di Francesco Scrima
“E’ strano
però che l’uomo
spenda miracoli d’intelligenza
per fare che sia
del tutto inutile
l’individuo”
(E. Montale – Altri versi)
I
Quella notte, sognò un Algoritmo. Era lì,
davanti a lui, immobile e sorridente.
Lo guardava con intensità, con l’aria
beffarda di chi sa d’incutere timore e di avere un potere perverso, quello di
decidere della vita altrui.
L’inizio di quella giornata era stata delle
più normali, quasi banale.
Si sentiva bene, la pressione a livelli
ottimali, la frequenza cardiaca regolare, l’umore sopra la media. Scese le
scale di casa e uscì per strada con slancio, il sorriso sulle labbra, il cuore
disponibile ai rapporti sociali.
Ci furono segni negativi di cui non si
avvide? Infausti presagi vollero metterlo in guardia su quello che lo
attendeva? Non è dato saperlo.
Era sereno, e ciò bastava.
II
Il tram che lo avrebbe portato a scuola era
pieno. Giovani con cuffiette d’ordinanza alle orecchie e/o iphone a ipnotizzare gli occhi impastati ancora di sonno occupavano
tutti i posti a sedere disponibili; gli adulti se ne stavano in piedi,
aggrappati alle maniglie poggiamano, con la muscolatura traballante ai sobbalzi
della vettura e le orecchie inquiete ad ogni metallico stridore di freni.
Lui pensava, quieto.
Pensava a varie cose, come, per esempio, al
fatto che qualche vettura in più, in quell’orario mattutino, avrebbe evitato
quel disagio da sovraffollamento. Gli avevano detto che un algoritmo regolava
orari delle corse, numero di vetture necessarie, fra giorni festivi e feriali,
corse notturne e diurne, coincidenze fra tram, autobus e metro.
Non capiva. Cosa poteva saperne,
l’algoritmo, di sovraffollamento o di rischi di borseggio? cosa di ritardi al
posto di lavoro o a scuola?
Pensava che un ristorante di nuova apertura
avrebbe cucinato e predisposto i coperti e il personale in sala solo dopo aver
sperimentato le caratteristiche del quartiere di ubicazione, l’affluenza nei
vari orari, i gusti gastronomici palesati dagli avventori nei primi giorni;
pensava anche che nessuna brava massaia si affiderebbe ad un algoritmo per
regolamentare l’economia domestica.
E poi, che c’entrava quel nome?
Abituato com’era a far derivare tutte le
parole che gli servivano – che gli erano care – dalle lingue classiche, non
riusciva a comprendere il perché di quel “dolore”, e l’accoppiamento di una
“frequenza ritmica” al “desiderio di soffrire”. La “cadenza della sofferenza”?
Era una congettura avventurosa, e chissà invece da dove derivava davvero quella
parola così minacciosa, così scivolosa, così…
Affrettò il passo, appena sceso dal tram,
per essere a scuola in orario. Odiava poter arrivare in ritardo anche solo di
pochi minuti.
III
La prima cosa che vide fu una siepe di corpi
davanti alla bacheca lignea della sala professori. Erano i suoi colleghi.
Cos’era successo? Lo capì subito, appena
anche lui diede un’occhiata all’orario definitivo. Lesse una babele di ore, di
classi, di buchi che si aprivano sempre più grandi, voragini bianche nel nero
dell’inchiostro stampato, fino ad inghiottire tutto – alunni, insegnanti,
edificio scolastico. Tutto.
Non c’era un solo collega che non si
lamentasse del proprio orario. E di chi era la colpa di quell’obbrobrio? Di un
algoritmo, ovviamente.
Avvilito, s’avviò in classe, intuendo che
per quel giorno serenità e buonumore erano scivolati via dal suo animo.
IV
Prima di tornare a casa, fece un salto in
banca, dove non entrava mai per ragioni ideologico-logistiche, perché una mail
di qualche giorno prima lo aveva convocato (quasi) urgentemente.
“Che sarà mai?”, si era chiesto. “Avrò
toccato il fondo del conto corrente oppure sarò premiato per lo scarso disturbo
che reco al lavoro dei dipendenti?
Niente di tutto questo. Il direttore lo informò,
dopo lunga e noiosa attesa, che da qualche settimana un algoritmo, predisposto
dalla sede centrale, regolava il suo rapporto con la banca: il conto, gli
interessi, tutte le operazioni, ogni singolo numero erano stati affidati a
quell’algoritmo. E che stesse tranquillo: erano in buone mani.
Rientrò a casa pensieroso e bagnato. Un
improvviso acquazzone lo aveva sorpreso appena sceso dal tram – giusto 300
metri dal portone del suo palazzo – e lui era uscito senza ombrello né
impermeabile; e certo: splendeva il sole già alle 7 del mattino!
Tutte
le previsioni meteorologiche che aveva consultato il giorno prima avevano
infatti parlato di sole, cielo azzurro, alta pressione, basso tasso d’umidità.
E che cavolo! Su quale algoritmo era stato regolato il satellite?
V
Pomeriggio e sera volarono d’un soffio.
Corresse compiti, preparò lezioni, studiò e
lesse i suoi autori più amati, ma niente, non riusciva a concentrarsi. Eppure
non c’era nulla che lo turbasse veramente, nessun pensiero, nessuna ansia,
nessun dolore passato o recente occupavano la sua mente. Eppure…
Andò a letto in quello stato.
VI
E così lo vide.
Era enorme, opalescente, pletorico. E
sorrideva d’un ghigno feroce.
Lui si chiese, dapprima, che ci facesse lì,
nel suo sogno. E poi se ce l’avesse proprio con lui. Glielo chiese, anzi: -
Perché mi guardi così fissamente? Ce l’hai con me?
L’Algoritmo mutò quel sorriso ebete in una
risata sonora.
-
Non
so neppure chi tu sia – disse. – Perché dovrei avercela con te?
-
E
che vuoi, allora?
-
Io
non voglio niente! Sono gli altri, semmai, a volere sempre qualcosa da me…Mi
chiedono la soluzione a tutti i loro problemi, la formula giusta per risolvere
ogni situazione difficile…Sono un dio, io, per tutti voi!
-
Ma
io non ti ho chiesto nulla, non voglio nulla da te…Sparisci, se puoi, dalla mia
vita! Lasciami sbagliare per conto mio!
Urlava, adesso, e doveva essere paonazzo per quello sfogo, e ancor più
perché l’Algoritmo se la rideva a crepapelle, fino a scoppiare.
Allora afferrò una pietra che, chissà come, aveva nella tasca dei
pantaloni; prese la mira e tirò con tutta la forza che il sogno gli permetteva.
Sentì un fragore, come di vetri che esplodano, di pneumatici che scoppino, di
cuori che si spezzino…ma ad infrangersi fu solo il suo sogno e, con quello,
l’incubo che gli aveva rivelato un’angoscia mai provata prima: quella di
sentirsi deriso, più che offeso, inutile, più che inerme.
Si svegliò incerto se ridere o piangere. Aveva voglia di alzarsi, di
bere un bicchiere d’acqua fresca, di spalancare le persiane ai raggi del sole,
di guardare fuori dalle finestre e gioire della semplicità della vita.
Guardò le sue mani. Erano lì, davanti ai suoi occhi, forti e capaci di
conquistare il mondo, di carezzare il volto di una donna o i capelli d’un
bambino, di stringere altre mani, di salutare da lontano; capaci e forti,
anche, di trascrivere tutte le poesie di tutti i poeti d’ogni epoca, di ogni
parte del mondo.
E per fare tutto ciò, pensò, non c’era bisogno di nessun algoritmo.
E questo pensiero, infine, lo rese tranquillo e lo rappacificò con la
vita.
MOLTO BELLA. BRAVO FRANCESCO
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