di Enzo Barone
Qualche giorno fa si parlava con un caro amico della legge
sull’omofobia che è in discussione in parlamento.
La sua posizione era più o meno questa (mi contesti pure
l’amico, se mi allontano troppo dal vero): le lotte, le battaglie civili in cui
le associazioni e i singoli omosessuali si stanno impegnando
stanno travalicando i limiti che portano all’ottenimento dei
diritti negati, all’equiparazione in tutto di omosessuali e eterosessuali;
adesso anzi si rischierebbe, magari con l’ottenimento prossimo venturo di
matrimoni, adozioni legittimate e l’approvazione della suddetta legge
sull’omofobia, liberticida verso chi non la pensa come i gay, ad un paradossale
capovolgimento dei termini della questione.
Ad una discriminazione cioè anche del pensiero dissidente dei non-omosessuali, qualora questi volessero esprimere o manifestare pubblicamente opinioni e morali in contrasto con pratiche, nuove leggi, scelte di vita che appartengono ad un ormai consolidato establishment gay internazionale.
Tutto ciò, insisteva l’amico, a causa appunto del potere
della lobby gay, il cui peso culturale ed anche finanziario in Italia e nel
mondo condizionerebbe scelte sociali e politiche di moltissimi paesi, oltrepassando
di molto il tradizionale campo delle tematiche della tolleranza e della
inclusione sociale.
Per onestà e completezza di pensiero premetto che alcune
delle considerazioni del mio interlocutore non sono peregrine.
E’ il sistema di pensiero che contesto però.
A ben pensare quella dei diritti negati e da riconoscere per
via giuridica alle persone omosessuali è certamente una delle grandi tematiche
morali e civili degli anni duemila, per molti progressisti una delle ultime
grandi battaglie civili da combattere.
Un po’ come - fatti i debiti distinguo e con la massima
cautela – lo è stata nel novecento ed ancora è la grande questione degli ebrei in
occidente e conseguentemente l’antisemitismo degli ultimi due secoli.
E, non volendo in questa sede fare riferimento alle dottrine
che stavano dietro alle mostruose operazioni di sterminio degli ebrei da parte
di alcuni regimi, anche per quanto riguarda il mondo ebraico spesso si parla da
parecchi decenni del suo potere finanziario internazionale, della sua influenza
nel campo della cultura, della sua capacità di condizionare le scelte di alcune
grandi nazioni e spesso si sono disciplinati tutti questi complessi aspetti della
questione sotto la rappresentazione di una struttura lobbistica, la lobby
ebraica appunto nel mondo. Senza per questo volere, in molti casi, nutrire alcun
sentimento di reale antisemitismo da parte di chi facesse queste
considerazioni.
Ma tornando a serrare strettamente le trame del discorso
iniziato, che forza e contamina due cose ben diverse in modo improprio, spurio
probabilmente, il confronto può in ultimo tornare utile.
Perché in effetti, più ci si pensa, più purtroppo i punti di
contatto tra i due temi emergono con contorni abbastanza netti.
Perché se in buona parte è vero che queste due entità in
effetti negli ultimi decenni si sono configurate in certi casi come entità con
caratteri certamente lobbistici, - con tutti gli effetti che una pratica
lobbistica comporta - allo stesso tempo è necessario chiedersi quali siano le
vere cause che hanno prodotto le cosiddette lobby.
Domandiamoci una cosa. Domandiamoci cioè quando e perché (in questi
due casi almeno) si origina l’idea di una forma di organizzazione di questo
genere, potente, influente e coesa contro il mondo esterno.
Sicuramente quando in un contesto storico-sociale, come
quello occidentale almeno, indirizzato irreversibilmente verso l’affermazione
dei diritti di cittadinanza egualitaria diffusa e tendenzialmente universale, contro
comunità minoritarie, ma non minime come quella degli omosessuali e quella
giudaica, viene invece ancora esercitata una pressione discriminatoria,
intollerante, ottusa e violenta, mossa da un mix di sporche ragioni materiali e
paure irrazionali, da fanatismi religiosi e timori di un ordine sociale da
conservare.
Gli ebrei probabilmente diventano senza saperlo una
“lobby”già nel medioevo, quando a loro viene preclusa nei paesi europei ogni
altra mansione, tranne quella ritenuta peccaminosa dai cattolici di presta
denaro o cambiavalute, quando vengono espulsi o reclusi nei ghetti, quando non
vengono amabilmente massacrati per sviare la pressione sociale in momenti di
grandi crisi; gli omosessuali più recentemente cominciano a diventare comunità
coesa, lobby appunto, per reazione quando, soprattutto dai primi del novecento vengono
analogamente additati al pubblico ludibrio, discriminati, se non talvolta incarcerati
e internati, da regimi più o meno anti democratici oppure vessati, oppressi in
modo palese o occulto in molte società del cosiddetto mondo libero.
E verrebbe voglia di fare contaminazioni ancora più larghe e
improprie: chi ha creato da un giorno all’altro la questione palestinese,
quella irachena, quella afghana, con le conseguenti lobby internazionali, più o
meno potenti, più o meno pervasive? Sono nate dal nulla per pura volontà di
potere o è la necessità, l’essere stati stretti in un angolo ad avere generato
i mostri?
Chi genera allora le lobby?
A cosa reagiscono con la loro chiusa coesione, la loro
durezza, la forza della loro minoritarietà ? Perché infine in certi casi
sconfinano a loro volta in una paradossale intolleranza del pensiero diverso dal
loro, nell’ipercorrettismo etico?
E questo che dovremmo chiederci in primis quando giudichiamo
e condanniamo queste problematiche minoranze, pensandole in termini di lobby.
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