di Fonso Genchi
In questo periodo in cui si celebra il 150° anniversario dell'Unità d'Italia - non so se ci avete fatto caso - non si menzionano mai, o quasi, i famosi "plebisciti". Eppure l'unificazione italiana è stata legittimata e sancita proprio in seguito a questi plebisciti che si sono susseguiti dal 1859 al 1870.
Allora, come mai vengono praticamente ignorati?
Una ragione c'è.
Prima, però, c'è da dire che i plebisciti avevano una finalità ben precisa, che non era certamente quella di dare al popolo la possibilità di scegliere se annettere o meno il proprio stato al Regno di Sardegna (prima del 1861) e al Regno d'Italia (dopo il 1861).
La finalità dei plebisciti era quella di cancellare dalla storia l'invasione militare da parte del Regno Sabaudo, cosiddetto di Sardegna (in realtà, Piemonte): alla storia sarebbe passata, invece, la volontà del popolo di creare l'Italia; fatto certamente più adeguato a essere ricordato come fondamento della nascita di un paese e ad essere accettato dalla comunità internazionale; la conquista sabauda doveva apparire frutto del diritto.
Ma torniamo alle ragioni per cui i plebisciti sembrano essere i grandi assenti di queste celebrazioni. Certamente il fatto che ne siano stati fatti tanti e in periodi diversi, contribuisce a che non siano facilmente "celebrabili". Ma la vera ragione di questa latitanza dei plebisciti nelle attuali celebrazioni è dovuta essenzialmente a un certo pudore, una certa vergogna che si ha nel parlarne e che scaturisce dalla loro vera natura, dalle reali modalità in cui si svolsero.
Infatti, non si esagera se si dice che furono una vera e propria messa in scena, una farsa, una truffa.
Essi si svolsero senza alcuna tutela della segretezza del voto: quasi sempre si dovette votare prendendo, sotto gli sguardi e... le baionette dei soldati piemontesi, la scheda pre-votata da uno dei due mucchi - quello delle schede del "SI" o quello delle schede del "NO" (di diverso colore) - e mettendola nell'urna relativa al "SI" o al "NO". Già soltanto per questa ragione si possono ritenere falsati.
Ma vi fu molto di più... «Ci eravamo fatti rimettere i registri delle parrocchie per formare le liste degli elettori. Preparammo tutte le schede per le elezioni dei parlamenti locali, come più tardi pel voto dell’annessione. Un picciol numero di elettori si presentarono a prendervi parte: ma, al momento della chiusura delle urne, vi gittavamo le schede, naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti».
Queste dichiarazioni si possono leggere nel Memoriale di Filippo Curletti, capo della polizia politica e molto vicino al Cavour, a proposito delle votazioni del Plebiscito nella città di Modena.
Il Curletti prosegue: «In alcuni collegi, questa introduzione in massa, nelle urne, degli assenti, - chiamavamo ciò completare la votazione - si fece con sì poco riguardo che lo spoglio dello scrutinio dette un numero maggiore di votanti che di elettori inscritti». Infine, seppur non da testimone diretto, nel suo Memoriale ci informa anche sui "brogli" in altri luoghi di cui era a conoscenza: «Per quel che riguarda Modena, posso parlarne con cognizione di causa, poiché tutto si fece sotto i miei occhi e sotto la mia direzione. D’altronde le cose non avvennero diversamente a Parma ed a Firenze».
D'altronde i risultati furono, come li definiremmo oggi, di stampo "bulgaro", con maggioranze schiaccianti. In Veneto, ad esempio, i SI furono 647.436 e i NO soltanto 62... (in Sicilia: 432.053 SI e 667 NO; il 99,85% contro lo 0,15%...).
Dove, chissà per quale ragione (inettitudine dei funzionari piemontesi? Elevato coraggio della popolazione locale?), il risultato fu avverso all'annessione (per esempio a Poggio Imperiale, in Puglia, dove, su 278 votanti, vi furono 72 SI e 206 NO), presto si scatenarono le ritorsioni e l'occupazione militare dei luoghi.
Eppure il Re Vittorio Emanuele II, con molta ipocrisia, ebbe a dire nell'ottobre del 1860, preannunciando gli imminenti plebisciti nell'ex Regno delle Due Sicilie nel suo manifesto "Ai Popoli dell'Italia Meridionale": «Le mie truppe si avanzano fra voi per raffermare l’ordine: Io non vengo ad imporvi la mia volontà, ma a fare rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla: la Provvidenza, che protegge le cause giuste, ispirerà il voto che deporrete nell’urna».
La stessa ipocrisia traspare ancora oggi dalle lapidi e dalle insegne di quelle piazze e quelle vie dedicate al "Plebiscito". Oramai, pare, siamo abbastanza maturi da vergognarci di queste pseudo consultazioni popolari tanto da non menzionarle in questo anno di celebrazioni; forse, quindi, potremmo pure provvedere a cambiare nome a queste piazze e a queste vie...
A Napoli potrebbero cambiare piazza plebiscito in piazza Diego Armando Maradona? Chissà che in tempi di 3° scudetto ciò non divenga possibile.
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