by Sandra Collura
(Erice-luoghi)
Dodici anni aveva Maria
quando la esiliarono dalle suore,
lontano dal mondo.
Troppa fame, troppa miseria
C’era la guerra.
A Erice, un rifugio degli orfani
era il convento di S. Carlo
Là almeno mangiava.
Uscì quando già era una donna
Oltre l’arco del portone
lasciò i giochi, l’amore gli scherzi
Le sorelle, dentro quelle mura
dio misericordioso tenevano nascosto
a nessuno lo insegnavano.
Ma un giorno Maria
spiò da una botola:
farina, uova, mandorle
pasta di zucchero, conserva di cedro
impastavano la tradizione con mani gelose
conoscevano solo l’obbedienza
Suor Stellina e suor Mariangela
Una passione esplose nei suoi occhi
A memoria imparava
le ricette antiche di secoli
desiderosa di vedere il Paradiso
Giorno dopo giorno
nel silenzio del convento
da quelle sterili madri
il segreto passava a Maria
madre senza madre.
Un’oncia, una libbra, un rotolo
Come sei stata brava, Maria
Con le misure antiche
A rapire l’amore da quelle mani mortificate.
Come sei stata brava, Maria
a impastare il bene più grande
in una tortina paradiso
Operosa bruciava la tua passione:
mustaccioli, amaretti, bocconcini
genovesi con crema
per la tua voluttuosa passione
il freddo lastricato del paese
era un ricamo tutto nuovo.
A Erice c’è una rientranza
il sottile gorgoglio di un filo d’acqua
conduce fino ad un presepe.
L’odore della pasta di mandorla
avvolge dio incarnato
Lì c’è una stanza senza pareti
dove il freddo e la nebbia
non possono entrare
Dentro scuri armadi
colline di pastine al limone e all’arancia
al zibibbo e al rum
lingue di suocera, cuori di martorana
qui la passione di Maria cattura tutte le fibbre
e non si può che patire quell’abbraccio.
E’ qualcosa che viene da lontano
Forse è Afrodite, Venere o Astarte?
O è la Madonna della neve
che si lascia vedere?
E’ tutta la dolcezza nata dall’amarezza
E mentre un soffice sospiro
un desiderio insaziabile e nuovo
si leva dalle barocche armonie floreali
disegnate in quei conturbanti pasticcini.
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