di Francesca Saieva
(photo by Francesca Saieva)
Una cronologia delle ‘faccende’ belliche è richiesta, è del tutto plausibile; una temporalità storica degli eventi è, però, meno scontata. Chi vive nella striscia di Gaza, sulle alture del Golan o al confine del Libano lo sa bene; e il 15 maggio, 63° anno di commemorazione della Nakba, i palestinesi hanno avvertito tutto il peso del conflitto con Israele. Così la “diaspora”, in questo caso palestinese, continua a far parlare di sé, al di là del sottile confine che unisce e separa antisemitismo e sionismo. Dal 1948 (anno della ‘catastrofe’ in cui l’allora Stato nascente d’Israele estromise più di 700.000 palestinesi) a oggi, i ‘confini della memoria’ hanno alzato barricate, muri e recinzioni.
La manifestazione del 15 maggio, che ha visto la partecipazione di migliaia di palestinesi, provenienti dal Libano e dalla Siria (giunti al confine d’Israele per commemorare la Nakba) ha però avuto risvolti molto pesanti. Non sono mancati (nonostante l’iniziativa fosse pacifica) scontri, morti e l’atmosfera tra israeliani e palestinesi si è surriscaldata non appena alcuni manifestanti hanno cercato di oltrepassare le recinzioni. Gli scontri sono avvenuti nei quattro punti di frontiera : Eretz, Ramallah, Majdal Shams, Maroun a Ras. Per i palestinesi (nel 2007 i profughi registrati dall’UNRWA erano più di 4.504.169) è stato un atto dovuto alla loro causa... perché la questione arabo-palestinese non cada nell’ombra e non venga sottaciuta la sofferenza, la violenza, gli abusi subiti nel corso di questi anni. I profughi, rifugiati, vivono nei campi dislocati in Giordania, in Cisgiordania, in Siria, nel Libano, nella striscia di Gaza, al di sotto della sopravvivenza, violati nei diritti.
Ma i palestinesi rivogliono ancora la loro terra. La voce di un popolo rivendica il suo essere ridotto a “non-popolo”, mentre Israele accusa “l’arma delle masse”, per difendere i confini del suo ‘incontestabile’ Stato. La questione palestinese si consuma da più di mezzo secolo, ma la negoziazione tarda ad arrivare. Politiche filoamericane, fondamentalismi e “risvegli” non troppo lontani (prima e seconda Intifadah), continuano a scontrarsi sul piano della forza. Lontani da concrete soluzioni, i palestinesi e gli israeliani (è fin troppo chiaro) hanno le stesse radici, ma fin troppo differenti sono le loro ‘diramazioni’ economico-mondiali.
Dal 16 maggio, “i palestinesi avranno un’ambasciata italiana”, è stato annunciato dal Presidente della Repubblica Napolitano, (durante la sua visita in Israele); ma i giorni della memoria della storia continuano ad aggiungere le proprie vittime, perché l’umanità ricorda ma non riesce a dimenticare.
(photo by Francesca Saieva)
Una cronologia delle ‘faccende’ belliche è richiesta, è del tutto plausibile; una temporalità storica degli eventi è, però, meno scontata. Chi vive nella striscia di Gaza, sulle alture del Golan o al confine del Libano lo sa bene; e il 15 maggio, 63° anno di commemorazione della Nakba, i palestinesi hanno avvertito tutto il peso del conflitto con Israele. Così la “diaspora”, in questo caso palestinese, continua a far parlare di sé, al di là del sottile confine che unisce e separa antisemitismo e sionismo. Dal 1948 (anno della ‘catastrofe’ in cui l’allora Stato nascente d’Israele estromise più di 700.000 palestinesi) a oggi, i ‘confini della memoria’ hanno alzato barricate, muri e recinzioni.
La manifestazione del 15 maggio, che ha visto la partecipazione di migliaia di palestinesi, provenienti dal Libano e dalla Siria (giunti al confine d’Israele per commemorare la Nakba) ha però avuto risvolti molto pesanti. Non sono mancati (nonostante l’iniziativa fosse pacifica) scontri, morti e l’atmosfera tra israeliani e palestinesi si è surriscaldata non appena alcuni manifestanti hanno cercato di oltrepassare le recinzioni. Gli scontri sono avvenuti nei quattro punti di frontiera : Eretz, Ramallah, Majdal Shams, Maroun a Ras. Per i palestinesi (nel 2007 i profughi registrati dall’UNRWA erano più di 4.504.169) è stato un atto dovuto alla loro causa... perché la questione arabo-palestinese non cada nell’ombra e non venga sottaciuta la sofferenza, la violenza, gli abusi subiti nel corso di questi anni. I profughi, rifugiati, vivono nei campi dislocati in Giordania, in Cisgiordania, in Siria, nel Libano, nella striscia di Gaza, al di sotto della sopravvivenza, violati nei diritti.
Ma i palestinesi rivogliono ancora la loro terra. La voce di un popolo rivendica il suo essere ridotto a “non-popolo”, mentre Israele accusa “l’arma delle masse”, per difendere i confini del suo ‘incontestabile’ Stato. La questione palestinese si consuma da più di mezzo secolo, ma la negoziazione tarda ad arrivare. Politiche filoamericane, fondamentalismi e “risvegli” non troppo lontani (prima e seconda Intifadah), continuano a scontrarsi sul piano della forza. Lontani da concrete soluzioni, i palestinesi e gli israeliani (è fin troppo chiaro) hanno le stesse radici, ma fin troppo differenti sono le loro ‘diramazioni’ economico-mondiali.
Dal 16 maggio, “i palestinesi avranno un’ambasciata italiana”, è stato annunciato dal Presidente della Repubblica Napolitano, (durante la sua visita in Israele); ma i giorni della memoria della storia continuano ad aggiungere le proprie vittime, perché l’umanità ricorda ma non riesce a dimenticare.
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