vincolata al rispetto delle regole dalle autorità europee, finge di accorgersi
solo adesso e per la prima volta di
quello che succede negli stadi italiani. Come napoletani e in genere tifoserie
di squadre meridionali vengano accolte in trasferta al Nord è cosa nota da
almeno quarant’anni se non più. Ultras come quelli veronesi o bergamaschi sono stati spesso
oggetto di dossier giornalistici e in certi casi addirittura materia per la
pubblicazione di testi di argomento sociologico. Ricordo fin dagli anni ’70 le
frequenti lettere di protesta indirizzate da tifosi napoletani e non solo alla
redazione del Guerin Sportivo per denunciare la vergogna e l’imbarazzo di chi
si trovava a dovere sostenere quelle trasferte. A me personalmente è capitato
qualche anno fa di assistere ad una trasferta del Palermo a Brescia e di
sentire dal primo al novantesimo minuto di gioco l’intero stadio dire e cantare
cose che avrebbero offeso il cuore e l’intelligenza di qualsiasi spettatore
neutrale; ma forse non è un caso se la stessa curva bresciana domenica scorsa,
sempre in occasione di una partita con il Palermo, durante il minuto di
silenzio rispettato in tutti i campi per onorare la memoria dei migranti periti
nella strage di Lampedusa, ha preferito rompere il silenzio intonando i propri
cori, prima che, finito l’incontro, un gruppo di ultras staccatosi dalla curva,
desse l’assalto ad un furgoncino carico di tifosi rosanero, così, tanto per non
perdere l’abitudine.
Dunque, non per anni ma per interi decenni si è
fatto finta di non vedere e di non sentire, ma finalmente oggi, verrebbe da
dire, la Lega Calcio s’è desta! Meglio tardi che mai. Certo è, però, che questi
decenni di impunità hanno avuto l’effetto di radicare nella mente dei beceri
soggetti di cui parliamo, l’idea di un diritto improvvisamente negato, quello
appunto di potere liberamente insultare il “sud-icio” avversario.
Un’inconfessata convinzione che purtroppo forse trascende il contesto sportivo se è vero come è vero
che quei cori offensivi non sono affatto nati negli stadi. L’onorevole Matteo
Salvini (quello dei bus ai soli milanesi, sì, proprio lui), in predicato per
diventare il numero uno della Lega Nord, milanista convinto, ha difeso a spada
tratta la sua tifoseria. Peccato che Salvini ami farsi riprendere insieme ai
suoi amici di partito con in mano un boccale di birra mentre intonano a
squarciagola durante le loro feste Padane il coro riportato sul frontespizio di
questo articolo, un fatto al quale qualche tempo fa dai microfoni di Radio news
ha replicato con appassionata veemenza il regista napoletano Pasquale Squitieri
(quello del film “Li chiamarono briganti”,
uscito nel 1999 e ritirato misteriosamente dalle sale cinematografiche dopo
appena una settimana, per avere avuto la colpa di raccontare agli Italiani la
vera storia sul cosiddetto “brigantaggio postunitario”, proprio lui) ricordando
all’ineffabile Salvini, tra le altre cose, come siano state Napoli e l’intera
Magna Grecia a far conoscere il sapone al resto d’Italia.
E che dire di quanto accaduto durante lo scorso
campionato di calcio, quando un giornalista del TG 3 Piemonte di cui è meglio
per carità di patria omettere il nome, inviato davanti ai cancelli ai cancelli
dello stadio di Torino ad intervistare i tifosi Juventini prima della partita
con il Napoli, chiedeva maliziosamente loro come facessero a riconoscere i
Napoletani, e di fronte alla reticenza degli interlocutori, dandosi egli stesso una risposta, con fare sempre più
ammiccante diceva: “Dalla puzza, non è vero?”. Incredibile ma vero, come
incredibile è il fatto che, passata la bufera nei confronti della Rai seguita
alle proteste di qualche intellettuale (come Roberto Saviano), il tutto sia
finito alla maniera italica, cioè a tarallucci e vino. Eppure in un fatto come
quello erano evidenti le responsabilità e le complicità a vari livelli di chi
con compiacente omissione aveva permesso che una tale esibizione di idiota
disprezzo potesse essere mandata in onda da una rete Rai.
E qui andiamo al punto prima solo accennato. Se
le cose stanno così, è evidente che quei cori di cui stiamo trattando trovano
nello stadio solo un occasionale ricettacolo e che anche in questa come in
altre circostanze i templi del tifo e ciò che in essi accade altro non siano
che metafora, parossistica espressione
se vogliamo, delle tensioni e degli umori che agitano la nostra società.
L’apparente “normalità” con cui un TG Rai manda in onda quel becero servizio fa
il paio con la sorpresa e l’indignazione di chi oggi, tifosi e presidenti,
protestano contro il provvedimento del giudice sportivo. D’altro canto, alzi la
mano chi, vivendo al Nord non ha mai sentito prima quei coretti ingiuriosi al di
fuori del contesto sportivo e sentendoli magari non ha pensato che essi siano
frutto di goliardica mordacità piuttosto che di una autentica subcultura di
matrice razzista ampiamente diffusa, come i fatti del TG 3 Piemonte stanno a
testimoniare, nelle fibre della società, o scagli una pietra chi non ha mai
raccontato una barzelletta sui Meridionali, o non ha magari goffamente cercato
di imitare il loro accento per metterne in burla le abitudini di vita. Qui
naturalmente non si tratta di fare il processo alle intenzioni, ma di cercare
di capire come in un’Italia progettata e costruita a due velocità, l’una
efficiente e l’altra no, l’una industrializzata e l’altra in cui invece l’unica
industria mantenuta in vita è quella mafiosa, sia diventato così “naturale” per
la prima considerare inferiore la seconda, che quando qualcuno interviene a
gettare un sasso nello stagno mettendo in discussione equilibri e gerarchie
secolari non può che suscitare sorpresa e protesta.
Quanto poi quei cori siano frutto di “goliardia”
e di “innocenti sfottò” lo può testimoniare il fatto che la loro materia e i
sentimenti ad essa sottesi non nascono né negli stadi né oggi, ma affondano le
loro radici nella modalità distorta in cui il processo unitario è avvenuto in
Italia, nelle teorie di Cesare Lombroso, per esempio, che offrirono supporto
ideologico alla conquista del Sud, quando il Sud era chiamato (come si legge in
parecchi documenti) “Affrica”, mentre
Massimo D’Azeglio, cui oggi dedichiamo le vie cittadine, affermava che unirsi ai
“Napolitani” (termine con cui allora
si designavano tutti gli abitanti del Sud Italia era “come mettersi a letto con un vaioloso”. E che dire di quel deputato
del Parlamento di Torino che di fronte alle proteste del governo britannico per
i massacri perpetrati dall’esercito Piemontese nel Meridione, invitava gli
Inglesi a pensare agli Affari loro, dal momento che loro, i Piemontesi, avevano
trovato nel Regno delle Due Sicilie La “loro
India”? E’ allora, che come racconta Carlo Alianello ne “La
conquista del Sud” (1972), una pietra miliare nel processo di
demistificazione della historia
ufficiale (inculcata dal catechismo di patria sin dai primi anni di vita nella
scuola) i soldati duo siciliani catturati dopo l’eroica resistenza negli assedi di Gaeta, Messina, Civitella del
Tronto, prima di essere avviati ai campi di concentramento dislocati al Nord (in primis Fenestrelle) venivano fatti
oggetto di scherno da parte di ufficiali e militari Piemontesi per la loro puzza (e d’altro canto, che in una città assediata
per mesi non vi siano tante occasioni per lavarsi è cosa naturale: a Gaeta, per
esempio, durante i 102 giorni di terribile assedio, ai 40 mila assediati venne
a mancare l’acqua dolce, e si dovette ricorrere all’uso dell’acqua di mare).”Sei del paese della lava? Allora lavati e
non fare il lavativo”, era una delle
frasi più frequentemente rivolte a quei prigionieri.
Pensando a tutto ciò e a tante altre cose ancora
che qui ometto per questioni di spazio e di carità di patria, dovrebbe tacere
chi oggi parla di “goliardia” e di “diritto allo sfottò”. Nella speranza che la Lega cacio, nelle
ultime ore tentennante di fronte alle reazioni suscitate anche presso taluni quotidiani, confermi di essersi
svegliata e non si pieghi, come invece da più parti si comincia a vociferare, a
revocare il provvedimento sanzionato. Sarebbe
l’ennesima farsa di un Paese in cui l’esercizio della memoria da parte di chi
parla è spesso virtù del tutto opzionale.
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