martedì 29 marzo 2011

Se possiamo noi, anche gli altri possono...

di Enzo Barone 
E’ sabato mattina e all’interno di un evento culturale assisto ad un concerto di alcuni bimbi di una scuola elementare del centro.
Sono i figli di un quartiere difficile, socialmente, economicamente, culturalmente. Un quartiere ampiamente multietnico, dove un pugno di eccellenti maestre danno l’anima – e il corpo forse – per tirare su decentemente i ragazzini e tenerli occupati per la maggior parte del tempo possibile in attività educative.
Giacchè l’evento culturale cade nella ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia, a coronamento di melodie a tema risorgimentale, i bimbi immancabilmente intonano l’inno nazionale.
Partono stentorei gli squilli di tromba e i rulli di tamburi: il piccolo pubblico di genitori, compagnetti e insegnanti, che gremisce fitto fitto i pochi posti del teatro, si alza uno dopo l’altro in piedi e canta con partecipazione e passione insieme ai bimbi. Anche i visitatori del teatro si fermano e prendono a cantare.
Non riesco a trattenere la commozione.
Questa qui è l’Italia. Tutto qui e solo qui il senso di questa povera, martoriata ricorrenza: i bimbi bianchi e neri che cantano e suonano fieri, la gente che partecipa con amore per i bimbi, per la loro scuola, per la loro famiglia, la famiglia di tutti, che si chiama Italia.
Sento, e non mi vergogno di sentirlo, un orgoglio atavico, duro a morire, nell’essere italiano, nonostante tutto.
Mi viene da pensare agli scritti di meridionalisti antichi e contemporanei, sempre più numerosi e puntuali, soprattutto alla pubblicazione dolente di Pino Aprile. Penso all’unificazione per quello che è stata, una guerra di occupazione colonialista, penso alla devastazione, al dolore, al sangue, alle truffe, ai brogli dei plebisciti, ai massacri dei briganti e dei loro villaggi, all’annullamento dell’economia e forse dell’identità dei popoli del Sud Italia.
Ma guardo quei bambini, quei genitori, la gente lì per caso e so che noi al sud abbiamo perdonato.
Nonostante tutto il passato e soprattutto il presente, ci commoviamo ancora pensandoci italiani, credendoci italiani; amiamo esserlo in fondo al cuore, forse lo siamo. E perdoniamo, abbiamo perdonato.
E immediatamente la mente corre al nord, alla Lega. Alla difficoltà di quella gente, di tanta gente del nord a pensarsi italiani, ad amare questa idea. Alle chiusure verso i meridionali, alle ragioni del portafogli, alle fobie di integrità territoriale, ai timori veterocristiani verso le altre fedi, gli altri mondi culturali. Ai torti che giù al Nord lamentano di avere subito.
Loro i “piemontesi”, i colonialisti, i vincenti di questa storia.
E dico, se possiamo perdonare noi, allora anche gli altri possono.

2 commenti:

  1. interessanti puntualizzazioni, sulla linea del pezzo di alfonso... io penso di vivere una dimensione più cosmopolita (da "cittadino del mondo"), ma non rinnego le radici che mi portano, quindi plaudo al tuo invito a una "conciliazione" generale
    guido

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  2. Hai centrato il punto. La matrice unitaria non è fantasiosa ma reale. Discutibili sono le modalità che hanno determinato l'Italia unita. Bisogna però proiettarci oltre e guardare al futuro.
    Salvo Barone

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