venerdì 30 agosto 2013

Nel caotico mondo del mai-più-silenzio

by Giulia Greco
foto di Pippo Zimmardi

I.

Sottile sorriso
Tra rughe profonde
come gole dell’Alcantara,
Due minuti fari di luce
S’accendono per me.
Oh tu, giudice delle mie pene,
mi rincorri per punirmi
con le tue vesti chiare
svolazzando tra sordi orchestrali di morte.

Rinasci ancora nel tuo chiedere alla vita,
Nel derubarmi d’un candore che in fondo non m’appartiene,
Nel pugnalarmi tre volte alle spalle prima dello scoccare delle due.
La luna è piena, fumigante d’olezzi lubrici
E di carne grigliata nella piazza notturna.
Ripenso ai colpi inflitti dal tuo invincibile ego,
Come a sussurrarmi all’orecchio che
Io sono come te,
Che non ho scampo, né felicità,
soltanto la tua piccola dolce grazia
di Ofelia scatenata
che mi vomita addosso sentenze di vita e di morte.


II.

Sento il rombo assurdo della solitudine spalancarsi cupo,
mi coglie un’infinita nostalgia dell’illusione di felicità
e mi guardo intorno attonita, inerme e spaurita con la mia fragilità ritrovata.
Mi vedo rinascere in un tripudio di solida disperazione,
che non si esaurisce a sera innaffiata dal vino
o nel caleidoscopio di visi effimeri e di tradimenti,
di cortesia o spassionata diligenza ai doveri sociali.
Mi perpetuo in una forma vile, striscio senza gioia
fino ai limiti della mia fortificazione dell’interiorità
Un immenso grandissimo Io,
senza inizio né fine, che alimenta se stesso
Di una brama cieca rivolta al cielo.


Riflessione breve

Nel caotico mondo del mai-più-silenzio, ci rincorriamo con parole mute per evitare di guardarci.
Sono allo stesso tempo due e poi tante altre me che reclamano a gran voce il proprio posto nel mondo.
Impigliata ad un nodo della rete tento invano di sfuggire alla ragnatela del tempo,
e mi si affollano agli occhi pensieri osceni in vesti di rassegnata accondiscendenza,
e, in quell’antro solitario tra l’esofago e il sesso,
ritrovo nella notte una porzione di me che non esiste agli altri,
un rigagnolo di mollezza e putredine che avvelena ogni pensiero spontaneo,
che si raggomitola in un angolo di pensieri malcelati disseminando fiele.


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