venerdì 6 novembre 2015

The lobster


di Daniela Palumbo

Ho visto “The lobster”, il film. In compagnia di un’amica, com’era mio desiderio.
Questa non vuole essere una recensione, per la quale non sarei sufficientemente qualificata, ma una semplice chiacchierata, del tutto amichevole. Che non so neppure se mi riuscirà tanto bene, ma tentare “non nuoce”. Magari immaginando anche un bar, una tazzina di caffè fumante … Direi anche una sigaretta se non fosse che il fumo “nuoce” gravemente.

Il primo approccio col film è stato possibile grazie a Facebook, dove un amico ha pubblicato le foto delle locandine, sottolineandone l’originalità assoluta. C’è un ritratto dei due protagonisti (non insieme: l’uno o l’altra, da soli): parti del corpo, del busto in particolare, sia di lei che di lui, si alternano a vuoti inquietanti; cosa che fa pensare da una parte all’asportazione degli organi, o all’amputazione in seguito a una cancrena, dall’altra alla sparizione progressiva della persona, riconducibile all’idea degli spettri, ad esempio, o di certi supereroi, con facoltà di “sparire” (vedi l’uomo invisibile).
Dopo la locandina, il trailer, dove il comico paradossale di cui è permeato il racconto emerge con forza, o se si preferisce, “trasuda” (il protagonista viene spesso inquadrato mentre è intento a spalmarsi uno strano unguento sulla schiena), creando l’aspettativa del divertimento, dello spasso, della risata; aspettativa delusa sin dai primi minuti e dalle prime scene.
Una musica fatta di pochissime note, ripetitive, tagliente come l’archetto di un violoncello, accompagna dall’inizio alla fine lo sviluppo della vicenda, in un crescendo di assurdità sempre più crudeli.
Riassumo la trama, in poche righe: in una società colpita da fobia verso i single, gli “scoppiati” vengono accalappiati come cani randagi e “concentrati” (nel senso più nefasto del termine) in un albergo lussuoso, dove avranno 45 giorni per rimediare alla loro “menomazione” e trovare un compagno o una compagna, pena la metamorfosi. Allo scadere perentorio del termine stabilito, se ancora single, questi saranno tramutati, infatti, in animali.
Non manca qualche illusione di libertà: l’animale si può scegliere (molti i cani, numerosi i cavali, qualche pesce o qualche uccello, qua e là, e un unico crostaceo: un’aragosta); al momento dell’accettazione in albergo è possibile dichiarare, e scegliere, il proprio orientamento sessuale (omo od etero; mai bi-, nonostante il leitmotiv della storia sia la “coppia”; interessante controsenso); si può optare per un numero di scarpe piuttosto che per un altro, ma non è dato scegliersi i vestiti (che sono uguali per tutti, come le divise o i celeberrimi “pigiami a righe”).
E il nostro eroe? Ci si chiede se troverà la salvezza nell’accoppiamento (nient’altro che bestiale) con la più spietata delle “cacciatrici” di solitari tra le ospiti del lager-hotel, con la quale lui tenterà disperatamente di camuffare il suo lato umano, fino al sacrificio estremo (fingere indifferenza dopo la morte del proprio fratello/cane). Oppure se approderà alle tanto agognate sponde di una ideale Itaca, quella che ogni naufrago aspira a (ri)trovare, (ri)scoprendo l’Amore …
Proprio questo amore, con la A maiuscola, nascerà tra le file di un gruppo di fanatici resistenti (in uno scenario alla Sherwood, con tanto di alberi, buche sul terreno, tagliole e conigli selvatici) che si scoprirà essere una realtà più crudele della precedente (nel bosco si balla rigorosamente da soli, così come nei saloni dell’hotel si ballava esclusivamente in coppia). Qui il protagonista s’innamora, subito corrisposto, di una donna miope, proprio come lui. Ma, costretti a nascondersi come clandestini agli occhi degli altri membri del gruppo, e soprattutto della terribile leader, doppiamente braccati (dai cacciatori di solitari, da un lato, e dai propri “compagni”, dall’altro), i due amanti scoprono a loro  spese che l’amore è menzogna, oltre che condivisione di difetti, comunione di paranoie, identificazione in negativo.
Tanto nell’albergo - dove una donna si finge zoppa per poter avvicinare uno zoppo e un uomo si provoca ferite al naso per “legare” con una donna sanguinante dalle narici – quanto nel bosco, in mezzo ai “ribelli” (miope lui, miope lei, miope…l’altro? l’ipotetico rivale), la bugia o il difetto, la malformazione, sono alla base di tutto. E stridono con l’autenticità del rapporto, chimera irraggiungibile, impossibile a viversi se non nello spazio angusto di un  appartamento in città, alla presenza di altri, senza stridore d’archi (non credo sia casuale), col sottofondo di chitarre armoniose.
Poche risate, dunque. Personalmente, ne ho registrate un paio, due soltanto, ma ben piazzate. E alla fine del film (finale rigorosamente “aperto” come nella migliore tradizione del cinema “di nicchia”) la domanda è stata: finiremo tutti per sbatterci la testa contro un muro o per cavarci gli occhi l’un l’altro nella speranza di trovare l’anima “gemella”? La risposta io non ce l’ho, amici miei, no di certo. Però ho un solletico alla schiena, ed un singhiozzo, che mi è venuto così all’improvviso, chissà come mai. E che non mi passa …

 

2 commenti:

  1. Molto bello, brava. Mi ricorda i comenti ai film di Moravia, geniale, raffinatissimo, dilettante delle recensioni.

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    1. Ogni volta che leggo un tuo apprezzamento è come se ricevessi un premio!

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