lunedì 14 marzo 2011

Da Gramsci a Sanguineti: riflessione sull'impegno nel 'collettivo'


di Francesca Saieva
(foto by Francesca Saieva)
Era il 29 gennaio 1916 quando ne “Il Grido del Popolo” Antonio Gramsci scriveva: “[...] distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina a un ideale.” (A. Gramsci, Scritti scelti, BUR, 2007). Niente di più anacronistico, diremmo, per questa nostra epoca così disattenta agli ideali, alla collettività, svuotata di senso storico e ideologico. Eppure già ai tempi di Solone (secondo lettura vichiana) sembra che, sollecitati dallo stesso, i plebei avessero compreso di essere d’ugual natura coi nobili e uguagliati in civil diritto. Viene da chiedersi, cos’è successo allora nel corso di questi secoli? La storia sembra dunque aver fallito il suo compito? Quale il contributo della cultura?
Partendo dal presupposto che, per una certa corrente di pensiero, la cultura sia “organizzazione, disciplina del proprio io interiore”, finalizzato a cogliere il “proprio valore storico, propri diritti e doveri” (Gramsci), non possiamo trascurare il legame cultura/società; piuttosto puntare sul potere quasi ‘salvifico’ della cultura in termini socio-relazionali. La cultura è dell’uomo e parla all’uomo, al suo essere soggetto plurale, ne investe la sfera privata e pubblica. In fondo non esiste cultura che non sia anche storia, ecco perché credo sia affidato all’umanità (e quindi a ciascuno di noi) un grande compito, quello di fare la storia e di trasformarla.
Che il discorso stia prendendo una piega ‘materialistica’?. E se gli Arbeiter (per tradizione storica “classe operaia”) di Marx continuassero a esistere? Rispondo con leggero sarcasmo a questa domanda. Forse, sulla base del forte tasso di disoccupazione che ha investito il nostro Paese, corriamo anche il rischio di una totale assenza della ‘classe dei lavoratori’ (se in troppi sono espulsi dal mercato del lavoro), sottolineando che gli Arbeiter oggi hanno un’altra identità di appartenenza, non sono solo gli operai se non comunque gli ‘sfruttati’, e che il riferimento piuttosto, riguarda tutti, singoli cittadini inglobati in un sistema/società che dovrebbe garantire e tutelare (invece di opprimere e mortificare quotidianamente la dignità della persona) dal punto di vista politico-economico, nonché etico.
È richiesto dunque un rinnovamento politico, un cambiamento attento e critico nei confronti del qui e dell’ora, nel tentativo di frenare, quanto meno ridurre, la scalata della Casta.
‘Gramscianamente’ mi piace ricordare il ruolo che gli intellettuali possono avere all’interno di un progetto politico supportato dalla riscoperta dell’Ideologia, e dalla consapevolezza di quanto la cultura ne sia influenzata. Creare coscienze operative può essere, dunque, lo scopo di e per un ritorno al materialismo storico, sempre che questo sia ancora possibile.
Di tale avviso sembra essere stato un grande poeta-scrittore contemporaneo scomparso da poco meno di un anno, Edoardo Sanguineti, che ci ha regalato una delle opere più sperimentali, per linguaggio e contenuto, del ‘900, Laborintus (noi les objets à réaction poétique/ riportiamo un linguaggio a un senso morale, sez.4, vv16-17; cit. da E.Risso, Laborintus di Sanguineti, Manni, 2006). Lo studioso è attento alla disgregazione dell’io, del soggetto persona nell’età neocapitalista, quale “corpo a pezzi […] emblema – scrive Rissodell’autodistruzione dell’uomo nell’era atomica”, succube di un’era globale, di sistemi massificati in cui l’uomo è solo un montaggio d’organi, alienato nel suo essere merce.
Interessato ai risvolti dialettici dell’uomo in relazione (ambiente-natura-storia), sulla scia di Marx, Gramsci e Benjamin, Sanguineti crede nell’impegno politico, in una un’ideologia positiva, che si oppone a ogni falsa coscienza e che spiegherebbe il contenuto del suo saggio Come si diventa materialisti storici?. Sull’impegno politico e civico, e a cui ogni uomo dovrebbe auspicare per sé e per il bene della collettività, così si esprime Sanguineti: “Se io dovessi oggi dire che cosa dovrebbe fare un politico di sinistra […] vorrei che attuasse la Costituzione; […] attuare i principi costituzionali. Garantire che questa sia una Repubblica fondata sul lavoro, cioè fatta da lavoratori, per cui un lavoratore e cittadino formano una cosa sola, per cui si ha diritto alla salute in quanto cittadino, si ha diritto alla scuola senza spese per lo Stato, in base alla Costituzione”(E. Sanguineti, Come si diventa materialisti storici?, Manni, 2006).
E il pensiero si fa praxis, perché finalità di ogni dire concreto deve essere il fare, il distruggere per creare, soprattutto sulla base di quei rapporti definiti da Gramsci invisibili e impalpabili, ma che si nascondono tra le cose materiali, e per questo ugualmente ‘visibili’.
Una lettura della realtà fattuale è dunque possibile al risveglio delle coscienze e alla volontà di operare, grazie anche a ‘battaglie culturali’ che hanno da millenni attestato la dimensione sociale dell’arte. Perché la comunicazione sia concreta là dove possano ancora pensarsi, come possibili, – secondo Adorno - rapporti solidali nella sofferenza.

2 commenti:

  1. Interessante l'identificazione dell'umanità nel "Arbeiter"...
    Posso solo dare un contributo molto personale, soggettivo, poiché non mi piace la politica anche se seguo sani principi che mi portano a considerare l'egemonia un danno.
    Non dovrebbe esserci una destra, una sinistra e neppure un centro...
    Dovrebbe esservi una conviviale condivisione tra le genti: iniziando dal piccolo nucleo del sé, allargato alla famiglia, al paese ecc.
    Ma molte volte, parlando di "materialismo", già si incespica nell'egocentrismo di chi pensa solo ed unicamente a se stesso senza preoccuparsi neppure del proprio fratello... e non parlo di "simili" [nell'accezione di Esseri umani].
    In effetti, nella "Praxis" del pensiero che diventa azione, ecco che ogni individuo [homo sapiens sapiens] pensa dapprima al suo benessere. Certamente ci sono persone che poi includono la preoccupazione della propria famiglia, in meno percepiranno il sentimento di solidarietà verso i meno abbienti del loro paese, ancora in meno che si preoccuperanno del resto della società nella quale vivono... su su per poi conglobare tutta l'umanità.
    Ci sono gli idealisti, i sognatori (ed io mi definisco una di loro) che hanno e segneranno la storia...
    E se questi "rapporti solidali nella sofferenza" fossero sufficientemente tangibili, non potrebbe anche esservi un mondo migliore?
    Ciò che frega l'Homo sapiens [poco sapiens] è che a differenza delle razze inferiori, come ingiustamente vengono definiti gli animali, noi generiamo l'egoistico sentimento di attaccamento materiale.
    Certamente non da confondere con l'impulso di sopravvivenza...
    Ti porto un esempio molto infantile: se un topolino raccoglie le noccioline e semiglie e le mette nella sua tana per sfamarsi in inverno, il paradosso dell'umanità è quello unicamente immagazzinare ricchezze... che però non hanno l'utilità di sfamarci nella stagione invernale.
    Lo fa per avidità. Per egoismo ed irriverente diniego di chi invece muore per mancanza d'acqua!

    Alla luce della catastrofe in Giappone, mi sento ancora più fragile in questa mia natura umana...
    Sono sempre più convinta che davvero solo con in risveglio della coscienza [per me intesa come realizzazione della nostra vera natura spirituale] le cose potranno cambiare su questo pianeta....
    Perdona, cara Francesca, questa mia intromissione da non addetta ai lavori.
    Serenità :-)claudine

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  2. Molto interessante e, benchè il tuo sia un taglio strutturalmente e linguisticamente interamente filosofico,lo trovo più assimilabile di altri tuoi scritti.
    Vi si percepisce una buona levatura culturale-intellettuale.
    Attendo però con ansia anche quello che ti chiesi giorni addietro.
    Con stima.
    Enzo

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