di Valentina Sechi
Ne è passato di tempo da quel 4 marzo 2018 in cui gli
Italiani si sono recati al seggio elettorale speranzosi in un cambiamento, in
un’Italia diversa, dove la politica fosse meno lontana e più attenta ai loro
bisogni. Settanta giorni con esattezza, settanta giorni senza che si sia
riusciti a formare una maggioranza che potesse governare. Ma come si è arrivati
a questo? Di chi sono le colpe e le responsabilità? Partiamo proprio dalle
elezioni politiche.
su circa 15 dei 20 punti previsti dal contratto ci sarebbe
un’intesa :ILVA di Taranto, riduzione delle tasse e della burocrazia, rilancio
delle infrastrutture, contrasto alla disoccupazione, tutela dell’ambiente,
legittima difesa. Concordanza anche su scuola, sanità ed Europa. La partita più
complicata resta quella sul candidato Premier: si cerca un nome che metta
d’accordo i due partiti, si tratterebbe di un politico che verrebbe proposto
congiuntamente al Capo dello Stato. Ma prima i temi e poi i nomi come è stato
più volte ribattuto. Le reazioni degli altri partecipanti all’agone politico
non si sono fatte attendere: FI ha promesso di vigilare, FdI che i
pentastellati non avranno mai i propri voti e il centro sinistra si prepara ad
un’opposizione responsabile e radicale, promuovendo un serio riformismo che
guardi all’Europa e a un modello di società aperta. Dopo aver passato in
rassegna i principali partiti, passiamo
a un attore istituzionale che nella vicenda assume un gran peso:il Presidente
della Repubblica. Mattarella ha spesso fatto riferimento alla necessità di un governo
pienamente funzionante e alla necessità di agire per risolvere problemi quali
scadenze dell’UE,crisi siriana e ha dato tempo di cercare un accordo tra le
forze politiche aggiungendo che però in caso contrario avrebbe valutato come
procedere in caso di stallo. La scelta caldeggiata era quella di un governo
neutrale anche temporaneo per varare la legge di bilancio e modificare quella
elettorale, ipotesi scongiurata all’ultimo momento quando Lega e M5S hanno
chiesto due o tre giorni per cercare un accordo e formare un governo. Unica
alternativa elezioni anticipate in autunno correndo il rischio di non avere il
tempo per emanare la legge finanziaria che protegge il Paese dall’aumento delle
tasse e manovre speculative. Al momento rimane ancora operativo il governo
Gentiloni per disbrigo degli affari
correnti che non può avviare nuove iniziative legislative eccetto eventuali
necessari decreti-legge né presentare al Parlamento schemi di decreti
legislativi in scadenza né atti dovuti come il Documento di Economia e Finanza
(DEF). Bisogna tuttavia ricordare che l’azione di governo è pesantemente
condizionata da due fattori: è espressione di una maggioranza parlamentare che
non c’è più ed ideologicamente molto distante da Lega e M5S. Dopo la peggior
crisi economica del dopoguerra con timidi segnali di ripresa, sono stati messi
in pericolo stabilità politica, credibilità internazionale e sessione di
bilancio mentre i politici erano impegnati a darsi reciprocamente la colpa
della situazione, contribuendo alla perdita di fiducia dei cittadini e della
credibilità internazionale con il risultato di ritardare in modo inaccettabile
le grandi emergenze che il Paese si trova ad affrontare: crisi economica,
pensioni, lavoro e precariato,
immigrazione, rilancio del Mezzogiorno. Come ha recentemente ricordato
Mattarella “ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle
legittime differenze […] momenti che richiamano ai valori costituzionali, a
impegni comuni, perché non divisivi delle posizioni politiche ma riferiti a interessi fondamentali del
Paese, in questo senso neutrali”. Se le democrazie rappresentative
pluralistiche mirano alla rappresentanza delle opinioni dei cittadini in
Parlamento, alla scelta di ciò che sarà utile per la maggioranza di essi, all’espressione
di governi possibilmente stabili , è chiaro lo stato di crisi profonda della
politica italiana. Il baricentro si è spostato sui politici e sui loro
capricci, in un valzer infinito di accordi e smentite dove si è detto tutto e
il contrario di tutto, dove quello che conta, nonostante l’appello alla
responsabilità e al buon senso, è riuscire a fare i propri interessi, in un
delicato equilibrio di compromessi e sottili giochi di potere perdendo talvolta
il vero fine della politica e del politico: il benessere del proprio Paese ma
come ha affermato il Presidente della Repubblica in occasione della Festa dei
Lavoratori: “non mancano difficoltà nel nostro cammino. Tuttavia , dove c’è il
senso di un destino da condividere, dove si riesce ancora a distinguere il bene
comune dai molteplici interessi di parte, il Paese può andare incontro, con
fiducia al proprio domani”.
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