martedì 15 maggio 2018

Quale nocchiero per quale nave?




di Valentina Sechi

Ne è passato di tempo da quel 4 marzo 2018 in cui gli Italiani si sono recati al seggio elettorale speranzosi in un cambiamento, in un’Italia diversa, dove la politica fosse meno lontana e più attenta ai loro bisogni. Settanta giorni con esattezza, settanta giorni senza che si sia riusciti a formare una maggioranza che potesse governare. Ma come si è arrivati a questo? Di chi sono le colpe e le responsabilità? Partiamo proprio dalle elezioni politiche. 
Il quadro che emerge è il seguente: Movimento 5 Stelle (M5S) primo partito, surclassato però dalla coalizione di Centro Destra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia), Partito Democratico (PD). Il nuovo sistema elettorale, il Rosatellum non dà a nessun partito o coalizione i numeri per governare in quanto il premio di maggioranza scatta al raggiungimento del 40% di voti; a questo numero si è avvicinata di molto la coalizione di Centro destra che ha raggiunto il 37% con la Lega in testa, un risultato che rende necessario creare delle alleanze considerando che al M5S mancano 89 voti alla Camera e 47 al Senato, al Centro destra rispettivamente 51 e 21 e l’alternativa Centro Destra-PD creerebbe solo spaccature in seno ai due partiti. Date queste premesse è immediatamente chiaro che l’alleanza con maggiori probabilità di concretizzarsi e in grado di garantire una maggioranza sia tra M5S e almeno una parte del Centro destra, in particolare la Lega poiché affine su diversi punti come l’abolizione della Legge Fornero, il reddito di cittadinanza, la revisione delle politiche migratorie e dei rapporti con l’UE. Il primo grande problema alla base di questa lunga impasse di governo è legata ai veti reciproci tra M5S e Forza Italia (FI): Berlusconi è espressione della politica che i pentastellati vorrebbero cambiare mentre sull’altro fronte i forzisti li reputano antidemocratici. I primi si sono dimostrati disponibili al dialogo solo con il Carroccio mentre i secondi sono rimasti fedeli all’alleanza di coalizione. I tre giri di consultazione e i mandati esplorativi affidati ai Presidenti di Camera e Senato Fico (M5S) e Casellati (FI) sono stati vani e di fronte la chiusura del Centro Destra, Di Maio si era rivolto al PD, vero sconfitto delle politiche, sollevando non poche critiche specie dalla Lega che lo considera un accordo contro natura e una presa in giro nei confronti degli Italiani. Anche in questo caso la risposta è stata negativa: il reggente Martina, obbedendo al diktat di Renzi che sostanzialmente guida ancora il partito ed è ritenuto principale sostenitore di tale linea. La vera svolta è arrivata soltanto di recente: il 9 maggio in un comunicato Berlusconi, pressato in tal senso da diverse parti con l’apporto decisivo del Governatore della Liguria Toti, annuncia un passo indietro: pur asserendo che la soluzione più naturale sarebbe un governo di Centro destra a guida Lega, opzione scartata dal Colle poiché avrebbe condotto ad elezioni anticipate, e ritenendo i grillini non dotati della maturità politica necessaria a governare, nel caso in cui una forza politica del Centro Destra volesse assumersi la responsabilità di creare un governo con M5S non troverebbe veti da parte di FI che tuttavia non vuole essere l’alibi nel caso nessun governo dovesse nascere per incapacità o impossibilità di trovare accordi tra le parti.FI non darà la fiducia a tale esecutivo ma avrà mani libere, votando di volta in volta i provvedimenti che riterrà in linea con il proprio programma né metterà propri ministri pur mantenendo l’alleanza con Salvini nei governi regionali e locali. E il momento che tutti aspettavano: sganciato da Berlusconi senza tradirne l’alleanza, Salvini si indirizza verso un riavvicinamento a Di Maio. Del resto una certa sintonia si era registrata nell’accordo sui nomi per la Commissione Speciale (organismo temporaneo che opera quando ancora non sono state formate le Commissioni Permanenti dopo la formazione di un governo per permettere alle Camere di iniziare comunque a lavorare), in breve tempo era stato trovato un accordo conclusosi con la nomina a Presidente del leghista Molteni e a componenti di 2 grillini e 2 forzisti. Da venerdì si susseguono incontri tra i responsabili tecnici dei due partiti per elaborare un programma comune e stilare un contratto di governo che verrà sottoposto al giudizio degli aderenti al M5S online perché, come ha recentemente affermato Di Maio, i cittadini facciano un passo avanti e i politici uno indietro. I tempi sono brevissimi: già domani i due leader riferiranno al Quirinale e
su circa 15 dei 20 punti previsti dal contratto ci sarebbe un’intesa :ILVA di Taranto, riduzione delle tasse e della burocrazia, rilancio delle infrastrutture, contrasto alla disoccupazione, tutela dell’ambiente, legittima difesa. Concordanza anche su scuola, sanità ed Europa. La partita più complicata resta quella sul candidato Premier: si cerca un nome che metta d’accordo i due partiti, si tratterebbe di un politico che verrebbe proposto congiuntamente al Capo dello Stato. Ma prima i temi e poi i nomi come è stato più volte ribattuto. Le reazioni degli altri partecipanti all’agone politico non si sono fatte attendere: FI ha promesso di vigilare, FdI che i pentastellati non avranno mai i propri voti e il centro sinistra si prepara ad un’opposizione responsabile e radicale, promuovendo un serio riformismo che guardi all’Europa e a un modello di società aperta. Dopo aver passato in rassegna i  principali partiti, passiamo a un attore istituzionale che nella vicenda assume un gran peso:il Presidente della Repubblica. Mattarella ha spesso fatto riferimento alla necessità di un governo pienamente funzionante e alla necessità di agire per risolvere problemi quali scadenze dell’UE,crisi siriana e ha dato tempo di cercare un accordo tra le forze politiche aggiungendo che però in caso contrario avrebbe valutato come procedere in caso di stallo. La scelta caldeggiata era quella di un governo neutrale anche temporaneo per varare la legge di bilancio e modificare quella elettorale, ipotesi scongiurata all’ultimo momento quando Lega e M5S hanno chiesto due o tre giorni per cercare un accordo e formare un governo. Unica alternativa elezioni anticipate in autunno correndo il rischio di non avere il tempo per emanare la legge finanziaria che protegge il Paese dall’aumento delle tasse e manovre speculative. Al momento rimane ancora operativo il governo Gentiloni per disbrigo degli  affari correnti che non può avviare nuove iniziative legislative eccetto eventuali necessari decreti-legge né presentare al Parlamento schemi di decreti legislativi in scadenza né atti dovuti come il Documento di Economia e Finanza (DEF). Bisogna tuttavia ricordare che l’azione di governo è pesantemente condizionata da due fattori: è espressione di una maggioranza parlamentare che non c’è più ed ideologicamente molto distante da Lega e M5S. Dopo la peggior crisi economica del dopoguerra con timidi segnali di ripresa, sono stati messi in pericolo stabilità politica, credibilità internazionale e sessione di bilancio mentre i politici erano impegnati a darsi reciprocamente la colpa della situazione, contribuendo alla perdita di fiducia dei cittadini e della credibilità internazionale con il risultato di ritardare in modo inaccettabile le grandi emergenze che il Paese si trova ad affrontare: crisi economica, pensioni, lavoro e  precariato, immigrazione, rilancio del Mezzogiorno. Come ha recentemente ricordato Mattarella “ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze […] momenti che richiamano ai valori costituzionali, a impegni comuni, perché non divisivi delle posizioni politiche  ma riferiti a interessi fondamentali del Paese, in questo senso neutrali”. Se le democrazie rappresentative pluralistiche mirano alla rappresentanza delle opinioni dei cittadini in Parlamento, alla scelta di ciò che sarà utile per la maggioranza di essi, all’espressione di governi possibilmente stabili , è chiaro lo stato di crisi profonda della politica italiana. Il baricentro si è spostato sui politici e sui loro capricci, in un valzer infinito di accordi e smentite dove si è detto tutto e il contrario di tutto, dove quello che conta, nonostante l’appello alla responsabilità e al buon senso, è riuscire a fare i propri interessi, in un delicato equilibrio di compromessi e sottili giochi di potere perdendo talvolta il vero fine della politica e del politico: il benessere del proprio Paese ma come ha affermato il Presidente della Repubblica in occasione della Festa dei Lavoratori: “non mancano difficoltà nel nostro cammino. Tuttavia , dove c’è il senso di un destino da condividere, dove si riesce ancora a distinguere il bene comune dai molteplici interessi di parte, il Paese può andare incontro, con fiducia al proprio domani”.

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