mercoledì 6 aprile 2011

17 marzo: una partecipazione che sorprende


 di  Salvo Barone
Chi l'avrebbe mai detto?
Sfido chiunque ad affermare che aveva previsto una partecipazione anche emotiva così importante alle celebrazioni del 17 marzo. Nella culla della Lega, in quel Veneto che con disinvoltura è passato in un decennio dalla balena bianca al sole celtico, per le strade era tutto un tripudio di tricolori. In particolare a Padova, dove mi trovo, abitazioni imbandierate ancor più di ogni altra occasione, compresa la vittoria dei mondiali di calcio, manifestazioni di piazza, gente gioiosa per strada e uno strano ed inatteso orgoglio di dirsi italiano. Al contempo non si segnala nessun  boicottaggio degno di particolare nota. Paradossalmente aver posto sul tavolo del dibattito politico, spesso stucchevole, l'opportunità di queste celebrazioni ha sortito un effetto che forse neanche gli analisti più attenti si aspettavano.

Registro infatti ,con un qualche compiacimento che non fatico a confessare, alcuni episodi curiosi di cui sono stato testimone. In un caso la cornice è stata la splendida  piazza di Padova antistante lo storico Caffè Pedrocchi gremita di gente. Un anziano padovano, proprio il 17 marzo, assisteva accanto a me al concerto della banda dei bersaglieri che  si accingeva ad eseguire l'inno di Mameli. Proprio in quell'istante prendendo spunto dal noto fatto di cronaca registratosi durante la seduta straordinaria dell'assemblea regionale Lombarda tenutasi per la ricorrenza unitaria e disertata dal Carroccio, sbottava gridando: “adesso i leghisti possono andare al bar!”. Seguiva uno scrosciante applauso liberatorio dei presenti. Nello stesso solco, recentemente  una mia collega cresciuta all'ombra della sinistra storica, lontana anni luce da ogni forma di sciovinismo, mi confidava " vuoi vedere che  per colpa della Lega dovrò  esporre  anche io il tricolore". Quelle citate potrebbero sembrare battute isolate da rilegare nell'aneddotica ma, come ho potuto sorprendentemente riscontrare,  in realtà sono atteggiamenti largamente condivisi in larghi strati  della gente veneta. Infatti al di là della discutibile genesi della nazione e del suo altrettanto discutibile sviluppo, con tanta parte dell'Italia che manifesta un evidente scontento, ci si rende conto forse che questa è l'unica Patria possibile e plausibile.
In questo contesto uno scatto di orgoglio, la presa di distanza dal più becero egoismo particolarista mi ha portato, insieme a mia moglie, ad organizzare in una scuola di un paese alle porte di Padova un incontro con gli alunni e le insegnanti sulle ragioni dell'unità d'Italia. Una esperienza che in qualche modo mi sembra esemplificativa di quello che ho osservato nei giorni scorsi accadere tra la gente rispetto al sentimento nazionale. Una scuola che era tutta un tricolore, dei bambini che impettiti intonavano l'inno d'Italia, un brivido correva sulla mia schiena  e su quella dell'oratore d'eccezione che ho coinvolto in questa avventura. Un Pubblico Ministero nonché storico di livello nazionale avvezzo a parlare a platee di adulti che al cospetto dei bambini  mi sussurrava "adesso che racconto a questi". Iniziavo, un po' preoccupato, narrando di antenati garibaldini miei e di mia moglie che partendo dall'estremo nord e dall'estremo sud si incontrarono per vivere insieme quella che sarà la spedizione dei "mille". Di un nonno che partendo da un paesino del palermitano si trovò durante la Prima Guerra Mondiale a difendere il Piave scoprendo nel conflitto contro  gli austriaci insospettabili momenti di umanità. Di centinai di volti di ragazzi siciliani che andarono a difendere una Patria di cui non conoscevano né  la geografia né la lingua ufficiale. Del Veneto e della Sicilia , del nord e del sud uniti nella stessa sorte. Della storia fatta da piccoli uomini che diventa la Storia con la esse maiuscola. Loro, i bambini, ascoltavano attentamente, in silenzio. A seguire l'intervento dello storico incentrato sui motivi dell'unione ribadendo che in essa c'è tutto da guadagnare, nella divisione tutto da perdere. La scolaresca salutava rinnovando l'intonazione dell'inno nazionale. Poi prima di andare via un bambino si è  avvicinato dicendo quasi in stato di trans " vi stimo, vi stimo per quello che avete detto". Colto da un impeto neo risorgimentale, con una forzatura arbitraria, per un attimo ho visto in  quel bambino  l'impersonificazione della mazziniana "Giovine Italia" in cui forse finalmente la nascita dell'Italia è preceduta dalla nascita degli italiani.
Padova, 2 aprile 2001                                                                 

3 commenti:

  1. La storia molte volte ci sorprende, sconvolgendo le nostre presuntuose convinzioni, di chi "ha capito tutto" sull'Italia, sulla sua gente.
    Mi ha scaldato il cuore il tuo pezzo (scritto con la consueta perizia).
    Ciao
    Enzo

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  2. A. Gramsci recitava così :"L'indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, e ... qualche volta fa desistere i suoi guerrieri dall'impresa eroica."...e tu, Salvo, nel tuo piccolo, sei stato un eroe...

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  3. Mi ha commosso ma non stupito il fatto che i bambini "capiscono" meglio degli adulti le piccole ma grandi "verità". Bravo Salvo!!! Ina Granà

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