Di Enzo Barone
Desirè è ammalata. Ammalata grave. Del morbo più coriaceo e invincibile che esista: ha tredici anni.
E’ precipitata da un anno e mezzo in un gorgo vorticoso, in un oscuro abisso e annaspa, gratta la terra intorno, cerca disperata di risalire da dove era precipitata, ma comincia a capire che un’uscita, se esiste, si trova da un'altra parte, alla fine di un insondabile budello dall’altra parte della caverna, là dove una volta ha intravisto qualche bagliore.
Ci sarà da soffrire e tanto, per uscire, pensa in cuor suo Desirè, annaspando, scivolando, strisciando per quello strettissimo passaggio: forse sarà un po’ come un secondo parto, come il dolore di nascere di nuovo.
A casa ci sta spesso, per lo più chiusa nella sua stanzetta a sentire musica o a
chattare su internet, per lo più lunatica, per lo più incazzata con tutti, col fratello piccolo, con la nonna troglodita, con la mamma, soprattutto, rompicoglioni nata.
Veste, sette giorni su sette, o quasi, con i jeans strappati, sopra ci mette una improbabile gonnellina a balze leggera di taffetà. La t-shirt è di quelle scollate sul seno già pieno e turgido, su questa la polo blu dei Lakers con la cerniera mezza aperta, ma sempre, proprio sempre, porta attorno al collo la kefiah a scacchi. I capelli, di un bel castano, li tiene lisci, più lunghi da un lato e c’è quando passano dei giorni senza lavarli: lo fa apposta, così per non sembrare troppo curata; esce solo di sabato sera con la comitiva di via Sardegna e con loro ci va per lo più in discoteca; ha preso a fumare da quest’estate e soprattutto - manco se mi ci tiri per i capelli - non mette piede in chiesa da più di un anno.
E’ il primo pomeriggio e Desirè è sola. Sola nella sua stanza. Sta pensando che le dispiace tanto ammetterlo, ma quella pallosa di psicologa che ha sentito in Aula Magna lo scorso mese aveva detto giusto e a un certo punto, tra una menata e l’altra, aveva ficcato dritto dritto il dito nella piaga: “…nella fase puberale si passa rapidamente e senza che ve ne accorgiate dall’euforia alla depressione; dall’allegria alla disperazione più nera…spesso ci si chiude in se stessi e si odia il mondo che vi circonda con ogni forza, come se chi vi sta vicino, i vostri familiari stessi, fossero il limite, il carcere che dovete spezzare per uscire dalla vostra condizione…e comunque la cosa che caratterizza meglio l’adolescenza, il vero problema di questa età è il non sapere bene chi o che cosa si è.”
Cazzo, ma come fa a sapere queste cose quella? Ci ha proprio beccato! Ma chi glielo ha detto?
Si guardava allo specchio e diceva a se stessa: Allora dunque…io mi chiamo Desirè, ho tredici anni, ma dicono tutti che ne dimostro sedici; faccio la terza media, sto a Palermo, mi piacciono Fabri Fibra, Jovanotti e le Camel, odio la mate e storia e a messa non ci vado mai…
Vabbè e poi? Chi sono io…chi sono…chi ? che posto ho nel mondo ? mi ricordo più o meno cosa ero due anni fa, cosa mi piaceva, ma ora è tutto confuso nella nebbia, lontano, non mi appartiene…devo uscire, sfondare questo guscio, questo buio…però sarebbe bello ogni tanto tornare a desiderare solo di giocare in cucina con la barbie, con mamma che fa da mangiare e papà che legge nello studio; come mi sentivo tranquilla, sicura, il mondo tutto lì… ora ho paura, ho paura di tutto e sono sola, troppo sola…
Desirè è ora davanti al monitor: ha aperto la home page della sua chat room preferita.
- Ciao Vale, sono Desy… come butta?
- Come al solito…pomeriggio di merda a preparare greco
- E’ palloso il classico vero?
- Non ne hai idea…vedrai un altr’anno
- Col cazzo che mi ci iscrivo…io non faccio certo tutto quello che desidera mammina
- Sei ancora una topina…cresci un po’!
- Parla la donna matura di sedici anni…Però,Vale, oggi sono ancora in paranoia, di quella brutta.
- E’ il solito tuo problema…devi crescere, crescerai prima o dopo e poi ti passa tutto…vedrai.
- Si Vale, ma io sto male. Non so come fare…guarda il problema poi è uno solo quello grande…è che, lo sai cos’è, ecco non so davvero chi sono io, capisci?
- Senti Desy non rompere ancora le palle con sta cosa…adesso è ora di finirla con questa fissa, sennò scleri! Perciò drizza le orecchie e ascoltami bene: è solo questione di stare buona buona e aspettare di crescere e poi, se vuoi, c’è un segreto…
- Quale Vale, ti prego?
- Se adesso non sai bene chi sei, non agitarti tanto, rimani immobile, in ascolto, non muoverti, guarda il mondo impassibile con occhio fermo e i sensi in ascolto e una bella mattina ti sveglierai, aprirai la porta, uscirai e senza accorgertene, in un momento inatteso, sarà il mondo che ti dirà chi sei tu.
Forte no, è un passaggio di un libro di psicologia dell’età evolutiva che ha in casa mio padre…
- Desy… ci sei ancora?
Dall’altra parte del web Desy non c’era più.
Sono le dieci e mezza di un martedì sera. Orario e giorno della settimana del tutto anomali per stare fuori tutta da sola. E per di più in una zona della città un po’ pericolosa a quell’ora, almeno così ti hanno detto.
Dopo quello scambio d’idee conVale hai deciso di prendere in mano la situazione, di fare di testa tua. Hai preso al volo il montgomery verde, hai lasciato lo stereo acceso - così pensano che sono ancora chiusa in camera - e te la sei squagliata: è andata liscia come l’olio, nessuno può averti visto.
Una cosa almeno lo capisco, porca vacca, i problemi sono i miei, e allora me li devo risolvere io da sola, forse è così che si comincia a crescere.
Vale ha ragione; farò come dice lei.
E per questo allora che hai fatto sparire i jeans d’ordinanza e, la polo blu da sotto il montgomery. Finalmente la gonnellina a balze trasparente manifesta prepotentemente la sua esistenza, come un’apparizione, mentre dallo scollo della maglietta il generoso solco tra i seni rivendica anche lui la sospirata visibilità.
Le opache luci di via Libertà si illanguidiscono nelle pozze fresche di pioggia sul basolato. Una folata di umido maestrale ti scompiglia i capelli coprendoti parzialmente il viso. Nel pugno della sinistra dentro la tasca del giaccone stringi nervosamente il cellulare spento.
Mentre passi davanti all’austerità del colonnato del Palchetto della Musica, senti di essere già divenuta un’altra: cominci a essere una donna forse…forse.
A quest’ora fuori, da sola, così lontana da casa in questo posto e non ho paura. Stordita, confusa, ma non spaventata. Non so perché sono qui, ma sto aspettando, con calma, in attesa, capirò…
Attraversi la strada e riconosci davanti a te qualcosa che ricordi di avere visto la primavera scorsa con la prof. di disegno: è il chioschetto Ribaudo. D’improvviso ti viene in mente che può essere una buona idea andare a comprarci un pacchetto di Camel.
Ti godi i fantasiosi mosaici e le capricciose volute del chioschetto con un gusto tutto nuovo, sorprendente, aspiri profondamente il fumo della sigaretta e chiudi gli occhi. Felice. Per la semplice ragione che sei lì da sola, per tua scelta, senza nessuno che ti abbia comandato di farlo, senza dover dar conto a niente e a nessuno, padrona dei tuoi passi, del tuo respiro, del tuo sguardo, del tuo fumo.
Le vetrine di via Ruggero Settimo offrono vestiti e scarpe con malinconica eleganza.
Ti pare di vederle per la prima volta, di farle tue e a guardarle senti un misto di distacco e adulta condiscendenza verso i tuoi stessi sensi.
Poi guidata da un demone ignoto, o meglio dal misterioso fluire di una musica, di una armonia nuova e inebriante ti fermi sul ciglio della strada. La punta degli stivaletti oscilla su e giù tra l’asfalto e il rialzo del marciapiede; il corpo indolente asseconda puerilmente il movimento. I tuoi occhi sono ancora una volta socchiusi, ma dentro sorridi: si vede dall’espressione soddisfatta delle labbra allungate. Il giaccone semi aperto lascia intravedere lo svolazzo dei plissè e il candore puro della scollatura.
E aspetti.
Capirai…
Saprai…
- Senti…che fa lo facciamo un giretto insieme?
- Cosa? Che dici?
- Che dico? Non stavi aspettando ?…Minchia, sei là apposta ad aspettare.
Quello che sei che ce l’hai stampato in faccia? E mi pigli pure per fesso! Sali va !
Desy aprì di botto gli occhi, tirò su la testa. La luna piena era appena uscita da una grossa nuvola grigia.
Ora so chi sono, si disse.
E salì in macchina.
Feltre 31/12/10
Enzo Barone
data la terribile cronaca nazionale che ci circonda, hai toccato un nervo scoperto...
RispondiEliminaguido