domenica 14 aprile 2013

Tonio Linato


di Andrea S. Castrovinci Zenna
 
Tonio Linato era un ragazzo normale, figlio d’un padre a lui somigliante nell’aspetto, ma non nelle dimensioni. Il padre era un uomo nerboruto poco oltre la soglia della quarantina, con radi capelli a mostrare una testa tonda e due occhi grandi spesso assenti, bramosi di rinvenire intorno a sé un inappagato desiderio di giovinezza; era dal petto largo e pancia consistente, con braccia grosse e ancora vigorose, così come le gambe, giovani nei peli nerissimi.

Tonio era lo sputo in piccolo del padre, solo un po’ più minuto, meno forzuto, dalla carnagione cicciotta e d’un colorito insipido, più chiaro rispetto alla bruna pelle del padre, simile alle annerite carni di ragazzetti seminudi scorazzanti tra viottoli polverosi di quartieri bassi, imbiancati dal sole a picco che dilaga, confonde le immagini, le imbianca e le immilla nell’entroterra siciliano.
    A scuola Tonio era affabile con tutti i suoi compagni, anche con quelli ch’approfittavano della sua indole bonacciona e immune all’ira; era disponibile al punto tale da indurre taluni a credere fosse loro amico. Nel parlar con lui egli guardava con occhi dilatati fino allo spasimo, come vergini di storie da ascoltare, come occhi d’infanti interessatissimi alla storia o all’evento presente, come chiedessero al padre di continuo: -E poi?! E poi?! E poi?!-
Questi occhi quasi stupidi lasciavano spiazzati i dialoganti, sorpresi e resi inabili a proseguire nei loro discorsi. Gli occhi di Tonio disorientavano fino a far dubitare ch’egli non fosse altro che una espressione irrigidita in un sorriso impersonale e, per dir così, vuoto d’un anima propria.
I professori erano costretti a non oltrepassare il 7, poiché Tonio ripeteva la lezione studiata amalgamandone le parole proprie del gergo con espressioni comuni al parlato, in una normale esposizione medio-bassa d’un ragazzo modesto e tranquillo cui poco o nulla importa di quel che va dicendo, mentre si sforza di ricordare i tecnicismi della materia di turno.
Non si lagnava affatto dei risultati, li accettava con indifferenza.
Neppure ai ricevimenti dei genitori s’incontravano ostilità o pretese.
-Signora, suo figlio và… Bene.-
-Ah, bene. Allora… Arrivederla, grazie!-
-Arrivederla signora-
     Inconsistente com’era tra i banchi di scuola, tale restava sul campo da calcio.
Tra i compagni di classe, il sabato pomeriggio, venivano organizzate partitelle di calcetto, alle quali una tantum giocava anche il padre di Tonio, grande tifoso di calcio come il figliolo.
A differenza della sua tacita giovane copia, egli urlava nel chiedere palla, corrreva, difendeva la sfera a spallate e spintoni a danno dei giovani giocatori avversari, i quali, travolti dalla notevole quantità di moto del’omaccione, crollavano rovinosamente sul campo da gioco reclamando vanamente falli dei quali ‘il bambinone’, come ormai avevano soprannominato il padre di Tonio per la sua inesausta voglia di vincere, s’infischiava, continuando ad abbattere piccoli Toni per giungere a portata di tiro. Giunto a distanza consona sfoderava pallonate ultraveloci e potenti, ma queste raramente centravano lo specchio della porta.
In breve tempo gli altri compagni di classe, stanchi e doloranti non invitarono più Tonio i sabato pomeriggio, per l’eccessiva presenza paterna. Ma Tonio non pensava neppure giocassero, fessacchiotto qual’era, ed attendeva, senza angoscia d’attesa, di partecipare ad una nuova partita di calcio.
     Ogni anno la famiglia Linato si trasferiva in villa, dove li attendeva una bella piscina clorata, azzurra nelle piastrelle, a forma di rene o fagiolo e con trampolino. Lì la madre di Tonio, casalinga indaffaratissima, poteva esporre il corpo dalla statura mediosicula, grassoccio, ai caldi raggi, oliando per bene le gambe tozze, le braccia irrobustite dal continuo scopare lavare spolverare passare lo straccio e il seno eccessivo. Gli occhialoni da sole indossati al mattino la rendevano una figura impersonale già vista altrove, stereotipato riflesso di qualche mora attricetta nostrana carnosa, dalle guance rigonfie dagli anni e dalla chirurgia, così come le labbra siliconate a canotto ed il seno abbondante per natura.
Lì Tonio invitava senza discrimine compagni per il suo compleanno in luglio inoltrato, festeggiando ripetutamente il trascorrere degli anni. Alle feste di Tonio il padre era un gentilissimo Cicerone con le giovani succinte compagne del figlio: i suoi occhi già enormi brillavano nella luce elettrica delle lampadine a incandescenza all’uopo disposte per illuminare il tavolo bianco componibile in plastica per il buffet, vagavano tra i piccoli seni sodi, le gambe nude e le vesti semitrasparenti delle ragazzine, che già a 17 anni o poco più, donne non erano ancora, e bambine non erano più.
     Un bel giorno a Tonio parve d’essersi innamorato d’una ragazza della 4ªC, con la quale aveva più volte chiacchierato nei tempi allegri della ricreazione.
Era un giorno luminoso di primavera inoltrata, e la stessa allegria festiva si riverberava sul viso pallido insipido di Tonio, tratto a nuova linfa in un rossore fanciullesco intenso, come quello dei papaveri per caso sorti nelle piccole zollette di terra risparmiate dal grigiore cementizio.
Lui e la ragazza erano usciti entrambi soli dalle proprie aule all’aperto, e tacitamente, col richiamo memoriale dei casuali incontri precedenti, s’erano come dati appuntamento dal lato opposto della strada ove sostava l’anziano panellaro, generoso nell’omaggiare una o due crocchette ogni due euro di spesa. Ritrovatisi per iniziativa di lei, non bella ma intraprendente, vissero una giornata d’esasperata felicità, commettendo smisurati scarti alle norme cui Tonio,  ligio alla monotonia, non era affatto abituato.
Correva dietro le brevi corse ammiccanti di lei, nonostante quei jeans non lasciassero immaginare nulla di eccezionale. Si fermavano in un angolo appena appena appartato: lei si lasciava baciare molle come gialla foglia autunnale carezzata dal primo inverno, senza desiderio, lasciando a Tonio in bocca il senso del viscido ruotare vorticoso delle lingue, l’unirsi dei sapori, l’eccitazione primitiva. Poi, quando grazie a questi fluenti scambi in Tonio rinasceva il primordiale istinto e cercava di afferrarle con forza una natica o un braccio, lei si ridestava dal languore, s’irrigidiva riprendendo il vigore estivo dell’afa che non lascia scampo, e rifuggiva calda di scirocco.
Per Tonio il mondo nasceva in quel momento ed ogni cosa pareva un po’ strana: credeva d’essere diventato lui il misterioso artista che tramite l’ispirazione dava vita alle forme, ne univa in segreti accordi l’essenze, permetteva al mondo naturale ed all’umano una insospettata sintesi panica di felicità: tronchi e cemento, palazzi e cielo, gemme e smog, tutto si mesceva e rinasceva a vita nuova in Tonio, insospettabile divinità.
Invece di tornare alle undici e un quarto in aula se ne andavano a zonzo come gatti in calore per la notte, lui inseguendo lei tra vicoletti angusti e marciapiedi sudici di escrementi canini.
     Lei, come tutti, s’approfittava dell’insignificanza di Tonio, e dopo aver sperimentato con quell’uno qualunque il sesso ed essersi impratichita, lo provò con altra gente, lasciando l’innamorato ebete favoleggiare un roseo avvenire.
Dopo mesi e mesi di scappatelle a Tonio insospettabili, le voci di corridoio turbarono l’animo del giovane tranquillo, che adirato pretese chiarimenti dolorosi. Fu costretto a lasciarla.
Tornò all’aridità inconsistente della sua persona, a quella vacuità di sguardi nella quale era fino a quel tempo adagiato, senza rischio di ricevere sconfitte e senza speranza di felicità. Tonio si rispense.
     Anni dopo il padre se ne andò da casa mostrando quale fosse stata la vera natura del suo matrimonio: un’unione con una donna insipida quale la madre di Tonio era stata un buon partito nell’età difficile di lui, viste le prospettive d’introiti medio-alte offerti da quella grassoccia figlia unica allora ventottenne.
Lasciò lei e Tonio non appena l’attività intrapresa in illo tempore, quando ancora il figlio non c’era, gli permise di trasferirsi all’estero in Francia, potendo là condurre un’esistenza finalmente consona al fuoco dei suoi lumi: ivi si legò ad una bella giovane indonesiana, a farle da moglie e da schiava, scura nella pelle liscia anche d’inverno, dal volto orientale del quale gli sarebbe riuscito difficile dire l’età. Mandava, in segno d’affetto o di scuse, del denaro all’ex-famiglia.
     Tonio ebbe altre donne al fianco, tutte dileguarono come stormi di rondoni neri, ridestando primavera in lui per brevi istanti mensili, pronte ad abbandonarlo alle soglie dell’autunno: ognuna apparì e sparì d’un tratto, lasciando Tonio sfiduciato e disfatto, uomiciattolo che vive tutt’ora senza più attendere una salvifica aurora.

 

12 commenti:

  1. Hai belle doti di narratore e sei prezioso nel lessico. Questo è però anche il tuo difetto: mi pare che infarcisca troppo il racconto (che è vivo e attuale) di un lessico desueto, arcaicizzante, talvolta troppo ricercato ed insistito. Scusa la franchezza, ma qualche consiglio disinteressato può essere pure utile.
    Il finale poi poteva essere più incisivo, accattivante.
    complimenti comunque
    Enzo Barone

    RispondiElimina
  2. Il racconto vive nel piacere del narrare, nel quale il narratore si tuffa e si crogiola, a mio modo di vedere, con uno sguardo sornione verso il lettore. Questi non può che apprezzare fin quando si lascia guidare, e alla fine qualcosa rimane sospeso, insoluto. Ma che importa? non è proprio questo il bello della letteratura? questa sua compiuta, suiblime, incompiutezza...? Auguri sinceri per il bell'esordio.
    Francesco Scrima

    RispondiElimina
  3. Intanto grazie per avermi dato la possibilità di venire letto.
    Apprezzo sempre la franchezza, siano plausi o botte, e le botte poi sono molto più proficue.
    Scrivo per il lettore, e lo penso capace come me di cogliere certi richiami: a chi sta bene, bene, altrimenti amen.
    Scrivo anche per me stesso e se indugio (me lo hanno detto in tanti) nella ricercatezza formale che si intinge nella tradizione letteraria c'è un motivo. Dico che scrivendo conta unicamente la forma, perchè, che dire di nuovo? Non è già tutto detto? Il COME, non il COSA, conta quando scrivo.
    Andrea S. Castrovinci Zenna

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Attenzione però a crogiolarsi troppo nell'autocompiacimento: non bisogna pensare, credo, che siccome il proprio stile è la formula che ci contraddistingue non possa essere mai messo in discussione. Chiunque può sempre migliorare. Io rifletterei di più su certi ghirigori formali a volte fini a se stessi.
      E poi perché è già stato detto tutto? Certo non se non si è a corto di immaginazione.

      Elimina
  4. Bravo andrea... Un bel racconto scritto bene! :-)

    RispondiElimina
  5. Bravo Andri... Posso dire che a me piace molto il raccontino ma soprattutto la ricercatezza lessicale, a mio parere è questa che contraddistingue il racconto!
    In ogni frase c'è quella particolare forma, metafora che attira e affascina il lettore... Complimenti!
    AlessiaPalm

    RispondiElimina
  6. Innanzitutto, tanti auguri per l'esordio!
    Il racconto è ben fatto: credo proprio che la scrittura sia il suo plusvalore. Continua a scrivere per te e per noi, lettori anche di bozze.
    Ancora complimenti, Andrea!
    L.R.

    RispondiElimina
  7. complimentoni :)
    Sono rimasta piacevolmente stupita; in poche righe, per quanto mi riguarda e per quanto poi effettivamente me ne intenda di letteratura, hai creato un piccolo capolavoro.
    Ero presa, coinvolta ed attirata dal lessico, dalla trama e dalla descrizione minuziosa dei personaggi e dei fatti (riuscivo quasi ad immaginarli, come fossero reali).
    Hai un gran talento,ancora complimenti.
    Eva S.

    RispondiElimina
  8. Fantastico, è notevole il modo in cui riesce a coinvolgere e attirare, soprattutto per il lessico, la scrittura e la ricercatezza.
    Complimenti.
    A.P.

    RispondiElimina
  9. Non smettere mai di scrivere! Hai talento e una proprietà di linguaggio ormai quasi inesistente nei ragazzi di oggi.
    Trovo che questa tua continua ricercatezza delle parole sia il cuore di questo racconto, senza di essa non ci sarebbe più l'eleganza, la musicalità e la forma che sono gli elementi fondamentali che, a mio parere, rendono piacevole la lettura e danno armonia alla storia che stai narrando con tanta cura e maestria. Penso che hai un potenziale non indifferente e ti auguro di fare strada.
    Continua così!
    Giulia T.

    RispondiElimina
  10. Complimenti! Il racconto è molto curato mi sembra un bell'esercizio di stile alla Queneau, in cui la descrizione il lessico riesco a dare una tonalitá originale a una suggestiva atmosfera siciliana! Rileggendolo mi è sembrato di vedere un racconto verghiano attualizzato ad oggi! Continua cosi!
    Scoppy

    RispondiElimina
  11. il lessico, la ricercatezza delle parole, il linguaggio, ecc. complimenti complimenti continua cosi

    RispondiElimina

Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie