di Enzo Barone
Il catalogo non è un’attività come un altra; il catalogo è categoria dello spirito, missione dimensione del pensiero. Religione forse.
Si principia da piccoli, da molto piccoli, con i propri giochi. Un bel giorno si comincia a trovare insopportabile l’indistinto, sregolato affastellarsi nella cameretta di tutti quei giocattoli colorati. L’accumulo confuso di mostri preistorici, sonaglini, biglie, soldatini, mattoncini delle costruzioni, macchinette trasformabili sembra non divertire più. Si ha la primitiva percezione di un ordine universale del mondo, delle cose, cui non si può fare a meno di obbedire, come un fatto naturale e spontaneo, quasi una esigenza biologica, come mangiare o fare la pipì. Avvenne proprio così, per Aimo - frutto tardivo di due placidi funzionari dello Stato, che vivevano in un tranquillo borgo fuori città - che si manifestasse il primitivo amore per il catalogo.
Già a partire dai due anni, prima ancora che la mamma a fine giornata potesse mettere tutto a posto, Aimo prendeva a disporre tutti in fila così gli indiani, come i cow-boys; i mattoncini colorati li impilava per dimensione e colore; le macchinine le parcheggiava a pettine ordinatamente nel loro garage; le sorprese degli ovetti tutte nella scatola quadrata rossa dei biscotti. Che non fosse una precoce e banale mania dell’ordine, ma qualcosa di più elevato questo i genitori lo percepivano chiaramente. Non bisognava contrastarlo, assecondarlo piuttosto.
Alle elementari si continuava con la classificazione dei propri abiti, dei bei libri nuovi, con i pennarelli e le matite. La cura maggiore fu verso il catalogo dei volumetti di scuola che cominciavano ad accumularsi sulla libreria e con essi quelli da lettura molto più numerosi, giacchè Aimo li divorava in quantità con insaziabile voracità. Cominciò ordinandoli in base al colore del loro dorso: i bei vermigli, gli splendenti blu e gli azzurri; i verdi dallo smeraldo al turchese; quelli bianchi su cui si allungavano con una vividezza in verticale i titoli e i nomi degli autori, con caratteri di varia grandezza e stile. Poi pensò che fosse più logico raggruppare degli insiemi a seconda dell’altezza dei libri; infine, credette che il vero comun denominatore classificatorio dovesse essere lo spessore e allora da una parte il dizionarietto di italiano e con lui gli almanacchi di Topolino, i volumi strenna di nona Abelarda, tutti i volumetti cicciotti, con storie di calcio o di avventure di ragazzini.Via via tutti gli altri secondo la larghezza.
Ma questi criteri ordinatori funzionavano per poco e in modo insoddisfacente. Già sul finire delle elementari e al principio delle medie Aimo comincia a sospettare che nessuno dei sistemi di catalogo escogitati possa essere quello giusto, che in pratica non si sia trovato quello che aggreghi con uniformità gruppi davvero omogenei. Se si opta per l’insieme dei colori, c’è sempre qualche dorso con più timbri o con tonalità intermedie; le altezze molto difficilmente riescono ad essere assimilabili; per gli spessori, poi, i gruppi sono, alcuni poco cospicui, altri foltissimi e comunque a guardarli da lontano i libri appaiono raggruppamenti disordinati, con alti, bassi, rossi, gialli, grigi insieme, col solo debole filo conduttore del loro volume.
Bisognerà trovare un sistema meno barbaro, che individui le appartenenze, ma in modo profondo, non secondo l’apparenza esteriore.
Questo è il momento della vita di Aimo in cui i genitori cominciano a farsi pensosi: la fronte di papà talvolta si corruga di tante lunghe increspature: sembra quasi la pelle grinzosa di Charlie, il mastino di casa, quando capisce che la più seria occupazione del ragazzino, quella che sovrasta e governa tutte le altre, pare essere incontrovertibilmente la distribuzione sistemica degli elementi del piccolo mondo che gli sta intorno.
La mamma, donna colta e di cervello fine, bada a consolarlo, però, spiegando, con quella innata cognizione istintiva che ogni madre ha della sensibilità dei figli, che non si tratta del primo manifestarsi di un disturbo paranoico. No, è qualcosa di meno e qualcosa di più e di diverso. E’ di sicuro l’adesione ad una esigenza profonda, dell’anima (se non fosse probabilmente improprio usare questi termini trattandosi in fondo di un bambino). Ma al tempo stesso tutto questo desiderio di ordine nasconde una ricerca e forse un’intuizione remota di qualcosa di più grande.
A tredici anni e mezzo gli studi della classicità sembrano il più fertile dei terreni per il tripudio del catalogo. Aimo li sceglie senza titubanze.
Entrato al classico avvia da subito sul PC 92 nuove categorie gnoseologiche.
La classificazione dei vocaboli greci che via via incontra secondo gli spiriti e delle quantità sillabiche prima; gli insiemi poi dei verbi latini irregolari delle quattro coniugazioni e di quelli difettivi, l’insieme delle forme rare e disusate. In parallelo alla tradizionale attività ordinativa, Aimo al secondo anno di ginnasio decide di avviare una collezione di lemmi rari e disusati o in via d’estinzione (almeno per un ragazzo di quindici anni): nella A “assioma, ardica, argante…”; nella B “bucchero, bramito, bramma…”; per la G “grandguignolesco, guancio, guattire…”; per la S “sapropelico, sbuzzare, scranno.”
Per un po’ decide quindi di dedicarsi ad approfondire l’esame del dizionario d’italiano, vera summa e paradigma del catalogo dei lemmi. Esercizio in breve abortito, perché ad Aimo il dizionario appare presto piuttosto accozzaglia di termini priva di qualunque disciplina, legati solo dal flebile legame della sequenza alfabetica.
Al liceo si passa al catalogo ragionato dei filosofi presocratici greci, dei coevi pensatori indù e dei pensatori persiani e siriani, sparigliati e ordinati però secondo precise categorie morali o scientifiche quale quella dei legislatori, dei metafisici, degli escatologici, gli astronomi, i teorici puri (o pneumatici secondo una categoria da lui inventata di sana pianta). Seguiva l’elenco degli scienziati alessandrini e di quelli pergameni; gli scultori di kouroi della Magna Grecia e della Sicilia orientale; la statuaria grecizzante punica. Invece per quanto concerne la classificazione materiale di oggetti, aveva avviato la raccolta dei minerali, disponendo in alcune teche trasparenti campioni di rocce intrusive, effusive, magmatiche, sedimentarie, quarziti, diaspri, calcari e via così.
Ma non bisognava neanche trascurare la classifica delle matite in grafite porosa e quelle a grana compatta; quelle da 0,3, da 0,5 e 0,8 mm . né la disposizione rigorosa degli indumenti nel suo armadio.
Dispose la compartimentazione in settori separati per i calzini invernali a gamba corta e a gamba lunga; un settore per quelli di lana al 100 % e per quelli misto-acrilico o misto-cotone; i cassetti per i calzini a rombi e a scacchi, per quelli a bande colorate, a fantasia o a tinta unica. Siamo sempre là però: il criterio con cui si crea ogni insieme non esaurisce mai del tutto l’esigenza di omogeneità e analogia delle sue parti.
“Ordinerò prevalentemente i calzini in base alle forme dei disegni, alla lunghezza o alla composizione della stoffa ? Quale il criterio più esatto. Ogni volta che se ne trova uno di soddisfacente, s’insinua la perfida serpe del dubbio che c’è ne possa essere uno di migliore. E soprattutto come trovare l’ordine sovrano che dirima la questione della possibile appartenenza di uno stesso calzino a più categorie (uno stesso indumento può essere insieme a rombi, di lana, corto o lungo, a seconda dei casi) ?”
Prima parte
"Intrigante"... (e molto ben scritto!)
RispondiEliminaSembra di vederlo, il "piccolo" Aimo. O di...rivedersi?
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