di Salvatore e Rosa Maria Tramuto
E’ sabato pomeriggio. Carmelo ha terminato la sua giornata di lavoro nell’officina meccanica in cui è stato assunto da alcuni mesi. E’ abile nel suo lavoro e svelto: per questo il proprietario è contento di lui e, da un po’, ha iniziato ad affidargli incarichi più impegnativi. Questo lo mette di buon umore, sente che il cuore gli ricomincia a battere in modo piacevole perché spera che qualcosa di bello possa ancora succedergli, qualcosa di emozionante e coinvolgente.
Carmelo lavora in un paesino adiacente a quello in cui abita, nella provincia di Palermo, e, quando il tempo lo consente, percorre volentieri la strada a piedi. A passo sostenuto il cammino potrebbe durare una ventina di minuti, ma a Carmelo piace rallentare. La strada corre lungo una costa che è in leggero sopralzo rispetto al mare e mostra bene il golfo che si stende tra due capi di roccia.
Lungo la via un roveto di more attira la sua attenzione. Il verde della pianta contrasta con il rosso carminio e cinabro dei frutti che emergono dal fitto fogliame. I cespugli si sporgono dietro, sul margine del terreno a strapiombo su un precipizio, e tendono a lanciarsi oltre quella soglia.
Carmelo rimane un poco a immedesimarsi nello sforzo di espansione della pianta e dei suoi rami poi, con sguardo attento, sceglie il frutto che pare il più pieno e il più succoso di tutti, distende il braccio e lo raccoglie. Ne inspira il profumo, socchiude gli occhi e, per gustarne meglio il sapore, lo schiaccia lentamente. Non è che l’inizio della sua passeggiata, ma quell'atmosfera rarefatta sembra preludere ad un intimo accordo con l'universo, ad uno di quei momenti che si vorrebbe che non finissero mai.
Con la stessa cura raccoglie un altro frutto, che adesso gli pare molto più bello del precedente, ma non lo mangia subito, preferisce portarlo via con sé.
E’ l’ora del tramonto, lunghe ombre si stagliano sul sentiero. Carmelo incrocia sul suo cammino molte persone che vanno di fretta o lentamente, salutando o restituendo il saluto. Alcune lumache, lentissime, attraversano la strada con grande coraggio. Camminando lasciano una scia vischiosa, che presto si asciuga, anche se non del tutto.
Il percorso disegna adesso una curva, il cui gomito è to verso il tramonto: lo si può ammirare affacciandosi una ringhiera che protegge da una possibile caduta in Carmelo si ferma. Il cielo è azzurro, appena spennellato da agili striature sottili e rosseggianti stese lontano, poco sopra la linea dell’orizzonte. Alta nel cielo, illuminata dal sole calante, un bel trequarti di luna, pronto a contrastare l’avanzare dell'oscurità. Il baluginio delle creste d’onda scintilla sul mare in una danza dal ritmo infinito. Il sole è adesso una palla infuocata che cala nel mare turchino, esplodendo in un oceano di luce rossastra, ciclamino, viola e blu scuro. Quest’ultimo, poi, il blu scuro, già carezza con dita delicate le stelle, le prime stelle che compaiono nel cielo.
La fragranza dolce e acuta dei gelsomini si sparge nella notte, scorrendo nelle narici le estasia di profumo d'oriente. Non è facile a quest’ora ricordare l’odore del giorno, della polvere smossa dai carri, del basilico, dell’alloro, dei limoni.
Carmelo sospira leggermente e riprende il suo cammino. Si fa sera. E’ ormai giunto nei pressi del paesello, la strada s’immette nel corso principale e bisogna traversarlo quasi per intero per giungere all’incrocio con la via di casa. Questo è un altro bel momento per Carmelo: gli piace guardare le botteghe dove gli ultimi clienti si attardano, desiderosi più di chiacchierare un po’ con i negozianti che di acquistare qualcosa. Altri camminano verso casa con le sporte della spesa in mano affrettandosi, infastiditi dal peso e tuttavia con un’espressione appagata in volto, come se pregustassero il calore della famiglia, il sorriso dei bambini e il loro instancabile cicaleccio, i contorcimenti ludici dei cani, l’odore del vino che fuoriesce dalla bottiglia aperta e si riversa, aspro e nodoso, per le cucine e le stanze da pranzo.
Carmelo entra in casa e saluta i genitori. La madre gli sorride e lo rimprovera immediatamente per le scarpe sudice, la tuta appena lavata che è già uno straccio informe, lo strappo che si è fatto nei pantaloni smontando la ruota di un trattore, la fuliggine nelle mani, nei gomiti e sul viso.
Il padre: “Vuoi un bicchiere di vino? Ho appena aperto la bottiglia. Mi hai portato la chiave da dodici che ti avevo chiesto? E che cavolo, una volta che ti chiedo una cosa! Non ci si può fidare di te... Senti com’è buono, me l’ha dato lo zio Lorenzo, lo fa con quell’uva speciale che cresce nel suo terreno”. Bevono come piace a loro, schioccando le labbra e sentendo l’umore dell’uva che si spande sul palato e lo inonda del suo sapore, ad ogni sorso speciale come un tramonto che si ripete dopo che è finito.
Nella grande dolcezza che sentiva dentro, Carmelo all’improvviso ricorda Teresa. Vede il suo corpo, il seno, i fianchi, gli occhi verdi sereni che guardano altrove. Il suo cuore si ferma un istante, tornando poi ad accelerare convulso.
Sale nella sua stanza, va alla finestra, guarda fuori e nel buio rivede la scena che aveva sconquassato la sua esistenza al rientro dal servizio militare: Teresa che danza felice con il suo nuovo fidanzato, più giovane e più ricco di lui, completamente dimentica della promessa di sposarlo al termine del periodo di leva. Un pianto prorompe fatale come il destino. Per farlo durare il meno possibile, Carmelo si spoglia dei vestiti e li prepara in un mucchietto che darà alla madre perché possa lavarli e prepararli per il lunedì. Si lava, sceglie l’abito più nuovo, s’impone la calma e scende giù per la cena.
La madre lo guarda impensierita: l’alone di malinconia che circonda il volto del figlio ne rivela la fragilità. La cena è pronta da un pezzo. Il padre brontola che per colpa del figlio si mangia sempre troppo tardi, che a lui… La moglie si ferma e lo guarda fisso. Cessa il brontolio. Poi la madre si rivolge a Carmelo: “Non vai stasera a Triscina?” “ perché?” “ è da tanto che non esci e in questi giorni c’è la festa del paese, potresti magari divertirti un po’…”.
L’immagine di Teresa ritorna nella mente del giovane, lui si sente gelare il sangue ma, di nuovo, cerca di non far trasparire nulla fuori di sé e di riprendersi. Un demone gentile lo invita: perché no? Da mesi non si diverte, nel senso letterale del termine, cioè non riesce a non pensare a Teresa. Che la sua mente, almeno per un po’, possa allontanare il dolore per quell’insopportabile abbandono?
Così, dopo cena, Carmelo saluta i suoi genitori ed esce. Il buio è rischiarato dalla luna e ci sono tante persone che camminano lungo la strada che conduce a Triscina, nel luogo della festa.
Ci si vede benissimo, quasi come se fosse giorno: le persone sono in gruppi e ci sono molte torce per ciascun gruppo. Nella maggior parte dei casi sono i bambini che vogliono tenere in mano le lampade a petrolio e si sa come sono i bambini: giocano tra di loro e con le luci, si colpiscono, s’inseguono. A volte fanno spegnere le lampade, le madri li rimproverano e vola anche qualche scapaccione, ma, anche se molte fingono di essere davvero arrabbiate, l’atmosfera generale rimane festosa e tutti ridono.
Adesso Carmelo ha un attimo di smarrimento: tutta quella gente per strada così allegra e lui che si sente sempre più triste. E si sente solo: cammina da solo per la strada. Certo conosce molti dei paesani che sono in cammino assieme a lui e, spesso, con loro scambia espressioni di cortesia e sorrisi, ciò nonostante si sente irrimediabilmente solo. Teme di incontrare Teresa e questo di certo non lo rassicura.
Decide di deviare dalla strada in cui si trova e si dirige verso la montagna, lungo un sentiero erto e pieno di curve. Ci vuole poco per allontanarsi dalla via maestra: adesso non si sentono più le voci, intorno a lui s’infittisce il buio e diventa più profondo il silenzio. In questa condizione di spaesamento la sua mente comincia ad offuscarsi e a confondere le immagini. Gli sembra quasi di sognare o che stia per accadere qualcosa che nessuno può prevedere. Avverte un nuovo timore, sottile e impalpabile. Vorrebbe fermarsi, ma è come se la sua volontà sia rimasta con gli altri sulla via principale che ha abbandonato poco fa. Continua dunque lungo la nuova strada senza volere continuare e senza riuscire a tornare indietro.
Intanto riflette sull’orario: è uscito tardi da casa e ha indugiato lungo il tragitto, non può più sperare di raggiungere il paese durante la serata per godersi la festa e cercare un posto in cui dormire. Ormai rischia di arrivare a Triscina in piena notte e pensa: “Cosa vado a fare di notte in un paese in cui non conosco nessuno?”. Perciò decide di adocchiare un posticino nelle vicinanze dove passare le ore notturne.
Nel buio scorge una piccola luce lontana. Carmelo non ricorda di essere mai passato per di là e non sa, neanche lontanamente, chi possa abitare in quel luogo così isolato.
Il presagio di qualcosa di sgradevole lo avvolge per un attimo e un abbaiare di cani poco lontano gli consiglia di cambiare direzione.
I suoi piedi, tuttavia, vanno non perché vogliono andare, ma perché non possono volere non andare. Il loro percorso ormai è segnato e la casa diventa sempre più vicina.Anche se la luce soffusa nel patio esterno indica la presenza di qualcuno, la costruzione sembra disabitata. Sarebbe comodo riposarsi lì e riprendere il viaggio l’indomani mattina.
Carmelo rallenta la sua marcia fino quasi a fermarsi e osserva bene in che luogo l’abbia condotto il suo cammino forzato.
Il patio è illuminato da una luce antica, sospesa a un filo elettrico vecchio, di quelli attorcigliati che si usavano un tempo. Il filo ondeggia leggermente e la luce si sposta, seguendo l’andamento altalenante del filo cui è sospesa. Per terra, a volte c’è ombra e a volte c’è luce. L’occhio non distingue bene gli oggetti che sono disposti nella piccola terrazza esterna.
Piano piano le pupille si abituano alla luce discontinua e Carmelo distingue un tavolo, delle sedie, una sedia a dondolo, una panca. Al soffitto sono appesi dei cesti, dal cui bordo tracimano cipolle o pomodori. Una treccia d’aglio oscilla poco distante.
Man mano che gli occhi si adattano all’oscurità, Carmelo, in un angolo, intravede una massa scura. All’inizio sembra che sia un grosso cane e questo lo induce ad una osservazione prudente e cautelosa. Facendo attenzione, si accorge di sentire un rumore 8 caratteristico: è un respiro pesante o un russare leggero. Lì nell’angolo c’è qualcuno che dorme e, dal tipo di suono che emette, si direbbe una persona giovane. Carmelo, incuriosito, guarda meglio. I suoi occhi vedono un ragazzo abbandonato al sonno con le braccia larghe distese appena sopra la testa e un’espressione soddisfatta.
Deve sentire caldo, perché tiene i piedi fuori da una coperta leggera che gli copre il corpo. Ecco: i piedi si vedono bene quando la luce, oscillando, li illumina. Carmelo è come ipnotizzato. Un moto di stizza lo scuote e, d’impulso, compie un gesto sconsiderato: apre la patta dei pantaloni e piscia su quei piedi. Il ragazzo, svegliato dal liquido caldo, getta via la coperta, si alza di scatto e gridando come un ossesso si dirige verso la porta di casa chiamando il padre. Carmelo, preso alla sprovvista, in fretta e furia si ricompone e scappa.
“Bedda matri, un fuoddi mi pisciò n’tè pieri!”, il ragazzo, entrando in casa, ripete più forte le sue urla al padre e allo zio che stanno giocando a carte in cucina. Il padre allarmato: “Domenico, chi successi figghiu miu? Picchì ietti vuci accussì?”. Il figlio si ferma ansante, prende fiato e racconta di nuovo, mentre il padre incredulo realizza quello che è successo: “Amunì, nisciemu!” ordina al fratello ed entrambi si precipitano fuori di casa all’inseguimento del disgraziato, non prima di essersi muniti di due poderosi bastoni, in virtù dei quali prevedono di praticare una giustizia sommaria ed efficace.
Carmelo nel frattempo è fuggito e si è diretto verso il bosco alle spalle della casa. C’è un sentiero piuttosto largo che viene usato per trasportare sui carri la legna e i prodotti dei campi.
Spaventato a morte per quello che aveva fatto e per quelle che potevano essere le conseguenze della sua azione, Carmelo si butta in quella direzione senza avere la minima idea di dove possa portarlo. Gli inseguitori si lanciano sulle sue tracce. Scartano presto l’ipotesi che lo sconosciuto abbia scelto il percorso che scende giù verso la strada, perché è illuminato e lì chiunque avrebbe potuto vederlo. Imboccano quindi decisi il sentiero che sale verso la montagna e partono all’inseguimento vociando come forsennati.
Subito il padre si rende conto che in questo modo non avrebbero potuto percepire alcun rumore del fuggitivo e fa segno al fratello di stare in silenzio. Adesso si ode soltanto il fruscio dell’aria che i loro corpi spostano correndo e il cupo rimbombo dei passi che battono il terreno.
All’improvviso si sente un terribile clangore di metallo, seguito da uno scalpiccio di passi frettolosi: per allontanarsi dal sentiero, Carmelo aveva cercato di scavalcare un capanno di pastori, ma il tetto di lamiera non aveva retto il suo peso e lui era precipitato all’interno della baracca.
Adesso gli inseguitori sanno bene la direzione verso la quale correre e si slanciano con rinnovato vigore all’inseguimento del fuggiasco.
Carmelo si rialza in piedi dolorante, sente che il cuore gli sta scoppiando nel petto. L’affanno della corsa e il timore per gli inseguitori, che presume armati e parecchio arrabbiati, aumentano il ritmo della sua respirazione. Gli fanno male i polmoni, ma non può neanche pensare di fermarsi.
Cerca una scappatoia e si accorge che, alla sua sinistra, seminascosto dalla vegetazione, corre un muro di cinta. Pensando che possa rappresentare per lui una via di fuga, lo costeggia per individuare un varco in cui infilarsi e tornare indietro nella direzione inversa. Spera così di sviare gli inseguitori e di farsi scudo del muro stesso. Tutto a un tratto, fulmini squarciano l’oscurità del cielo illuminando il bosco, sotto la pioggia scrosciante Carmelo si sente perduto.
Rasentando il muro, avverte che la strada s’inerpica bruscamente verso la montagna e che questo comporta un aggravio di fatica, ma trova una breccia, l’attraversa e gira, guadagnando velocità in discesa e apprezzando il desiderato sollievo ai muscoli delle gambe.
Subito però, attraverso la pioggia insistente, scorge tre donne che salgono verso di lui e, appena lo intravedono, iniziano a gridare a più non posso. Lui allora accelera e le scansa per procedere. Continuando a correre con la mente annebbiata, si scontra con qualcuno: l’urto è violento ed entrambi cadono a terra.
Con difficoltà Carmelo si rimette in piedi, gli sembra che l’altra persona sia svenuta ma se ne cura poco: è pressato dal bisogno di riprendere la fuga. A terra rimane Gramigna, la sorella maggiore di Domenico, affetta da una specie di paresi al piede destro che la fa zoppicare e le impedisce di correre. Quando il padre e lo zio erano usciti da casa, le loro mogli e la sorella più giovane non ancora sposata, li avevano seguiti. Gramigna, a causa della sua infermità, era rimasta dentro e le aveva rassicurate promettendo che si sarebbe chiusa in casa e che avrebbe sprangato porte e finestre. Poi, testarda com’era, si era fatta animo ed era uscita per unirsi alla combriccola dei giustizieri. Si era attardata lungo il sentiero perché non poteva correre come le altre donne. Il suo piede destro non riusciva a sostenere il peso del corpo, le faceva male quando ci camminava sopra e rimaneva floscio quando cercava di sollevarlo, pendendo verso il basso come se ci fossero dei pesi di piombo attaccati alle dita. Grazie anche alla pioggia battente la ragazza riprende lentamente coscienza. Fa un po’ fatica a raccapezzarsi, si carezza il volto con le mani, poi il torace, i fianchi, le gambe. Richiama così alla vita le parti del suo corpo e fa lo sforzo di alzarsi per rincorrere chi l’ha investita. Si riavvolge nello scialle bagnato e piano si avvia. Un passo dopo l’altro Gramigna percepisce che non sta camminando a fatica e che non deve più trascinare ad ogni passo il piede malato dietro quello sano. Come una fucilata questa scoperta le attraversa il corpo e la mente: lei sta correndo!
Gramigna corre e sente che il piede non le fa più male, che la pianta malata poggia tutta sulla terra e la sostiene, robusta come l’altra. Non sente il freddo, né la pioggia o la stanchezza: è felice e piange. Nell’espressione incredula del suo volto, un forte sorriso si apre e allarga le sue guance rivelando la gioia del suo cuore. Carmelo corre sempre di più e senza sapere dove si trova. Gli accidenti e gli incidenti che gli sono capitati lungo il percorso l’hanno completamente stordito. Adesso sta arrivando sulla cima di un piccolo colle dal quale può vedere le luci della pianura. Le voci e i passi degli inseguitori non si sentono più, neanche come una lontanissima eco.
Sotto la pioggia Carmelo scorge una scala dai gradini in pietra che conduce giù verso una porta. Qualcuno della valle deve essersi costruito un riparo che gli serve per trascorrere un po’ al fresco le calde giornate d’agosto. D’un colpo su Carmelo piomba, come un masso che precipita da altezze incommensurabili, una stanchezza infinita, per di più ha fame. Vorrebbe ripararsi dalla pioggia, mettere qualcosa sotto i denti e riposarsi un pochino sentendosi però tranquillo e al sicuro. Si avvicina alla porta e vede che la maniglia si apre senza sforzo, entra nella casa con passo risoluto. Per quanto fioca sia la luce, distingue l’ambiente di una cucina e, al centro, un tavolo con un cesto pieno di frutta. Ci sono castagne, noci, mandorle, nocciole e anche due mele verdi. Non ci pensa neanche un attimo a prenderne una, darle un morso e masticarla. Un letto, vicino la finestra che si trova dall’altra parte della stanza rispetto alla cucina, lo attira fatalmente a sé. Pochi minuti e Carmelo si abbandona pienamente al sonno.
Gramigna si sente leggera sul suo nuovo piede guarito. Va di qua e di là, come un cucciolo di gatto che salta da una parte all’altra senza che il suo movimento presenti un minimo di ordine o di ragionevolezza. E’ un niente perdersi in una simile condizione della psiche e, in men che non si dica, per l’appunto, si perde. Ma tranquilla e gioiosa com’è diventata, non ci fa caso e non si preoccupa per nulla. Piuttosto continua lungo la propria imprecisata strada verso una meta del tutto indefinita.
Sotto la pioggia insistente e fastidiosa, Gramigna giunge sul colle e scende verso la casupola in cui Carmelo si era addormentato.
Anche per lei è arrivato il momento di recuperare le forze: si rannicchia sulla panca riparata dalla tettoia antistante l’ingresso e si assopisce. La luce dell’alba sveglia Carmelo che non ha ancora smaltito la tensione della giornata precedente. Mentre si sgranchisce, nota un bastone appoggiato ad una parete. Lo impugna e spavaldamente esce nel patio per perlustrare la zona.
Ha smesso di piovere e c’è il sole. Carmelo osserva tutto intorno per orientarsi e per scegliere la nuova via da percorrere.
Girandosi in direzione della baracca incrocia lo sguardo Di Gramigna, che sorride e gli si avvicina con un fare deciso e con un’espressione luminosa e spensierata. Lui, appoggiando il bastone al muro, continua a scrutare la ragazza cercando di intuire come regolarsi. Lo sguardo di lei non sembra proprio ostile, anzi è invitante e gli trasmette un’emozione profonda che lo seduce.
Gramigna, inizialmente animata dalla riconoscenza nei confronti di Carmelo per quello scontro che ha risolto il suo handicap fisico, sente che la loro intesa è destinata a diventare amorosa.
Come calamite i due giovani si attraggono in un abbraccio appassionato e sigillano le loro labbra. Frastornati da forti sensazioni, si siedono vicini sulla panca.
Lui non poteva sperare in un epilogo più sorprendente per la sua fuga, lei è raggiante di gioia. Tenendosi per mano s’incamminano alla ricerca della strada provinciale.
A distanza, le cinque figure degli inseguitori, tre donne e due uomini ancora armati di bastoni, vedono da lontano la coppia e notano che Gramigna non zoppica più. I genitori la guardano esterrefatti e accelerano il passo per raggiungerla… Riconoscendo la sua contentezza si uniscono a lei in un abbraccio collettivo. Allegri e pieni di speranza, tutti parlano e ciascuno tenta di sovrastare gli altri con la propria voce. Insieme si impegnano ad intrecciare un racconto comune che, seppure frammentato e disordinato, in poco tempo ricostruisce completamente l’intera vicenda.
Un affettuoso ringraziamento a
Francesco Maggiore
per la sua preziosa collaborazione
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