di Enzo Barone
[Seconda parte]
Naturalmente il nostro giovane era per molti aspetti un adolescente come tanti altri: con le sue brave insofferenze per i genitori a volte, i malumori improvvisi e inspiegabili, i primi languori per l’altro sesso, le euforie violente e le passioni fugaci.
Né gli mancavano le occasioni per stabilire legami con le coetanee. Giacché, gradevole nell’aspetto, elegante nella figura, d’indole in fondo dolce e pacifica, godeva per di più di una peculiarità davvero invidiabile per quest’età: una calma e un dominio di sé in ogni circostanza, caratteristiche queste che lo facevano sembrare agli occhi delle ragazzine precocemente maturo, sicuro delle sue azioni.
In comitiva prima, da solo poi aveva preso a frequentarne alcune. Una rossa di capelli, lentigginosa, affilata come una lama, con lo sguardo perso sempre di là dal suo; mora l’altra, piccoletta e carnosa, di spirito arguto, con un luccichio sempre in fondo a due piccoli occhietti marroni; chiara di capelli, di iride cerulea, pallidissima la terza e di poche parole, ma che sapeva ascoltare e parlare, quand’era il caso, di poesia e musica.
Di un paio di loro percepiva un interesse abbastanza manifesto nei suoi confronti; l’altra chissà.
Aimo a sedici anni aveva una capacità ragionativa e una logica stringente e spietata. Di trasporto ne aveva un po’per ciascuna delle ragazze - che a quest’età non ci si può innamorare veramente e di una sola – ma come classificare ognuna di loro, in che categoria considerarle singolarmente, come capirle quindi ? Perché per capire qualcosa o qualcuno bisogna prima classificarlo.
Ognuna di loro presentava un’eterogeneità di caratteri catalogativi. Prendiamo Vania, la rossa.
Raccoglie la coda dei capelli con un bel nastro azzurro e indossa spesso una deliziosa collana di color turchese a pendant, dettagli che esaltano il mento appuntito, quel suo perdersi lontano con gli occhi, ma poi Vania pecca fortemente di incoerenza, perché indossa sempre quel vaporoso camicione bianco, stretto da un cinturone ai fianchi, quelle maxigonne di jeans e gli anfibioni logori. Per non parlare delle labbra che tinge di viola o dei percing al naso. In quale categoria dello spirito inquadrarla ? Raffinata, sfuggente oppure banalmente trash ? E Giusy. Aimo non baderebbe neanche ai rotolini di ciccia che debordano dai calzoni a vita bassa; è allegra, da gioia a parlarle.Ma perché allora è così permalosa, tanto da rovinare un bel pomeriggio di risate in gelateria, dove lo pianta in asso all’improvviso per una battuta da niente, dopo aver proferito qualche turpe insolenza. E poi vada la vita bassa, ma perché quella odiosissima frangetta di capelli neri sempre grassi e gli occhialetti pesanti, quadrati, da topo di biblioteca. La inquadro come un’allegrona, si chiedeva, una che sa vivere o in fondo come un triste sorcione, grigio e rognoso ?
Pensando a loro tre si chiedeva a che modello di ragazza appartenessero, in quale categoria organica coerente le dovesse catalogare. Voleva comprendere chi erano veramente e catalogarle.
Perché questa era la vera questione della sua vita: catalogare vuol dire comprendere e solo comprendendo si può amare. Lo aveva appena imparato a scuola, comprehendo in latino vuol dire prendere insieme qualcosa, prendere con, farlo proprio con un abbraccio.
Scelse di mettersi con Claire, la cerulea, naturalmente. Forse solo perché gli pareva di non averci fatto tanti ragionamenti sopra. O forse perché per qualche mese si astenne con lei dall’esercizio del catalogo.
Per riuscirci le proponeva da principio di andare insieme al cinema o di fare lunghe passeggiate al giardino di fronte al mare.
Una domenica mattina infine, sollecitata da Aimo, lei ebbe il permesso di andare con lui in motorino appena fuori porta, in un parco attrezzato davvero molto bello, dal quale si poteva godere della vista di buona parte della città e del golfo pieno di sole.
Aimo camminava sul pianoro calpestando il tappeto di aghi dei pini marittimi che facevano corona, Claire teneva la mano nella sua. Alla ragazza batteva forte il cuore, dal suo respiro visibilmente irregolare, si capiva che era molto emozionata.
Il ragazzo di tanto in tanto fermava il passo alzava la fronte a scrutare le cime degli alberi e il cielo, come a cercare ispirazione, poi continuava a camminare. Ad un tratto si bloccò con un aria seria, abbassò la testa e socchiuse gli occhi.
“Sai una cosa Claire ?” – esordì.
“Si Aimo”: erano due parole dette con una voce tremolante, carica di trepidazione e speranza.
“Sono riuscito ad individuare, guardando questi pini, quattro diverse fasi di piantumazione: quelli piantati dai cinque ai dieci anni, quelli tra i dieci e i diciotto, quelli con più di vent’anni e quelli che probabilmente hanno visto anche la guerra. Ci sono poi cinque forme di chiome: le ovali, le tonde, le triangolari, quelle a fiamma e a calice. ”
Nonostante tutto, si misero insieme lo stesso. Claire era molto intelligente e sapeva andare oltre a questa sua singolarità, strana, ma in fondo innocua.
Quando ebbe ventisette anni Aimo la sposò. Naturalmente nel menage coniugale occorreva considerare con amorevole tolleranza pure l’incessante attività classificatoria che Aimo estrinsecava in casa.
Non era questione di ordine o il disordine domestico, perché su quello mettono bocca più spesso di quanto si creda anche molti mariti comuni. Ovviamente era un problema di metodo selettivo, di serena logica ordinatrice. Ad esempio nella vetrinetta in un settore andavano disposti i bicchieri da bibita e quelli da acqua, ma accanto non gli altri bicchieri, bensì i cilindri essenziali delle bottiglie di cristallo variamente decorate, il cilindretto dell’affusolata oliera, il lucido shaker d’acciaio; su un altro ripiano, semmai, il contenitore ovoidale dell’aceto, i bicchieri da cognac, i soprammobili di Murano a forma di grosse gocce: tutti dalla forma tendente al globulare. In cucina le spugnette di forma quadrata andavano impilate accanto al lavello, vicino ai quadrati tovaglioli di carta e al posacenere quadrato anche lui; le rotonde spugnette d’acciaio con le arance e le michette circolari; in un angolo i manici delle scope stavano con le affusolate stecche del biliardo regalato per le nozze, con gli sci da fondo e con le stampelle ortopediche. Era stata una scelta sofferta, ma alla fine in casa aveva prevalso il discernimento di catalogare per forme geometriche.
Dopo la laurea in lettere classiche suo padre lo aveva veementemente spinto a tentare il concorso per catalogatore all’Ufficio Regionale dei Beni Culturali, prodigandosi con alcuni suoi amici dirigenti regionali per la buona riuscita del concorso con ogni tipo di risorsa e di energia a sua disposizione.
Sembrava finalmente il naturale approdo al luogo più adatto per il compimento delle aspirazioni di Aimo, la strada maestra per giungere alla gloria immortale per il genio del catalogo contemporaneo. Lavorava nell’Ufficio Catalogazione Oggetti d’arte, che si occupava di riconoscere e classificare dipinti, incisioni, arredi sacri, prodotti di oreficeria pregiata, di glittica e di arte suntuaria in genere.
Sempre più "intrigante"!
RispondiElimina