di Salvo Balsano
L'uomo prega nelle forme del dolore. Il ricordo della speranza, con cui l'essere dirige l'armonia della memoria, è lacrima, plumbeo riflesso del desiderio. Riposano le ombre dello spirito nella nera notte della morte: "Furore, ala di lutto, / e morte e collera / fino a che le lacrime ed il dolore uniti [...] / non saranno che un cumulo d'ossa in una strada / e una pietra seppellita dalla polvere" (Pablo Neruda, Terre Offese, Traduzione di Salvatore Quasimodo). I gemiti del tempo scorrono fra i flussi infiniti dell'universo: nello spazio, in cui la materia e l'idea incontrano la melodia che coglie l'istante dell'eterno, l'etere sognante della preghiera osserva i moti degli angeli.
Piangi, o poeta, abbandona la tua fluttuante nota nella pioggia delle nostre lacrime. Prega, o uomo, avvolgi il furioso vento della consumazione bisbigliando i segreti dell'infinito. Vivi, o morte, canta, nel tuo eterno tempo, l'eco dei fantasmi: "E da allora sta celata nei boschi, mai più è apparsa sui monti; / ma dovunque puoi sentirla: è il suono, che vive in lei" (Ovidio, Le Metamorfosi, III).
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