mercoledì 5 giugno 2013

Il welfare state nei Paesi scandinavi: tramonto o rinnovamento?

di Valentina Sechi

I recenti episodi di violenza registrati nella capitale svedese forniscono un utile spunto per evidenziare un aspetto della crisi economica mondiale sul quale finora non si era riflettuto: il suo impatto sui paesi scandinavi alla luce del peculiare sistema sul quale essi si reggono.
Prima di ripercorrere gli ultimi avvenimenti, appare necessario ricordare brevemente su quali capisaldi si regge il loro welfare state. Si tratta di un modello che intende prendersi cura del cittadino "dalla culla alla tomba" attraverso : assistenza sanitaria per tutti, diritto gratuito all’istruzione, elevata spesa pubblica per stipendi e altri redditi di trasferimento, politiche volte alla piena occupazione e alla formazione, bassa regolamentazione del mercato, assenza di barriere all’imprenditoria, sindacati forti.

Di fronte ai recenti episodi di guerriglia urbana occorre fare un passo indietro e riflettere sul modello multiculturale e la politica migratoria di cui questi Paesi hanno fatto la propria bandiera.
Il 13 maggio a Stoccolma, nel quartiere di Husby, abitato in prevalenza da immigrati, la polizia ha ucciso un sessantanovenne che brandiva un machete contro i poliziotti. In reazione a ciò, è scoppiata una violenta protesta guidata dai giovani immigrati che esprimono la propria rabbia nei confronti di un Paese che non garantisce loro lavoro e opportunità pari a quelle degli autoctoni incendiando auto ed edifici e scagliandosi contro gli agenti. Tale protesta si è inseguito allargata altre città come Oerebro, Linkoepingi e si teme episodi analoghi possano verificarsi in Norvegia e Danimarca.

Una prima riflessione non può prescindere da considerazioni relative al tenore di vita degli immigrati di I e II generazione. Essi si stabiliscono in aree abitate da altri immigrati creando delle riproduzioni in miniatura dei luoghi di origine, preservando le abitudini e i rituali che garantiscono alle nuove generazioni l’apprendimento dei schemi culturali tipici del Paese d’origine. Nonostante sussidi, alloggio a prezzi agevolati, insegnamento gratuito della lingua, servizi sanitari anche per i figli di immigrati irregolari, l’integrazione di questi segmenti di popolazione è monca. Essi si sentono dimenticati dalla politica e dalla società, esclusi dalla possibilità di costruirsi un avvenire (la Svezia è il Paese in cui la discrepanza tra immigrati e nativi in termini di occupazione è maggiore: il 2,5% degli abitanti del centro di Stoccolma è disoccupato, ad Husby la percentuale è del 10% e un terzo dei giovani residente nel quartiere non studia e non lavora).

Tensioni si erano già registrate a marzo, in seguito all’approvazione del piano per l’espulsione degli irregolari quando alcuni agenti erano sospettati di pregiudizi razziali nella valutazione dei fermi e si erano resi protagonisti di episodi xenofobi. Secondo il portavoce della polizia Lars Byström "Siamo diventati meno tolleranti. Interveniamo per fermare le proteste e se necessario procediamo con gli arresti. Inizialmente abbiamo cercato di evitare lo scontro, ma ci siamo accorti che eravamo spesso attirati in situazioni in cui eravamo sotto attacco".

La polveriera era pronta ad esplodere già da molto tempo. A lungo termine, la combinazione di bassa produttività, bassa disoccupazione e salari elevati, non poteva essere sostenuta e la crisi ha portato con sé l’innalzamento dell’inflazione che si è contrastato tagliando di 10 punti la spesa sociale in nome della politica di bilancio nonostante le critiche da parte della sinistra legate all’impegno del Premier conservatore Reinfeldt a non agire in questo senso. Lo stesso ha minimizzato gli atti vandalici ritenendoli gesti sconsiderati di giovani arrabbiati e non come altri sostengono risposta alla segregazione di classe e razza. Anche le forze dell’ordine sono di tale avviso. Secondo il portavoce della polizia Lindgren "sembra che la gente stia approfittando del fatto che l’attenzione della sicurezza è concentrata nel quartiere di Husby per mettere a ferro e fuoco altre zone della città". Gli abitanti sono scettici riguardo la capacità di far fronte all’emergenza violenza che dilaga nelle periferie del Paese presiedute da militanti di estrema destra. Tale insicurezza si accompagna ad un senso di malessere verso uno Stato che obbliga i contribuenti di farsi carico del sostentamento degli immigrati disoccupati e rifugiati che beneficiano del sistema di welfare svedese. Il risultato elettorale di questo trend è l’aumento di consensi verso il partito di estrema destra che nel 2010 è riuscito ad entrare in Parlamento.

Se questa è la situazione svedese, difficoltà analoghe si registrano negli altri 2 Paesi nonostante il plauso al welfare nordico tributato dal Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy in occasione del viaggio nelle capitali nordiche del 6 e 7 maggio durante il quale ha rassicurato i leader di questi Paesi circa l’evoluzione della crisi in Europa.

Alla luce di queste considerazioni, si perviene alla necessità di modificare il modello attuale per adeguarlo al mutato contesto socio-economico di fronte al quale appaiono legittime le preoccupazioni degli autoctoni volti a preservare il proprio status in una guerra tra poveri dove si fa quel che si può per avere una chance in più. I Paesi nordici hanno innovato profondamente il modo di fare politica sociale e per lungo tempo è stata una scelta felice che ha permesso loro un’economia florida. Ma i tempi sono cambiati, le condizioni odierne necessitano di una nuova organizzazione che continui a mantenere lo Stato sociale, magari in una forma "alleggerita", che gravi meno sui cittadini e agisca profondamente su chi si sente emarginato nel luogo che considera casa propria puntando su un’integrazione meno formale e più sostanziale.

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