Pubblichiamo a seguire una "lettera al direttore" (de "La Repubblica") che, crediamo, non abbia ancora trovato spazio sul quotidiano forse per questioni di lunghezza. Si tratta di una lettera scritta da un lettore in seguito alla pubblicazione, avvenuta il 6 ottobre, di un articolo di Francesco Merlo in cui, accanto a una descrizione - seppur a volte caricaturale - della politica siciliana non molto lontana dalla realtà, si prospettano delle soluzioni che a molti son sembrate prive di ogni logicità.
Gentilissimo Direttore,
sono davvero
sbalordito e disturbato per la pubblicazione su Repubblica dell’articolo di
Merlo in cui si chiede l’abolizione dell’Autonomia regionale siciliana. Non mi
sarei mai aspettato su un quotidiano rigoroso come il vostro questo cedimento a
un modo di affrontare le cose molto superficiale, demagogico e paradossale.
Innanzitutto la premessa. Merlo si fa interprete di un
profondo scoramento di tutti noi siciliani per le condizioni in cui ci troviamo
dopo cinquant’anni di Autonomia speciale ma indica una soluzione suicida:
liberiamoci della Regione (se non ora quando?!). Bene, a seguire questo schema
di ragionamento si potrebbe dire lo stesso delle regioni a statuto normale, vedi
Calabria, Campania, Lazio ecc. che non sembrano aver dato prove migliori. Perché
solo la Sicilia? Se vale il teorema di Merlo, allora aboliamo le regioni, tutte
le regioni, fonte di sprechi da nord a sud.
Sarà poi un caso se nel sud le conseguenze sono
drammatiche e, dopo 150 anni di unità, la distanza tra il nord del Paese e il
meridione sembra la stessa se non addirittura peggiorata? Bene, seguendo Merlo,
dovremmo dire: aboliamo l’unità d’Italia!
Insisto nel portare alle estreme conseguenze il
ragionamento di Merlo. Se, pure dopo i disastri della monarchia e del fascismo,
sessant’anni di democrazia ci consegnano questa Italia, con questo parlamento,
questi eletti, il bunga bunga e la
crisi irrisolta al nord e al sud, allora aboliamo anche la democrazia!
E’ evidente che seguendo un modo di ragionare così
approssimativo e paradossale si corre il rischio di alimentare le peggiori
suggestioni populiste e non si favorisce la crescita di una corretta e attenta
critica civile.
Merlo, tuttavia, non è
nuovo a exploit di questo tipo. Sempre sulle pagine del suo giornale e sempre
in nome dell’amore che porta per questa terra meravigliosa, l’anno scorso
propose di togliere i più noti monumenti
dai piccoli musei siciliani (la venere di Morgantina ad Aidone, l’auriga di Mozia,
l’efebo danzante di Mazara del Vallo, ecc) per concentrarli in una struttura
centralizzata (a Roma? A Parigi? Al Paul Getty Museum?) dove sarebbe stato
possibile farli fruire a decine di migliaia di persone.
Personalmente penso che un simile modello
consumistico, da Disneyland dell’arte, sia impraticabile in un paese come il
nostro, dove ogni borgo offre un’opera d’arte significativa. Penso, per di più,
che andare a Mozia per vedere l’auriga o a Mazara per vedere l’efebo offra
l’occasione di visitare posti che offrono sensazioni, colori, sapori e vedute
che è difficile concentrare in un museo. Questo legame col territorio, per
altro, favorisce la crescita culturale nella popolazione e la consapevolezza
del valore di certe pietre, anche per chi fa il ristoratore, il contadino o il
tassinaro e non è professore d’università. Qui è il nodo della questione: come
far crescere la responsabilità di governati e governanti.
Colgo nei teoremi di
Merlo, invece, un retrogusto di supponenza elitaria e un insopportabile pregiudizio
antisiciliano, al di là del dichiarato amore per la Sicilia , perché alla fine
del suo ragionamento c’è sempre un potere centrale che dovrebbe sostituirsi a
questi spreconi incapaci. Cosa c’è infatti dopo la Regione ? Solo e soltanto
una struttura centralistica, come per il museo.
E’ una idea, ma è l’idea
infantile che ci sia un buon papà che saprà gestire le cose meglio dei
ragazzini pasticcioni. E’ la premessa di una cultura autoritaria. E’ la stessa
idea di Repubblica? Abbiamo già chiuso il capitolo del Federalismo?
Se è così ne prendo atto, ma siete sicuri che la
struttura centralistica che dovrebbe commissariare la Sicilia abbia le carte in
regola? Dagli scandali nazionali (che tutta questa discussione su comuni
province e regioni potrebbe far dimenticare), dalla vergogna di un governo
delle cose sempre più monopolistico e incontrollabile e i cui costi ricadono su
di noi in modo implacabile col sistema delle tariffe amministrate, non si
direbbe proprio.
Capisco allora che c’è
un problema più serio: i modelli di centralismo nazionale stanno crollando
mostrandosi incapaci di governare nei tempi nuovi. C’è una resistenza a
immaginare forme di governo che responsabilizzino e rispettino le popolazioni
locali. Le caste cresciute all’ombra del potere centrale (e questo sono state
le classi dirigenti siciliane fino ad ora) sono in fibrillazione e reagiscono:
la colpa è dell’Europa, o no, la colpa è dei comuni, no è delle province, ma
quando mai la colpa è delle regioni, della Sicilia in primis.
Io sono convinto, invece, (ne ho pure fatto un libro)
che la direzione da prendere sia quella del federalismo spinto, anche per
aiutare la crescita di una nuova Europa che è impedita proprio da questi
rigurgiti di centralismo nazionale.
Vogliamo discutere
seriamente di questo? Cordialmente
Roberto Tagliavia
Palermo, 8 ottobre 2012
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