lunedì 3 settembre 2012

Anche solo un pezzo di quello che sei



di Tiziana Leonardi

“ Storia diversa per gente normale,
storia comune per gente speciale.
Cos'altro vi serve da queste vite,
ora che il cielo al centro le ha colpite;
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.”
( F. De Andrè – Una storia sbagliata )

Mi svegliai col profumo di cornetti caldi,quella mattina.
Di quei risvegli tanto dolci che capisci al volo che quella sarà una giornata magnifica e che niente e nessuno potrebbe mandartela all'aria.
Mentre ero ancora in dormiveglia, avevo sentito chiudere la porta d'ingresso; sentii anche il ticchettio che fanno le chiavi di ferro quando vengono poggiate nel mio “porta chiavi personale”, un normalissimo posacenere in vetro, souvenir di Roma portatomi da Marco, il mio migliore amico. Che poi chissà come s'era convinto a comprarmelo, lo sa bene che io non fumo.

Marco era uno strano eh. Oddio, non che io fossi tanto diversa, ma forse era proprio questo ciò che ci rendeva compatibili. Lo conoscevo da anni, e non credo che incontrerò mai più uno come lui. Un personaggio. Con lui ho fatto le migliori stronzate della mia vita. Per me c'è sempre stato.
C'era quando avevo 12 anni e morì Schizzo, il mio adorato cane/compagno di giochi/bambolotto, e mia madre facendo finta di niente lo rimpiazzò con una tartaruga. Ora, non che non avessi capito cosa fosse successo, ma a mia madre volevo dar l'impressione che avesse ancora a che fare con una bambina,che potesse ancora tenere tutto sotto controllo, perché gli adulti sono così : quando vedono che lo cose iniziano a cambiare, non sanno dove mettere mano prima, mentre per i bambini è diverso, a loro non interessa poi tanto, c'hanno sempre un angolo che tengono per loro, un cartone o una bambola che fa loro compagnia, e mica si fanno problemi di soldi, di ragazzi, di musica. Fanno ciò che vogliono e basta.
Comunque, tornando a Marco, ricordo anche che una volta abbiamo fatto finta di stare insieme, avevamo più o meno 9 anni e nessuno dei due aveva ancora dato il suo primo bacio. Così, per gioco, mi disse che voleva che fossi io la prima ragazza che voleva baciare, che potevamo provare ed esercitarci, così non avremmo fatto brutta figura quando avremmo incontrato uno che dovevamo baciare sul serio.
Con Marco ho le migliori foto. Ne trovai una tempo fa mentre mettevo a posto i miei cassetti – che, per inciso, sono un po' come la mia mente: un caos totale. Comunque, trovai questa foto. Carnevale, avevamo io 8 anni e lui 11. Inutile dire che ero vestita da..Mmh,effettivamente non so di preciso da cosa fossi vestita. Ero forse un incrocio tra la principessa delle zucchine e una contadina con un vestito un po' elegante. Oh, è sempre stato così, non mi sono mai piaciuti i vestiti da principessa, mi seccava fare la perfettina. Lui invece era vestito da Pirata, il pugnale sguainato, sorrisino sghembo e sguardo fiero. La foto ce l'aveva scattata mio cugino di 15 anni, Giorgio, uno un po' scemotto , con un morbo di parkinson giovanile data l'instabilità della mano e la conseguente foto mossa. Nella foto si vedeva anche un pezzo del suo dito. Avevo solo 8 anni, ma ricordo di avergli detto di “spostare il dito da qua e
metterlo qua”, proprio sul tasto dello scatto, ma niente, a quanto pare non m'aveva ascoltata. Beh, eravamo messi sul divano di casa mia, con le gambe alzate e la testa che sfiorava il pavimento. Quasi mi si vedevano le mutandine, che vergogna...
E così, insomma, io e Marco siamo cresciuti insieme, tra foto mosse, cani morti e tartarughe che non rispondevano ai comandi, ginocchia sbucciate e tagli di capelli “fai da te”. Lui me li tagliava sempre bene, ero io quella che non era capace e infatti si arrabbiava con me, mi teneva un po' il muso, ma poi mi diceva che non faceva niente, che se gli avessi dato una caramella di quelle che gli piacevano tanto, avrebbe fatto finta di niente.
Quella mattina mi aveva portato i cornetti, Marco. Alla nutella, caldi, come piacciono a noi.
Così io che m'ero già svegliata sentendo l'odore, aspettai che entrasse in camera facendo ancora finta di dormire.
Strizzai bene gli occhi e trattenni qualche risatina per evitare di farmi scoprire. Entrò in camera piano, senza fare rumore. Poggiò il vassoio sul comodino, ed io lo immaginai avvicinarsi prima alle tende e dischiuderle leggermente per far passare un po' più di luce e poi venire avanti verso il mio letto.
Ah-a. Ci speravo anche io effettivamente, ma invece no. Aveva un modo tutto suo di volermi bene, di fatto ci sarebbero mille modi carini per svegliare una persona, no? Potresti metterti lì, per esempio, ad accarezzarle i capelli fin quando non si sveglia; potresti nominare piano il suo nome più volte, con una voce dolce e così via dicendo. Ma lui era così, e mi aspettavo anche quello che fece. Si sdraiò accanto a me e iniziò a mordermi il fianco,facendo il vocione da hulk - sapete no, di quelle voci stupide che ti escono quando ti gonfi tutto e cerchi di imitare uno grosso e forte il triplo di te - urlandomi che era ora di fare colazione e che se non avessi mangiato quel benedetto cornetto, lui si sarebbe sacrificato per me e ne avrebbe mangiati addirittura due, di cornetti: il suo e il mio.
Scoppiai in una risata fragorosa e assaltai il vassoio urlando che era mio, quel cornetto, e che non glielo avrei ceduto per niente al mondo, neppure per tutto l'oro del mondo, neanche se mi avesse fatto dieci, cento - che dico, mille! - massaggi ai piedi.
E così facemmo colazione, tra una linguaccia ed un'altra, in quella giornata fresca di metà maggio, con il sole che passava dalle tende e con quel suo sorriso che tanto amavo.
Aspettò che mi preparassi, e mi accompagnò all'università.
***
È sempre stato uno dispettoso, il mio Marco.
Mi aspettava già in macchina, una volksvagen grigio metallizzata, grande e comoda, e si mise a suonare col clacson con l'intento di farmi fretta. Una volta arrivata davanti la macchina, bloccò gli sportelli.
Lo odiavo, quando faceva così.
Lo insultai a gran voce, urlandogli contro che era ora di aprire, che doveva smetterla di comportarsi come un bambino e lui da dentro strizzava gli occhi e aggrottava la fronte e poi s'indicava le orecchie e faceva di no con la testa, boccheggiando e facendomi capire che “mi spiace, non si sente niente! ”.
Quanto mi faceva ridere.
Sapevo bene cosa voleva che facessi, era un po' la nostra parola d'ordine, il nostro giochino particolare: e così presi aria, alzai gli occhi in cielo, mi chinai e spiaccicai letteralmente la mia faccia contro il vetro, incrociando gli occhi e respirando contro il finestrino chiuso.
Scoppiò in una risata fragorosa ; lo vedevo dimenarsi e sbattere le mani contro il volante a forza delle risate. Iniziò anche a sgorgare qualche lacrimuccia dai suoi occhi.
“Okay, okay, adesso puoi salire .. ”,mi disse tra una risatina e un'altra.
“Finalmeeeente! Chi ci vede penserà che siamo due idioti! ”- “Eeeh no. Penserà che tu sei un'idiota e che io sono un'anima buona che ti dà un passaggio alla clinica psichiatrica ”. Accennai un sorriso e gli feci il verso: “Grazie, mio eroe ! ” .
Alla radio passava “Sweet home Alabama”, e Marcò iniziò a tamburellare le dita sul volante, seguendo il ritmo e a canticchiarla, facendo facce strane ed espressioni contorte. Io invece facevo finta di suonare la chitarra, un bel po' a modo mio dato che non ne avevo mai avuto una e, se devo essere sincera, neppure so come si tiene in mano, una chitarra.
Ma comunque, ci divertivamo lo stesso.
Lui frequentava la facoltà di fisica, ma c'è da dire che aveva il pallino per il giornalismo. Di fatto, comunque, non so come facesse, io non c'ho mai capito tanto di fisica, lui invece aveva un senso pratico molto spiccato, riusciva a parlarti di cose complicate come se parlasse di cartoni animati e fumetti, e mi lasciava sempre a bocca aperta.
Io, invece, frequentavo filosofia. Due mondi opposti, insomma. Diametralmente opposti. Infatti ogni volta che ci trovavamo a discutere o a parlare di qualcosa nessuno dei due riusciva più a capire niente.
Il discorso si allargava e si allargava e si allargava ancora. Sembrava una maxi manifestazione, di quelle improvvisate, in cui un paio di persone iniziano a camminare per strada e ad urlare a gran voce di combattere per i vostri diritti e poi a poco a poco la gente si ammucchia e la folla cresce tanto che non sai mai quanti sono quelli veramente interessati, quelli che seguono così perché non hanno nienteda fare e quelli che invece vogliono solo creare un po' di confusione.
Così i nostri discorsi: c'era un punto di partenza,e poi le parole venivano fuori da sole, tanto che non riuscivamo più a ricordare alle volte di cosa stavamo parlando, da cosa era nato tutto.
Ricordo una volta in cui avevamo iniziato a parlare di Socrate e del tempo.
“Ma tu cosa pensi che sia il tempo? Secondo te,esiste?” - mi aveva chiesto mentre camminavamo per strada. Aveva una camminata tutta sua Marco : una mano l'aveva sempre in tasca e l'altra se la passava spesso tra i suoi capelli castani e morbidi.
“Mmh”, dissi masticando piano una caramella alla fragola. “Secondo me il tempo c'è e non c'è. Lo senti se vuoi sentirlo. Certo, passa, questo è un dato di fatto, ma io non ci faccio mai caso.”
“Neppure io ci faccio caso,ma resta comunque il fatto che il tempo passa. Guardaci adesso, abbiamo 22 e 25 anni.”
“E beh, cos'è cambiato?” - “Mah”, mi disse ghignando “in effetti niente, sei ancora bassina come dieci anni fa”.
“Ah-ah-ah. Tu sei ancora antipatico come allora”, gli dissi fingendo una pseudo incazzatura che passò alla velocità della luce.
“No, davvero, ” tornò serio. “A volte mi chiedo cosa sia il passato, il presente, il futuro..voglio dire, c'è una ragione per questo?” . Lo guardai con curiosità, sapeva che stavo per nominare Socrate.
“Beh, vedi, secondo Socrate, per esempio, il presente non esiste. Tutto quello che pensi di fare, fa parte del futuro. Tutto quello che hai già fatto, fa parte del passato.” Mi guardava un po' spiazzato, ma mi lasciò finire. “ Se per esempio pensi di battere le mani, una volta che l'hai pensato, il tuo pensiero appartiene già al passato. Così accade nel momento stesso in cui batti le mani : nel momento stesso in cui senti il rumore, capisci che è già qualcosa che hai fatto, e che quindi è passato. Capisci?” - Era un po' perplesso, ma sembrava seguire il mio ragionamento.
“E tu come la pensi al riguardo, Bizzi? Per te è come dice Socrate? È tutto passato o tutto futuro ? ”-
certe domande incalzanti mi spiazzavano un po'. “Ma sai che non lo so bene? Per me questo è presente. Sentirti accanto, è presente. Masticare una caramella o una gomma, è presente. Anche inciampare, come stavo facendo poco fa mentre non guardavi, era presente, per me. Per questo non so ancora come la penso. E per te cos'è il tempo, Marco?”
Mi aspettavo una risposta scientifica, matematica, inattaccabile.
Fece spallucce : “Il mio tempo è il mio spazio. È l'ambito all'interno del quale mi muovo, le cose che dico, le cose che faccio. Non mi piace parlare di tempo in senso di ore, di minuti, di lancette. Mi piace parlare di tempo in quanto essenza del mio essere. ” - “Okay okay, aspetta che prendo un'altra caramella, che qui la cosa si fa interessante. Su,vai avanti” . “ Vedi ” - continuò lui - “il tempo passa e si dice che tutto cambi. Io ci ho pensato un po', sai? E riflettendo ho capito che sono cambiato tutti i giorni, per restare sempre lo stesso, sempre Marco, il solito Marco.” - sghignazzai e piegai la testa come per dire “già, me ne sono accorta”. Accennò un sorriso e continuò con aria attenta e decisa : “ secondo me è questo il punto.” fece una breve pausa e si passò la mano tra i capelli. Sapevo che quando lo faceva stava per dire una cosa importante. “ È che al di là di passato, presente o futuro, in ogni tuo gesto,
parola, movimento, sguardo, deve essere implicito tutto ciò che sei stato e che sei ”.
Mi piaceva come la pensava Marco, aveva ragione lui, è giusto così. Insomma, devi pur dimostrare chi sei, no?
“Hai ragione, sai? Ma allora che succede quando la tua reputazione si scontra col tuo carattere? Voglio dire, perché molti tengono di più ad apparire che non ad essere? Bisognerebbe concentrarsi su chi si è, non su chi si vuol essere. Io mi preoccuperei più del mio carattere che non della mia reputazione, in fondo è con me che devo vivere per il resto della mia vita, sai che felicità scoprire di essere esattamente come vieni descritto, nè più né meno.”, dissi, ironica.
“Infatti hai ragione tu” mi disse, aspettando che il semaforo diventasse verde. “ È che la gente è strana. Le persone passano la loro esistenza a cercare di diventare simili a Dio e poi muoiono. Ora me la dai una caramella alla fragola?”
***
“No Marco, forse non mi sono spiegata bene”, gli dicevo. Rise di gusto, e quasi si affogava per riuscire a dirmi “Guarda che lo so che stai pensando!” - “sempre la solita storia: devi smetterla di credere di sapere ciò che sto pensando..!” - “ Il tuo 'NoMarcoForseNonMiSonoSpiegataBene' nella tua testa è un : 'ma che diamine Marco,perchè non capisci mai un cazzo?!' ” ; addentò il suo cornetto schiacciandomi l'occhio e saltellando un po' sul materasso per mettersi comodo. Lo sapeva che non gli avrei mai e poi mai dato soddisfazione, e così esordii con una delle frasi che meno sopportava: il mio “SEH VAMBE' “ gli dava su i nervi. E infatti smise di masticare, mi guardò in cagnesco e spalancò la bocca per farmi vedere ciò che stava per ingoiare.
“Che schifo!” gli urlai contro,e gli diedi un colpo di cuscino in faccia che lo fece cadere supino sul letto.
“Alzati, uomo.” , nessuna risposta.
“Oh avanti cretino, sbrigati.”, nessuna risposta.
“lo so che lo fai apposta.” …....
“...Ma che t'ho fatto male?! Oddio Marco, riprenditi dai, alzati ! ”, non muoveva un muscolo.
Gli tolsi il cuscino dalla faccia, gli spalancai gli occhi, ma niente.
Gli diedi qualche schiaffetto , zero.
“Mioddio, l'ho mezzo ammazzato, e ora che faccio?! ” , stavo per entrare in tilt quando aprì un occhietto e mi disse : “Ma che sei scema che muoio prima di finire il cornetto?! Come se non mi conoscessi.”
Scoppiammo entrambi a ridere... poi però lo mandai affanculo.
***
Una sera, molto tempo prima, se n'era spuntato con un pacchetto.
“ T'ho portato una cosa, squilibratella” . Gli sorrisi,confusa. Scartai il pacchetto e intravidi le pagine di un libro.
Ce l'avevamo come patto, noi, quello di non leggere mai le copertine dei libri ma di aprirlo alla prima pagina che capitava e leggere ciò che c'era scritto.
Mi sorrise,aprìì a pagina 116.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.”
“ Montale! Ti amo!”, gli urlai, e lo strinsi così forte da farlo tossire...
Marco non venne più.
Non venne più a casa mia. Non sarebbe mai più venuto.
M'arrivò la chiamata una mattina, presto, verso le 8.
Ero sola a casa, mi rigiravo nel letto in attesa dei suoi cornetti caldi. Risposi tutta pimpante, urlando che mi aspettava “almeno un cornetto in più dato il suo ritardo”.. Peccato però che la risposta fu agghiacciante.
Eppure giuro che ancora mi capita di sentire il ticchettio delle chiavi nel posacenere/portachiavi di vetro, alla mattina.
Giuro, lo giuro davvero, che alle volte lo vedo passare da una stanza all'altra, silenzioso e sorridente, con un libro di fisica in mano, in cerca di chissà quale risposta ai suoi problemi.
Mi capita anche di scambiarci qualche parola, qualche opinione.
Potrei scommettere che quando ho freddo viene nella mia stanza, a rimboccarmi le coperte, appena prima che io mi addormenti. E che mi accarezzi i capelli, annodandoli tutti, come piace a lui.
E lo vedo scritto su tutti i muri, lo sento dentro ad ogni canzone.
E mi volto a cercarlo quando sento qualcuno col suo profumo, e quando un ragazzo con le fossette mi sorride.
Ma non li voglio più i cornetti caldi la mattina.
Non lo prendo più il caffè nell'atrio dell'università.
I comici in tv non mi fanno poi tanto ridere.
No, Marco non venne più.
Ogni tanto vado io a trovarlo, nella parte più alta del cimitero.
Mi piace risfogliare i suoi libri di fisica, fanno il suo profumo, il profumo di quelli freschi e distratti che della vita prendono solo il buono. C'ho sempre visto qualcosa in quei suoi occhi furbi e in quel sorriso sghembo; c'era qualcosa fra lui e la vita che non avevo mai capito, che non avevo mai neppure lontanamente afferrato, un patto implicito forse, una descrizione di felicità, un momento di sicurezza, l'ordine nel caos, il gelato per un bambino, l'acqua per un assetato.
Me lo ritrovo accanto, per un po', nei pomeriggi alle ville, mentre leggo sotto gli alberi, quando i raggi del sole giocano con le foglie. Mi fa le linguacce, per lo più; “MA CHE SIMPATICO”, gli dico io, e sposto lo sguardo sorridendo.
C'è che io, Marco, me lo sento dentro, tanto che mi capita di raccontargli ad alta voce la mia giornata, di imprecare in mezzo al traffico e chiedergli spiegazioni, tanto che mi sento battere il suo cuore.
Io non lo so, se quello nostro fosse o meno amore. Faccio sempre confusione,quando si parla di queste cose, e lui lo sa bene.. e non è certo facile avere un mondo nel cuore e cercare di esprimerlo con le parole.
Mi piace, però, pensare che le persone non se ne vanno mai.
Mi piace pensare che le persone sono i nostri respiri, i nostri occhi, il nostro cuore, i nostri ricordi.
Mi piace pensare che Marco era il pirata che proteggeva la principessa delle zucchine/contadina elegante con la spada sguainata.
Mi piace pensare che quando vide che mia madre aveva rimpiazzato il mio cane Schizzo (che, per inciso, si chiamava così perché pisciava dovunque) scoppiò a ridere e iniziò a rotolarsi a terra, e io gli tenevo un po' il muso, ma alla fine non potevo mica star lì seria.
Mi piace pensare che Marco, il mio Marco, si divertiva ad iniziare diatribe con tutti quegli stronzi che mi maltrattavano, un po' perché “posso essere l'unico che può sfotterti” e un po' perché a me ci teneva davvero.
Mi piace pensare che aveva avuto la possibilità di andarsene, da questo paese di merda, ma che mi ripeteva in continuazione “è troppo facile lasciare il proprio paese perché fa schifo, la cosa difficile e restarvici e cercare di fare qualcosa per migliorarlo”.
Ed infatti qualcosa l'aveva fatta.
S'era infilato in un giro grosso, troppo grosso, aveva iniziato delle ricerche un po' particolari su uomini della malavita e sosteneva che “per capirci qualcosa bisogna quantomeno vedere come vivono”.
Sfidava la mafia,Marco.
Gli ho curato labbra spaccate e occhi neri, quando gli andava bene.
Grazie al cielo non era ancora entrato nel giro pesante, si limitava solo alle faide familiari.
Ed è così che c'è rimasto ucciso, quella mattina, quando m'è arrivata la chiamata.
“Due colpi di pistola,dritti al cuore, ” mi disse una voce familiare..tenebrosa,cupa,sconcertante..Non riuscivo a respirare, mi vestii di fretta e furia, i pensieri bloccati.
Lo trovai lì, ancora per terra.
Fuoriuscivano dal lenzuolo solo le sue converse rosse, tipiche di lui.
Non si seppe mai chi furono gli assassini.
Mento.
Tutti lo sapevano, ma nessuno parlò mai.
***
Aveva ragione lui, mi sa.
Mi vengono ancora in mente le sue parole, e penso a quanto Marco mi abbia insegnato.
.. il tempo passa e si dice che tutto cambi. Io ci ho pensato un po' , sai? E riflettendo ho capito che sono cambiato tutti i giorni, per restare sempre lo stesso, sempre Marco, il solito Marco.
È che al di là di passato, presente o futuro, in ogni tuo gesto, parola, movimento, sguardo, deve essere implicito tutto ciò che sei stato e che sei.
Adesso, dopo un paio d'anni, riapro il suo libro.
Pagina centosedici, sempre la stessa. La mia preferita, sempre diversa per restare sempre uguale , come la nostra storia.
E quanto sarebbe facile sperare che non sia una storia vera, quanto sarebbe migliore...

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.”

7 commenti:

  1. bellissima storia, commovente e piena di significato, sembra di vedere in viso entrambi i protagonisti. Frutto di una scrittrice in erba ma già matura.
    Davvero Toccante

    Fabiola

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  2. Ho pianto..
    Io non sono mai stata brava con le parole, ma credo di poter rendere l'idea di ciò che ho provato durante questa piacevole lettura con delle parole tue: "... non è certo facile avere un mondo nel cuore e cercare di esprimerlo con le parole".

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    1. complimenti,una bellissima storia, ho sentito anche i profumi leggendola,i luoghi,i volti,ho riso ma anche pianto...

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  3. Complimenti, bellissima storia! Avevo le lacrime agli occhi!!

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  4. Non mi sbagliavo quando dicevo che saresti stata una persona speciale...... ancora una volta mi sono commossa per qualcosa di tuo!
    Con grande affetto di auguro di rimanere La Tiziana che sei per tutta la tua vita!

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  5. La magia di questo racconto sta nell'equilibrio perfetto tra ciò che l'autrice aveva nel cuore e la capacità di dirlo.

    Francesco

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  6. Quest'anno o meglio qualche mese fa,ho avuto modo di imparare che la felicità,forse,sta in quelle cose la cui fine è apparente,apparente perché in realtà quella fine non è mai arrivata, per il semplice fatto che tutto ciò che sembra essere finito è infinito,continua a viverci dentro, nel cuore e nell'anima.Marco,non appartiene al passato ma è presente ed è futuro,continua ad esserci,mentre si scendono quei gradini che solo in apparenza sembrano esser vuoti.Complimenti,grazie per le belle emozioni.
    Giulia

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