domenica 28 ottobre 2012

Hunderground



di Luigi Carmina











Sono le ore 7:30 del mattino del 26 marzo, fuori è nuvoloso.
In questa città del meridione è normale. È passato un mese dalla dipartita di un mio caro parente, e non so se è questo o no a farmi prendere una decisione: devo andare via.
Ho deciso di andare a vivere in una metrò. Non quella più vicina a casa mia che è solo ad un chilometro, sarei subito rintracciabile, ma quella due fermate dopo. Però già ho avuto un dubbio: come laverò i miei vestiti.
Certo non è il primo pensiero che mi sarebbe dovuto venire vista la decisione, ma è stato soprattutto per il fatto che lì, in quella fermata, c’è un lavatoio, però in disuso, ma io so come far uscire l’acqua, perché in passato l’ho visto fare ad altri.
Guarda un po’, per viaggiare con i flash mentali sono passati già 25 minuti. Decido di andarmi a preparare, ci vorrà una mezz’ora abbondante.
Menomale che ho i capelli corti, tagliati da poco. Se l’avessi avuti lunghi come un tempo sarebbe stato un problema. Perché non so, potrebbe essere una scelta momentanea o a lungo termine.
La sveglia elettronica regalatami da un’amica segna le 8:28. Ho la mente confusa, ma fra pochi minuti sarò là. Camminando vedo gente che apparentemente sembra felice, ma non lo è, ma dovrebbe esserlo.
Volevo portare il lettore mp3, ma non avrei avuto la possibilità di caricare le batterie. Allora ho portato il mio lettore cd che funziona con la corrente elettrica perché in una fermata della metrò una volta ho visto delle prese, così non dovrò portare le batterie. Se ci saranno come spero chiederò a chi di dovere il permesso per usarle. In cambio farò da guardiano alla metrò notte e giorno. Nel lettore inserirò un unico cd con le canzoni migliori del cantante italiano del momento. Certo non mi piace perché è il cantante del momento, ma solo per l’originalità e per quello che trasmettono le canzoni.
Metto un paio di pantaloni presi a caso e qualche maglietta in uno
zaino. Lo peso così senza motivo, come se dovessi prendere l’aereo. Era per aumentare i flash mentali. Voglio indossare sempre e solo magliette a maniche corte noncurante del freddo che potrò sentire nei mesi invernali.
Arrivo alla fermata della metrò più vicina, il treno partirà fra 30 minuti, in questa città non sono frequenti, non è la stessa situazione di molte altre città italiane.
Giunge il treno, la voce lo annuncia. Salgo e dopo 12 minuti sono là, 8 chilometri lontano da casa.
Desidero conoscere colui che diciamo ha fatto e farà la mia stessa vita, cioè il capostazione di quella metrò. Lo ammiro e lo invidio allo stesso tempo.
Ho lasciato ogni mezzo per comunicare come cellulare, palmare e notebook a casa mia. Ho solo il mio lettore cd. A proposito, devo subito chiedere a quel capo stazione se potrò collegarlo là perché ho visto che anche in questa stazione c’è una presa elettrica. Con mia meraviglia scopro che il capostazione è una donna. È bellissima, mora con un seno prorompente.
È alta più o meno quanto me, 1 metro e 70. Mi avvicino:
Io: quanti anni hai?
Lei: ho 28 anni appena compiuti. Già noto che sei un tipo strano.
Io: perché?
Lei: hai chiesto l’età come se fosse importante, senza prima presentarti.
Io: già avevo capito che avevi un nome lungo.
E lì ridiamo quasi a squarciagola insieme.
Io di nuovo: scherzo è che penso subito una cosa e la dico. Seguo
l’istinto è forse sbagliato?
Lei: no gioia fai bene, chiamasi secondo me anche sincerità.
Io: ti voglio raccontare i miei progetti per il futuro.
Lei: ma saranno strani quanto te?
Io: te li racconterò e deciderai tu.
Lei: vai!
Io: ho deciso di stanziarmi qui nella stazione per i prossimi tempi a
venire.
Lei scoppia a piangere. Io come se la conoscessi da tempo la abbraccio. Mi racconta che il padre era morto tre anni prima in un incidente ferroviario. Faceva l’autista e lei aveva preso il posto però come guardiano in una stazione a caso. Era toscana. L’avevo capito dalla cadenza splendida come lei.

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